CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 settembre 2021, n. 26502
Fallimento – Ammissione al passivo di un credito – Impugnazione – Soggetti legittimati – Socio unico della società fallita – Esclusione
Fatti di causa
Rilevato che:
1. G.C., socio unico della fallita s.r.l. unipersonale C., impugna il decreto Trib. Bari 11/06/2020, n. 12082/2019 reiettivo della sua impugnazione avverso l’ammissione al passivo del credito di P.T., per come già disposta dal giudice delegato per 1.818.647,88 € in privilegio e 2.981.352 € in chirografo;
2. ha premesso il tribunale che, a sostegno dell’impugnazione ai sensi dell’art. 98, co. 3 l. f., C. aveva invocato l’esclusione del credito ammesso in quanto prescritto e non provato, argomentando la propria legittimazione dalla “posizione contrattuale obiettivata”, in virtù della partecipazione alla s.r.l., dunque titolare di quota, cioè bene mobile equiparato a quelli non iscritti in pubblici registri;
3. nel merito, il tribunale ha ritenuto il difetto di legittimazione attiva del ricorrente in quanto: a) sulla base di un’interpretazione letterale della citata norma, l’elenco dei soggetti legittimati a proporre l’impugnazione è limitato alle sole persone del curatore, dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili, laddove, rispetto a questi ultimi soggetti, legittimato è esclusivamente «il titolare di un diritto su un bene che è stato acquisito al fallimento e che rientra quindi nell’attivo fallimentare»; b) è necessario – ai fini dell’impugnativa – anche il riconoscimento, all’esito della verifica dello stato passivo, del diritto sui beni acquisiti all’attivo fallimentare, presupponendo l’art. 98 l.f. che il gravame sia proposto nei riguardi di un titolare di diritto di credito o reale o personale sui beni dell’attivo fallimentare, parimenti ammesso; c) in ogni caso, nelle società di capitali l’interesse del socio alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o far valere la responsabilità degli organi sociali, mentre non implica la legittimazione ad assumere iniziative esterne, quali azioni giudiziarie e impugnazioni di atti, il cui esercizio resta riservato alla società, tant’è che, nel contesto fallimentare, la tutela del patrimonio di una società è, per scelta legislativa, rimessa al curatore fallimentare, unico soggetto legittimato a contestare con l’impugnazione una domanda accolta dal giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo.
4. il ricorso è su un unico complesso motivo.
Ragioni della decisione
Considerato che:
1. con il motivo, il ricorrente lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 c.p.c., dell’art. 98 l.f. denunciando l’erronea interpretazione del suo comma n. 3 stante il mancato riconoscimento della sussistenza della legittimazione all’impugnativa anche del socio unico di una s.r.l. fallita che, in quanto titolare di una quota – come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro -, sarebbe da ricomprendere tra i titolari di diritti su beni mobili o immobili, legislativamente inclusi tra i soggetti legittimati; la violazione prospettata attiene altresì alla statuizione che circoscrive la possibile introduzione di una contesa giudiziale avente ad oggetto il decreto di esecutività esclusivamente ai concorrenti allo stato passivo, bastando invece il mero interesse ad agire, nel senso processuale del termine, com’è per il socio unico che ha interesse specifico ad evitare uno stato passivo, cui consegua la liquidazione fallimentare, così annoverando crediti inesistenti, potendo egli essere chiamato a rispondere del dissesto della società a mezzo di azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. «sul presupposto di un credito ammesso seppur inesistente che ha fatto lievitare il passivo fallimentare» (pag. 6 del ricorso) e considerando che lo stesso ricorrente ha impugnato altresì la sentenza di fallimento sociale;
2. il ricorso è infondato per taluni profili ed inammissibile per altri; osserva in primo luogo il Collegio che la deduzione dell’interesse all’impugnativa dello stato passivo quale discendente dall’aver C. reclamato la sentenza di fallimento, è affermazione del ricorso (pag.6) non altrimenti corredata dalla specifica indicazione di come la questione sia stata ritualmente introdotta e dibattuta, oltre che documentata quale circostanza di fatto, avanti al giudice di merito, essendosi il motivo, sul punto, limitato ad una generica evocazione, né impugnando il decreto per omissione di pronuncia; il numero 6 dell’articolo 366 c.p.c. esige infatti la specifica indicazione degli atti e dei documenti, per ciò che qui rileva, sui quali il ricorso si fonda, in tal modo sancendosi il principio di autosufficienza, per cui la disposizione implica che sia specificato in quale sede processuale tali atti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’articolo 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475); occorre, cioè, «porre in essere un duplice adempimento, consistente, per un verso, nel riassumere o trascrivere, a seconda di quanto necessario, il contenuto dell’atto o del documento invocato, e, per altro verso, nel «localizzare» l’atto o il documento, evidenziando come e quando esso abbia fatto ingresso del processo e dove sia rinvenibile (in quale fascicolo ed a quale numero di affoliazione) nell’incarto processuale» Cass. 10126/2021); nel caso in esame, oltretutto, il motivo si limita a correlare il proprio interesse all’impugnazione del credito altrui ammesso vantando la mera qualità di impugnante (con procedimento in Cassazione) senz’altra argomentazione che giustifichi la legittimazione oltre la stessa circostanza, non documentata nemmeno con riguardo ai dati storici del ricorso ex art.98 co.3. l.f.;
3. più ampiamente, ribadisce il Collegio che in effetti la predetta impugnativa può essere proposta, oltre che dal curatore e dai creditori, anche dai titolari di pretese aventi ad oggetto diritti reali o personali su beni mobili o immobili i quali – ancorché, di fatto, in possesso del fallito e acquisiti nel patrimonio fallimentare – si assumono estranei alla massa attiva destinata alla regolazione concorsuale dei crediti; ne consegue che, in ragione esclusivamente della titolarità delle situazioni giuridiche predette (secondo una elencazione tassativa, Cass. 1197/2020), tali soggetti sono legittimati i) a proporre, sotto forma di ricorso, domanda di restituzione o rivendicazione, ai sensi dell’art. 93 l.f., descrivendo anche il bene di cui si richiede la restituzione/rivendicazione e ii) a proporre l’impugnativa avverso una domanda di un altro creditore o titolare di un diritto reale o personale che sia stata accolta in tutto o in parte dal giudice delegato; proprio ai fini della legittimazione attiva all’impugnativa di cui all’art. 98, co. 3 l.f., non basta allora nemmeno la autoaffermata titolarità di un diritto reale o personale su un bene che sia confluito, in quanto in possesso del fallito, nella massa attiva, ma occorre che si tratti di un diritto vagliato e riconosciuto dal giudice delegato; ciò giustifica, come correttamente statuito dal tribunale, l’affermazione per cui l’art. 98, co.3 l.f. si raccorda in modo diretto alle disposizioni della legge fallimentare che regolamentano la partecipazione allo stato passivo dei titolari di tali diritti, permettendo che la contesa sia tra soggetti il cui diritto appunto è stato già riconosciuto dal giudice delegato all’esito delle domande di insinuazione;
4. d’altronde, è orientamento fermo di questa Corte che allo stesso ricorso per revocazione contro crediti ammessi (secondo l’art. 98, co. 4, l.f.., come modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e, sul punto, con formulazione identica al co.3) sono «legittimati … oltre che il curatore e i titolari di diritti su beni mobili e immobili del fallito – i soli creditori ammessi al passivo, i quali possono ricevere pregiudizio dal fatto che con essi concorra un soggetto privo della qualità di creditore o di creditore privilegiato» (Cass. 28666/2013); inoltre, lo stesso principio è stato espresso con riguardo al fidejussore del fallito, «estraneo alle ragioni sottostanti all’ammissione dei crediti e, quindi, alla stessa formazione dello stato passivo» (Cass. 119/2016); sotto questo profilo, il ricorrente non ha legittimazione all’impugnativa di credito di terzi già perché non ammesso allo stato passivo e, per quanto rileva, nemmeno consta introdotta la questione di una sua domanda di ammissione al passivo;
5. parimenti, anche l’affermazione della veste di socio (unico, titolare del 100% delle quote di una società a responsabilità limitata) non risulta riconducibile a quella del titolare di diritti reali o personali sui beni acquisiti nella massa attiva, ulteriore circostanza che di per sé basta ad escludere la sua legittimazione attiva all’impugnazione del credito altrui; né la stessa posizione soggettiva configura un interesse ad agire, a superamento del duplice limite formale sin qui tratto dalla norma; va sul punto richiamato l’indirizzo, correttamente applicato dal tribunale, per cui «nelle società di capitali, che sono titolari di distinta personalità giuridica e di un proprio patrimonio, l’interesse del socio alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali, mentre non implica la legittimazione ad assumere iniziative esterne, quali azioni giudiziarie e impugnazioni di atti, il cui esercizio resta riservato alla società. Ne consegue che anche in caso di dichiarazione di fallimento della società esecutata il socio non è abilitato ad agire in via surrogatoria per la tutela del patrimonio della medesima» (Cass. 5323/2003); e se, com’è regola nel contesto concorsuale, nemmeno il fallito è ammesso alle impugnazioni dei crediti (Cass. 1197/2020, 7407/2013), a maggior ragione le azioni a protezione del patrimonio sociale, sensibile alla prospettiva liquidatoria, restano riservate all’iniziativa del solo curatore; tanto più che, ancor più radicalmente, il credito in cui si sostanzia la pretesa del socio procede dall’esaurimento della liquidazione dell’attivo in funzione distributiva ai creditori concorsuali, assumendo collocazione postergata e dunque di imperfetto allineamento competitivo – ed infatti non propriamente concorsuale – rispetto agli altri predetti creditori (ed infatti Cass. 20649/2019 equipara il finanziamento erogato dal socio sotto forma di pagamenti di debiti sociali al versamento in conto capitale, come tale ritenuto irripetibile se non dopo il completo soddisfacimento degli altri creditori, quale regime ordinario applicabile anche alla presente fattispecie);
6. nessuna valenza può infine essere attribuita alla “digressione” con cui il ricorso, senza farne motivo di specifica censura più attinente al merito, riporta circostanze denunciate a carico del curatore fallimentare e ai rispettivi incarichi concorsuali, nonché ai rapporti personali con il creditore ammesso, anche per la genericità della narrazione e il riferimento ad altri contesti di vaglio su profili di liceità, estranei al preciso oggetto del presente giudizio;
7. il ricorso conclusivamente va rigettato, nella sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla l. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
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