CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 settembre 2022, n. 28406
Lavoro irregolare – Lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno – Violazione art. 36 bis, co. 7, d.l. 223/06 – Ordinanza ingiunzione – Legittimità
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Perugia ha respinto l’appello di R.C., in proprio e quale legale rappresentante della C.G. s.r.l. unipersonale (già impresa C.C.R. & C. s.a.s.), confermando la decisione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione all’ordinanza ingiunzione di pagamento n. 116/12- 978/10, prot. n. 9238 relativa alla sanzione amministrativa irrogata per violazione dell’art. 36 bis, comma 7, d.l. 223/06, conv. dalla l. 248/06, per avere occupato, per complessive n. 554 giornate di effettivo lavoro dal 6.9.2004 al 16.2.2007 il sig. Y.S. (nato in Ucraina il 27.2.1976), senza che la sua presenza risultasse dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.
2. La Corte territoriale ha escluso la violazione dell’articolo 14, della legge n. 689 del 1981; ha rilevato che il verbale ispettivo numero 035011/045, datato 7.3.2007, era stato notificato il 23.3.2007 e non, come sostenuto dall’appellante, il 7.3.2011; che nel medesimo verbale era specificato che lo stesso “non (fosse) da intendersi conclusivo dell’accertamento ispettivo in corso”, anche perché da trasmettere “agli istituti previdenziali affinché provved(essero) al calcolo dei contributi omessi e delle sanzioni civili connesse”; che il verbale Inps conclusivo era stato redatto l’11.10.2010 e notificato il 20.10.2010; che l’intervallo, nel caso di specie, di più di tre anni e mezzo tra l’accesso ispettivo e il verbale conclusivo degli accertamenti era giustificato dalla particolarità del caso concreto e, specificamente, dalla necessità di tenere presenti le risultanze relative all’illecito penale nascente dal medesimo accertamento e, soprattutto, dalla necessità di attendere l’esito dei ricorsi proposti contro il provvedimento di sospensione dei lavori (adottato ai sensi dello stesso art. 36 bis, d.l. n. 223 del 2006, primo comma, proprio con riferimento al lavoratore Y.S.), promossi dinanzi al Tar Umbria e al Consiglio di Stato e definiti il primo con sentenza del 14.1.2009 e il secondo con ordinanza di rigetto della sospensiva del 31.3.2010; che dagli atti risultavano contestati alla stessa società numerosi altri illeciti e che nel verbale conclusivo 03500/045 dell’11.10.2010 erano menzionati una serie di verbali interlocutori (datati 16.2.2007, 20.2.2007; 21.3.2007, 24.11.2008, 19.11.2009, 23.2.2009, 2.4.2009) atti a dimostrare la particolare complessità della vicenda in esame.
3. Ha escluso che fosse maturata la prescrizione di cui all’art. 28, legge n. 689 del 1981 (eccepita in relazione alla notifica dell’ordinanza ingiunzione in data 27.3.2012 rispetto all’illecito riferibile al 16.2.2007) in ragione della esistenza di atti interruttivi, quali la notifica in data 27.3.2007 dell’atto di contestazione della violazione di cui al verbale n. 035012/045 del 7.3.2007, nonché la notifica in data 20.10.2010 del verbale conclusivo degli accertamenti 035010/045 dell’1.10.2010.
4. Nel merito, ha respinto la censura di violazione dell’art. 36 bis, comma 7, del d.l. n. 233 del 2006, sostenendo la natura di misura sanzionatoria aggiuntiva della maxi sanzione prevista dal citato art. 36 bis, che non si sostituisce ma va a sommarsi a tutte le altre sanzioni previste dall’ordinamento nei casi di irregolare costituzione del rapporto di lavoro; ha ribadito, riguardo ai lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, la cumulabilità delle due previsioni sanzionatorie, quella penale di cui all’art. 22 del d.lgs. n. 286 del 1998 e quella di cui all’art. 36 bis cit., come confermato anche dalla circolare del Ministero del lavoro n. 38 del 2010.
5. Ha ritenuto dimostrata l’effettività della prestazione di lavoro Y.S. nel periodo sopra indicato, in base alle risultanze dell’accertamento ispettivo (i verbalizzati hanno rinvenuto in cantiere il S.), alle dichiarazioni rese dal medesimo lavoratore e da tale F.P..
6. Avverso tale sentenza , in proprio e quale legale rappresentante della società, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La Direzione Territoriale del Lavoro (già Ispettorato Provinciale del lavoro) di Siracusa si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Considerato che
7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 2 cod. proc. civ., la nullità della sentenza in quanto non pronunciata da un giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro funzionalmente competente, a norma dell’art. 6, d.lgs. n. 150 del 2011.
8. Si sostiene che con la riforma di cui al d.lgs. n. 150 del 2011 il legislatore abbia assegnato tutte le opposizioni ad ordinanza ingiunzione in materia di lavoro al giudice del lavoro, così superando l’anomalia, resa più evidente dal d.lgs. n. 150 del 2011, relativa all’esistenza di controversie di lavoro (art. 409 c.p.c.) cui si applica il rito del lavoro (art. 6, d.lgs. n. 150 del 2011), ma non devolute alla cognizione del giudice del lavoro.
9. Il motivo è infondato.
10. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 2145 del 2021, hanno statuito che “nel regime introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011, le controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione ad ordinanza ingiunzione che abbiano ad oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro, di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un’omissione contributiva, non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c. […]”.
11. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 13, d.lgs. n. 124 del 2004 in relazione all’art. 14, legge n. 689 del 1981. Difetto di motivazione e travisamento dei fatti, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5, d.lgs. n. 150 del 2011 e art. 416 c.p.c.
12. Si assume che la Corte d’appello, al fine di giustificare il lasso di tempo intercorso tra l’accesso ispettivo e l’emanazione del verbale definitivo da cui è scaturita l’ordinanza ingiunzione, abbia fatto riferimento al verbale di accertamento numero 035010/045 dell’11.10.2010, che concerne però una vicenda diversa oggetto di altro giudizio; al contrario, il verbale richiamato nella ordinanza ingiunzione oggetto di causa (prot. n. 9238) reca il numero 035011/045 ed è datato 7.3.2011. La motivazione della sentenza impugnata, là dove ha escluso la violazione dell’art. 14 della legge 689 del 1981 e dell’art. 13 del d.lgs. n. 124 del 2014, poggia quindi su un presupposto fattuale errato. L’intervallo di tempo di oltre quattro anni tra l’accesso ispettivo della DPL di Perugia del 12.2.2007 e il verbale conclusivo dell’accertamento ispettivo del 7.3.2011 determinerebbe la nullità dell’intero accesso ispettivo per tardività della notifica del verbale medesimo. Si rileva infine come l’amministrazione non avesse tempestivamente depositato il verbale n. 035011/045, in violazione dell’art. 416 c.p.c.
13. Il motivo è inammissibile.
14. La sentenza d’appello (pag. 8) ha accertato che il verbale ispettivo del 7.3.2007 è stato notificato il 23.3.2007 e che il verbale conclusivo dell’accertamento ispettivo risale al 2010 (pag. 9). A fronte di tale accertamento, il ricorrente assume che la Corte territoriale abbia errato avendo fatto riferimento ad un diverso verbale.
Tuttavia, omette di trascrivere e di depositare gli atti e i documenti su cui le censure si fondano, come imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, n. 6 e dall’art. 369 comma 2, n. 4 c.p.c. Comunque, le censure mosse non si confrontano in alcun modo con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha enumerato una serie di elementi giustificativi dell’intervallo temporale intercorso fino alla redazione del verbale conclusivo dell’accertamento.
15. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis, comma 7, d.l. 223/06, conv. dalla l. 248/06, di modifica dell’art. 3, comma 3, d.l. n. 12 del 2002, conv. in legge n. 73 del 2002.
16. Si denuncia l’errata interpretazione della normativa suddetta assumendo che la stessa presupponga che sia rinvenuto sul luogo di lavoro personale che possa essere iscritto nelle scritture contabili o in altra documentazione obbligatoria per l’impresa; che nel caso di specie il soggetto rinvenuto nel cantiere è un cittadino extracomunitario, privo del permesso di soggiorno, nei cui confronti non può venire in considerazione l’art. 36 bis cit. in quanto la relativa occupazione da parte del datore di lavoro costituirebbe illecito penale.
17. Parte ricorrente considera la disposizione penale relativa alla occupazione di lavoratori privi di permesso di soggiorno (art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286/1998) come assorbente dell’illecito amministrativo concernente la mancata registrazione del lavoratore occupato nelle scritture obbligatorie.
18. La censura è infondata.
19. Questa Corte ha invece statuito che nel caso di prestazioni lavorative rese dal lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l’illegittimità del contratto per la violazione di norme imperative (art. 22 del T. U. immigrazione) poste a tutela del prestatore di lavoro (art. 2126 c.c.), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude l’obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro, in coerenza con la razionalità complessiva del sistema che vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull’immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di immigrazione (v. Cass. n. 15096 del 2018; n. 18540 del 2015; n. 7380 del 2010).
20. Si è ulteriormente precisato che, in materia di impiego di lavoratori extracomunitari non risultanti da scritture obbligatorie, di cui al d.l. n. 12 del 2002, conv. con modif. in l. n. 73 del 2002, come modificato dall’art. 36 bis del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. in l. n. 248 del 2006, sono diverse le finalità sottese all’irrogazione della sanzione penale e di quella amministrativa, rispettivamente tramite l’emanazione del decreto penale di condanna e dell’ordinanza-ingiunzione, per cui non sussiste violazione del principio del divieto del “ne bis in idem”. L’illecito penale e quello amministrativo sanzionano due diverse condotte lesive di beni giuridici differenti, in quanto nel primo caso il fatto penalmente perseguito è quello dell’avvenuto impiego di lavoratori extracomunitari clandestini e privi del permesso di soggiorno, in violazione delle norme sull’immigrazione, mentre nel secondo l’illecito amministrativo è rappresentato dall’avvenuto impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture contabili o da altra documentazione obbligatoria per legge, ai fini della verifica dell’assolvimento degli obblighi contributivi da parte del datore di lavoro (v. Cass. n. 12936 del 2018).
21. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
22. Non si provvede sulle spese poiché la controparte non ha svolto difese.
23. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.