CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 settembre 2022, n. 28424

Lavoro – Trasferimento d’azienda dichiarato invalido – Permanenza del rapporto tra lavoratore e cedente – Mancato ripristino – Atti estintivi posti in essere tra lavoratore e cessionario – Irrilevanza – Detrazioni a titolo di aliunde perceptum – Esclusione

Rilevato che

1. la Corte d’appello di Napoli ha respinto il gravame proposto da T. Italia s.p.a. avverso la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da M.D. per il pagamento della retribuzione per il mese di settembre 2014;

2. T. era ritenuta obbligata in quanto, con sentenza del medesimo Tribunale, erano state accertate la permanenza del rapporto di lavoro ed il suo mancato ripristino da parte di T.; la Corte distrettuale, per quanto qui interessa, escludeva detrazioni a titolo di aliunde perceptum, argomentando che il lavoratore aveva percepito unicamente indennità di mobilità, ossia somma a titolo di trattamento previdenziale che si sottrae alla regola della compensatio lucri cum damno;

3. per la cassazione della sentenza T.I. s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso M.D.;

Considerato che

1. con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione – in relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c.- dell’art. 1406 cod. civ. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che gli atti estintivi posti in essere tra il lavoratore e il cessionario del ramo d’azienda siano irrilevanti per il presente giudizio, essendo il rapporto giuridico intercorso tra il lavoratore ed il cessionario del ramo un distinto rapporto di lavoro rispetto a quello con T.I. s.p.a.;

2. il motivo di ricorso è infondato;

3. le argomentazioni dell’odierna ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese da precedenti pronunce di questa Corte, a cui si intende dare continuità (Cass. n. 12750/2022, Cass. n. 39948/2021, Cass. n. 3403/2021, Cass. n. 23352/2020, nonché le numerose pronunce evidenziate da parte controricorrente);

4. come questa Corte ha già avuto modo di precisare, soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resti unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi; tale circostanza ricorre esclusivamente quando sussistono i presupposti di cui all’art. 2112 cod. civ. che, in deroga all’art. 1406 cod. civ., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto; da ciò consegue che l’unicità del rapporto viene meno qualora, come nel caso di specie, il trasferimento sia stato dichiarato invalido; l’unicità del rapporto invocata da parte ricorrente presuppone, insomma, che la vicenda traslativa abbia avuto luogo in conformità col modello legale di cui all’art. 2112 cod. civ.; al contrario, ove venga accertata l’invalidità della cessione, il rapporto con il destinatario della stessa non può che considerarsi instaurato in via di mero fatto, con l’esito che le vicende risolutive dell’ultimo rapporto sono inidonee ad incidere sul rapporto giuridico tuttora esistente con il cedente; nel caso di mancato perfezionamento della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 cod. civ.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza dell’elemento costitutivo del consenso della parte ceduta), il trasferimento non si compie e il rapporto di lavoro resta nella titolarità dell’originario cedente (cfr. Cass. n. 17784/2019, Cass. n. 5998/2019; in senso conforme, tra le altre, Cass. n. 13485/2014, Cass. n. 17736/2016, Cass. n. 2281/2018, che hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario); la sopravvivenza de jure del rapporto di lavoro con la società “cedente”, rende, pertanto, tale rapporto insensibile alle vicende – anche estintive – del distinto rapporto di lavoro instaurato di fatto col “cessionario”; l’orientamento appena richiamato è assolutamente prevalente e tale da far ritenere superate le diverse statuizioni di cui alle sentenze di questa Corte n. 6755 e n. 9803 del 2015 invocate dalla società ricorrente;

5. con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 cod. civ. nella parte in cui la sentenza ha liquidato il danno parametrato alle retribuzioni non percepite senza rilevare che la perdita di esse è stata determinata da un comportamento volontario del lavoratore (che ha sottoscritto verbale di conciliazione con il concessionario ed ottenuto incentivo all’esodo);

6. il motivo è anch’esso da respingere;

7. la Corte di merito ha escluso la detraibilità delle somme percepite per effetto dell’accordo conciliativo intervenuto tra l’attuale controricorrente e T. s.p.a. in ragione della diversità dei due rapporti di lavoro; quest’ultima affermazione è senz’altro condivisibile in quanto rappresenta un coerente sviluppo della configurazione di una duplicità di rapporti conseguente alla inefficacia della cessione di azienda, l’uno, di fatto, instaurato con il soggetto “cessionario”, l’altro, di continuità giuridica, con il soggetto “cedente”, secondo i più recenti approdi della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 29092/2019, Cass. n. 16793/2020, Cass. n. 16792/2020, Cass. n.16710/2020) i quali, sulla scia di Cass Sez. Un. n. 2990/2018, ricostruiscono la vicenda connessa ad una cessione di azienda dichiarata inefficace – in quanto non riconducibile all’ambito dell’art. 2112 c.c. – come connotata da una duplicità di rapporti: l’uno, di continuità giuridica, con il soggetto “cedente”, l’altro, di fatto, con il soggetto “cessionario”, e riconoscono il diritto del lavoratore illegittimamente ceduto di ricevere, da parte del “cedente” (nel caso di specie T.I.) le normali retribuzioni, insuscettibili di decurtazioni per aliunde perceptum;

8. in sostanza, in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa; il rapporto col cessionario è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere con il cedente, sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale;

9. quanto, in particolare, alla risoluzione consensuale del rapporto con la cessionaria deve considerarsi che la transazione col terzo cessionario è res inter alios acta e dunque non può condividersi l’argomentazione secondo cui, avendo dato le dimissioni dalla cessionaria, il lavoratore avrebbe fatto cessare quello stesso ed unico rapporto lavorativo che prima aveva con T.I., che quindi non potrebbe più rivivere, assunto viziato dal supporre l’esistenza fra cedente, cessionario e lavoratori ceduti ex art. 2112 c.c. di un inscindibile rapporto plurisoggettivo che invece deve escludersi;

10. il ricorso deve pertanto essere respinto,

11. le spese del presente giudizio, da distrarsi in favore dei procuratori del lavoratore dichiaratisi antistatari, seguono la soccombenza;

12. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in € 1.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.