CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2019, n. 2652
Imposte dirette – IRPEF – Professionista – Attività professionale intramoenia – Accertamento – Indagini bancarie – Ricavi non dichiarati – Riscossione
Rilevato che
1. l’Agenzia delle entrate ricorre, in base a due motivi, nei confronti di S. C., medico chirurgo esercente libera attività professionale intramuraria, il quale resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza menzionata in epigrafe, che ne ha respinto l’appello, nella causa riguardante il recupero a tassazione IRPEF, ADD. REG., per l’anno di imposta 2005, di redditi di lavoro autonomo accertati a seguito d’indagini bancarie ex art. 32, del d.P.R. n. 600/1973;
la CTR, per un verso, ha ritenuto inammissibile il gravame, ai sensi dell’art. 53, del d.lgs. n. 546/1992, “in quanto privo dei motivi d’impugnazione, ovvero per difetto di specificità”; per altro verso, quanto al merito della controversia, ha condiviso le argomentazioni della CTP di Milano che, con la sentenza n. 1/2012, aveva ritenuto giustificato il prelevamento, in data 5/04/2005, dal conto corrente bancario del contribuente, di euro 94.000,00, per “spese varie artigiani, lavori corredo casa, mobili e elettrodomestici”, facendo perno sulla circostanza che, in quel periodo, il ricorrente e la sua famiglia avevano ristrutturato un appartamento, finendo per quantificare in euro 37.651,00 il maggior reddito imponibile del contribuente, a fronte di una ripresa di ricavi non dichiarati (derivanti dall’attività professionale intramoenia) di euro 417.569,00 (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata);
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 53, del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, n. 4 cod. proc. civ., l’Agenzia censura la declaratoria di inammissibilità dell’appello: assume di avere, al contrario, specificamente criticato la sentenza della CTP di Milano nella parte in cui aveva ritenuto giustificato il prelevamento di euro 94.000,00, evidenziando, in particolare, che i giudici tributari provinciali non si erano curati di prendere in considerazione l’eccezione per cui il contribuente, gravato del relativo onere probatorio, non aveva in alcun modo dimostrato che quell'”uscita” era collegata all’esecuzione di lavori di ristrutturazione;
1.1. il motivo è fondato;
nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza (Cass. 1/07/2014, n. 14908; 3/08/2016, n. 16163);
ciò precisato, sul piano dei principi processuali, osserva la Corte che, nel caso in esame, l’Agenzia non si era limitata a riproporre in appello la linea difensiva già sviluppata in primo grado, ma aveva formulato un “motivo specifico” d’impugnazione (testualmente riprodotto nel ricorso per cassazione, nel rispetto del requisito dell’autosufficienza);
la ricorrente aveva, in particolare, censurato il vizio di motivazione della pronuncia della CTP circa la dimostrazione, da parte del contribuente, della suaccennata, cospicua, movimentazione bancaria;
2. con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 36, del d.lgs. n. 546/1992, e il vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha respinto anche nel merito l’appello, aderendo in modo acritico e con formule vaghe e generiche alla pronuncia del giudice di primo grado;
2.1. il motivo è inammissibile;
s’intende dare continuità all’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte, secondo cui: «Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata.» (Cass. sez. un. 20/02/2007, n. 3840; in senso conforme: Cass. 16/08/2006, n. 18170);
nella specie la CTR, pur avendo dichiarato inammissibile l’appello per aspecificità dei motivi, ha esaminato anche nel merito l’atto impugnatorio, per affermarne l’infondatezza: tale esame ha costituito attività giurisdizionale svolta in carenza di potere e la valutazione di infondatezza irritualmente compiuta integra una motivazione ad abundantiam, di per sé insuscettibile di arrecare nocumento alla parte, la quale, come detto, una volta dichiarata soccombente per effetto della pronunziata inammissibilità della domanda o dell’eccezione proposta, è priva di interesse a censurare in sede di legittimità la sentenza anche con riferimento al capo che ha irritualmente esaminato nel merito la sua pretesa;
3. ne consegue che, accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo motivo, la sentenza è cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, cui è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio dì legittimità.
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