CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2019, n. 2680
Licenziamento per giusta causa – Ripetute espressioni minacciose – Atteggiamento complessivamente aggressivo – Diniego di effettuare prestazioni di lavoro straordinario
Rilevato
1. che la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di C.M. intesa all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli da F.I.H. s.p.a. in data 17.6.2008;
2. che la condotta addebitata era, in sintesi, consistita nelle ripetute espressioni minacciose, nello spintonamento e nell’atteggiamento complessivamente aggressivo tenuto nei confronti del dipendente S., motivato dal diniego di quest’ultimo a far effettuare al M. prestazioni di lavoro straordinario;
3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.M. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha depositato tempestivo controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. cod. proc. civ.;
Considerato
1. che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 420, comma 1, cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 5 Legge 15/07/1966 n. 604, censurando, in sintesi, la ricostruzione del fatto oggetto di addebito da parte della Corte di appello sul rilievo in particolare della inattendibilità delle deposizioni rese da alcuni testi e della complessiva assenza di riscontri all’addebito formulato;
2. che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2105, 2106 e 2119 cod. civ., nonché dell’art. 23, comma 1, lett. e), dell’art. 25 lett. b) secondo comma, lett. a), sezione terza c.c.n.I. Industria metalmeccanica, censurando la sentenza impugnata sotto il profilo della insussistenza della giusta causa di licenziamento e del difetto di proporzionalità della sanzione.
In particolare si duole del fatto che il giudice di appello abbia omesso di considerare il grado di aggressività della spinta nei confronti dell’altro dipendente ed osserva che tale elemento, in una alla dedotta inattendibilità di alcuni testi, veicolata con il primo motivo di ricorso, conducevano al rilievo dell’assenza di prova dell’elemento intenzionale;
3. che con il terzo motivo deduce omesso esame della circostanza rappresentata dal fatto che il permesso di uscire in anticipo rispetto all’orario di lavoro era stato determinato dalla necessità di prendere alcune medicine e non richiesto in funzione dell’orario di uscita del S. del quale il M. non aveva alcuna conoscenza, nonché del fatto che la richiesta di effettuare lavoro straordinario di sabato era giustificata dai costi connessi alla cura della patologia cardiaca sofferta ;
4. che il primo motivo di ricorso è inammissibile. La modalità di deduzione della violazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ. non è, infatti, conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il motivo con cui si denunzia tale vizio deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (v., tra le altre, 26/06/2013 n. 16038; Cass. 28/02/2012 n. 3010; Cass. 28/11/2007 n. 24756; Cass. 08/03/2007 n. 5353; Cass. 31/05/2006 n. 12984) Cass. 17/05/2006 n. 11501). Parte ricorrente non sollecita, infatti, alcuna verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme asseritamente violate o dell’attività di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa; tantomeno vengono specificate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina;
5. che con riferimento alla prospettata violazione della regola dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 cod. civ. (come concretamente censurata nella specie) è da puntualizzare che la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova è disciplinata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5 cod. proc. civ.(Cass. 17/06/ 2013, n. 15107; Cass. 29/11/ 2012, n. 21234; Cass. 05/09/ 2006, n. 19064; Cass. 12/02/2004, n. 2707);
6. che le critiche del ricorrente, intese a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto, anche in relazione alla assertivamente dedotta inattendibilità dei testi S. e A., critiche astrattamente veicolagli con il mezzo di cui all’art. 360, comma 1 , n. 5 cod. proc.civ., risultano in concreto precluse dalla inammissibilità della denunzia di vizio di motivazione in presenza, come nel caso di specie, di <<doppia conforme>> ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5 cod. proc. civ.;
7. che il secondo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. 26/04/2012 n. 6498; Cass. 02/03/2011 n. 5095);
7.1. che alla luce di tale condivisibile insegnamento le critiche articolate non sono idonee alla valida censura della decisione essendo le stesse incentrate non sulla corretta individuazione e applicazione del parametro normativo di riferimento bensì sul concreto apprezzamento da parte del giudice di merito delle concrete circostanze di fatto e quindi su una valutazione che, in quanto sorretta da adeguata e logica motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità;
8. che parimenti inammissibili sono le censure fondate sulla pretesa violazione delle norme collettive atteso che parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. non riproduce per esteso il relativo contenuto né chiarisce se e dove risulta la relativa produzione nell’ambito del giudizio di merito, come, invece, prescritto (v., tra le altre, Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607);
9. che il terzo motivo è inammissibile in quanto la sentenza di appello risulta fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata. Trova pertanto applicazione l’art. 348 ter comma 5, cod. proc. civ., che esclude in questo caso l’ammissibilità del mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., secondo quanto già chiarito sub parag. 6 e tale rilievo assorbe le ulteriori considerazioni in punto di inammissibilità del motivo formulate dalla parte controricorrente (v. pagg. 36 e sgg. controricorso);
10. che all’inammissibilità del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
11. che sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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