CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2019, n. 2724
Lavoro – Contratti a progetto – Illegittimità – Riconoscimento della natura subordinata dei rapporti di lavoro
Rilevato
che, con sentenza dell’8 giugno 2017, la Corte di Appello di Palermo confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto delle domande proposte da V.C., G.M., M.M.G., G.A. e F.F. intese alla declaratoria di illegittimità dei contratti a progetto (e relative proroghe) variamente intercorsi con A.C. s.p.a. (nel periodo dal gennaio 2008 ai dicembre 2012) e, previo riconoscimento della natura subordinata dei rapporti di lavoro, alla condanna della convenuta società al ripristino di questi ultimi nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data dell’impugnativa stragiudiziale all’effettivo ripristino dei rapporti o all’indennità ex art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183; che ad avviso della Corte e per quello ancora di rilievo in questa sede: i contratti a progetto stipulati tra le parti erano conformi al tipo legale prescelto risultando in essi precisato il tipo di commessa cui il programma si riferiva e risultando delineate in modo specifico le fasi di lavoro ed i risultati parziali da conseguire; dalle risultanze istruttorie non erano emersi i caratteri tipici della subordinazione e le limitazioni imposte ai lavoratori erano dirette ad armonizzare la prestazione con la complessiva organizzazione aziendale; che per la cassazione di tale decisione la C., il M., la M.G., l’A. ed il F. propongono ricorso affidato ad un unico articolato motivo cui resiste A.C. s.p.a. con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
Considerato
che con l’unico articolato motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 61, comma 1, e 69, comma 2, del d.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 nonché dell’art. 2094 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello confermato la decisione del primo giudice sull’erroneo convincimento che dalla istruttoria espletata non fossero emersi i tratti tipici del rapporto di lavoro subordinato, laddove, invece, risultava dimostrata l’assenza di autonomia dei ricorrenti nella gestione della propria attività essendo sottoposti al costante controllo dei “team leader” o degli “assistenti di sala”, all’obbligo di osservare determinate fasce orarie, lavorando con strumenti forniti dall’azienda all’interno dei locali di quest’ultima e dovendo effettuare solo chiamate ai clienti dei committenti secondo uno schema prestabilito;
che il motivo è inammissibile. Va ricordato che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160). Ciò detto, il motivo all’esame, nonostante il richiamo a violazione di legge contenuto nell’intestazione, finisce con il censurare la valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice del gravame sollecitando questa Corte ad una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Ed infatti, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 16056 del 02/08/2016 Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003). Peraltro, la Corte ha rilevato che dalle testimonianze raccolte (in sentenza vi è un analitico riferimento alle deposizioni dei testi escussi) era risultato escluso che gli attuali ricorrenti fossero obbligati all’osservanza di un orario di lavoro e tenuti a giustificare le assenze e che fossero assoggettati al potere disciplinare datoriale in quanto: non vi erano controlli sull’orario; il fatto che dovessero comunicare una fascia oraria di operatività rispondeva alle esigenze di organizzare il lavoro, mentre i controlli dei “team leader” erano saltuari così come i ccdd. “affiancamenti in cuffia” erano finalizzati a verificare il modo di relazionarsi con i clienti;
che, alla luce di quanto esposto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore di A.C. s.p.a. come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali , oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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