CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2020, n. 2241
Inquadramento – Svolgimento di mansioni superiori – Differenze retributive – Riconoscimento in sede giudiziale
Rilevato che
1. Con sentenza n. 7784 depositata il 15.12.2017 la Corte d’appello di Napoli confermava la pronuncia di prime cure con la quale era stata parzialmente accolta la domanda di B. C. proposta nei confronti di I. Group s.p.a. per il pagamento di differenze retributive (superminimo, scatti di anzianità, premio di rendimento: incentivo individuale e in maniera fissa, premio individuale: incentivo individuale in misura del 15%) conseguenti al riconoscimento in sede giudiziale (sentenza del Tribunale di Napoli n. 1008 del 2004) dello svolgimento di mansioni superiori di funzionario di IV livello di cui all’ex c.c.n.I. impiegati ed ausiliari delle Agenzie di credito e finanziarie, sottolineando – con riguardo alle poste economiche pretese e non riconosciute – la mancata produzione sia del contratto di assunzione sia di diversi contratti collettivi rilevanti nel caso di specie nonché correttamente effettuata la perizia contabile espletata in primo grado;
2. per la cassazione della sentenza ricorre il lavoratore affidandosi a quattro motivi e la società resiste con controricorso;
3. con memoria depositata il 25 novembre 2019 è stato comunicato il decesso del C. e l’intervenuta transazione tra le eredi dello stesso e la società;
Considerato che
1. con tutti e quattro i motivi di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod.civ., 115 e 116 cod.proc.civ., 425, quarto comma e 437, secondo comma, cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale erroneamente ritenuto di non esercitare il potere officioso per l’acquisizione sia della lettera di assunzione del lavoratore sia dei contratti collettivi di lavoro, anche integrativi, da applicare nel caso di specie (c.c.n.I. 23.11.1990, 19.12.1994, 11.7.1999 nonché contratti integrativi 21.6.1989 e 15.2.1990 e c.c.n.I. dirigenti-credito 27.10.1987) nonché di trascurare il contenuto delle buste paga prodotte, la mancata risposta, da parte del consulente tecnico d’ufficio, al prospetto fornito dal lavoratore in ordine agli scatti di anzianità, il “fulcro” della censura sollevata in materia di incentivo individuale e in maniera fissa, e di aver travisato il senso di quanto affermato dal perito a pagina 7 della perizia in relazione all’incentivo individuale del 15%, e fornendo – in conclusione – una motivazione apparente;
2. preliminarmente deve rilevarsi l’irritualità della “rinuncia agli atti e all’azione” formulata in 25 novembre 2019 dall’avv. Raffaela C. e dalla sig.ra Rosa Quirino “in qualità di uniche eredi dell’ing. Bartolomeno C.” e sottoscritta per accettazione, in nome della società I. Group s.p.a., dall’avv. Imma Pisani, posto che le suddette eredi non possono considerarsi parti del presente giudizio (non avendo depositato alcun atto avente forma simile ad un ricorso né risultando essere stato conferito mandato ad litem ad un procuratore) e l’accettazione dell’atto di rinuncia stragiudiziale è stata effettuata da procuratore diverso da coloro che hanno ricevuto l’incarico per il presente grado di giudizio (cfr., ex plurìmis, Cass. nn. 4233 del 2007, 7441 del 2011). Non ricorrendo i requisiti previsti dall’art. 390 cod.proc.civ., il collegio deve procedere all’esame del ricorso.
3. i motivi sono inammissibili per plurime ragioni;
4. preliminarmente va rilevato che, nel caso di specie, opera la modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia conforme”: l’art. 348 ter, comma 5, cod.proc.civ. prescrive che la disposizione di cui al comma 4 – ossia l’esclusione del n. 5. dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme;
5. quando la ricostruzione delle emergenze probatorie effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d’appello, com’è nel caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014), ciò che nel caso non è stato fatto;
6. il ricorso è, inoltre, inammissibile perché il ricorrente richiama formalmente e promiscuamente le censure contenute sia nel n. 3) che nel n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., ma, secondo questa Corte, tale modalità di formulazione risulta non rispettosa del canone della specificità del motivo allorquando – come nella specie – nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, Cass. n. 7394 del 2010, Cass. n. 20355 del 2008, Cass. n. 9470 del 2008; v. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013).
7. le censure sono, inoltre, prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle buste paga, del contratto di assunzione, della perizia espletata dal consulente tecnico d’ufficio (riportata solamente con riguardo ad un periodo di due righe nel quarto motivo), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., primo comma, n. 6, e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 cod.proc.civ. (Cass. n. 3224 del 2014; Cass. SU n. 5698 del 2012; Cass. SU n. 22726 del 2011);
8. in particolare, a fronte del principio più volte affermato da questa Corte secondo cui “è inammissibile la produzione in appello di documenti di formazione antecedente il giudizio, genericamente indicati e sulla cui esibizione sia intervenuta una decadenza, né in tal caso può essere esercitato il potere officioso del giudice di ammissione di nuovi mezzi di prova, che opera sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi a seguito del contraddittorio delle stesse” (cfr. da ultimo Cass. n. 23652 del 2016, Cass. n. 7694 del 2018), il ricorrente non ha trascritto la parte del ricorso introduttivo del giudizio ove era stato allegato il contratto di assunzione e riprodotto il patto di non riassorbibilità del superminimo;
9. la deduzione della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è, poi, ammissibile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (paradigma non invocato nel caso di specie), ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (vizio nel caso di specie precluso in ragione della pronuncia “doppia conforme”); ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.;
10. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
11. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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