CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18457
Tributi – Imposta di registro – Atto di compravendita di immobili – Dichiarazione di opzione per il meccanismo del prezzo-valore – Applicabilità – Condizioni
Esposizione dei fatti di causa
1. La controversia ha per oggetto l’impugnazione da parte della società E.I.C. s.r.l. dall’avviso di liquidazione concernente imposta di registro, ipotecaria e catastale, dovuta in relazione alla compravendita registrata il 23.01.2008, emesso a seguito della revoca delle agevolazioni di cui all’art. 1 comma 1 sesto periodo della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/86, per l’omesso ritrasferimento dell’immobile nel triennio.
La contribuente, pur non contestando la legittimità della revoca delle agevolazioni, opponeva l’erroneo calcolo delle imposte recuperate a tassazione disposto su una base imponibile differente dal prezzo di acquisto.
Assume, in particolare, la società che, nell’atto notarile di compravendita, forse per un errore del notaio, si dava atto che il prezzo di acquisto ammontava ad euro 220.000,00, ma che le parti chiedevano che la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali venisse determinata ai sensi dell’art. 52 commi 4 e 5 del d.P.R. n. 131/86 e dell’art. 1 comma 497 della L. 266/2005, tant’è che versava le imposte di registro, ipotecarie catastali nella misura dell’1% sull’importo dichiarato di euro 503.734,14, dichiarando nel medesimo atto di non agire nell’esercizio di attività commerciali, artistiche e professionali ai fini dell’applicazione dell’art. 1 comma 497 della L. n. 266/2005;
La C.T.P. di Siena annullava l’avviso accogliendo il ricorso.
Proposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la C.T.R. della Toscana, nel riformare la decisione di primo grado, accoglieva il gravame, assumendo che l’avviso di liquidazione era stato emesso sulla base di un atto registrato e di un valore diventato definitivo, a nulla rilevando la discordanza di dichiarazioni della società acquirente che affermava ai fini dell’applicazione del valore catastale come base imponibile di non acquistare nell’esercizio dell’impresa e dall’altra, ai fini delle agevolazioni di cui all’art. 1, comma 1, sesto periodo, della tariffa allegata al d.P.R. 131/86 di agire nell’esercizio dell’impresa.
Ricorre per cassazione della sentenza n. 360/2017, depositata l’8.02.2017, la E.I.C. s.r.l. svolgendo un unico motivo, illustrato nelle memorie difensive.
L’amministrazione finanziaria si è costituita con controricorso.
Esposizione delle ragioni di diritto
2. L’unico motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 497 della L. n. 266/2005; per avere i giudici regionali ritenuto che la dichiarazione della parte contraente di volersi avvalere del meccanismo del prezzo-valore di cui alla norma rubricata fosse elemento sufficiente di per sé per rendere applicabile la relativa disposizione, la quale non poteva estendere i suoi effetti alla fattispecie, in assenza dei presupposti di legge.
Sostiene la ricorrente che difettava il presupposto soggettivo per usufruire del regime del prezzo valore, in quanto i contraenti, due società commerciali, non operavano per scopi estranei all’attività commerciale o professionale, con la conseguenza che la base imponibile non poteva essere costituita dal valore dichiarato bensì dal corrispettivo pattuito.
3. La censura non merita accoglimento.
Vale osservare che il d.l. n. 223/2006 ha aggiunto il comma 5-bis all’art. 52 del TUR il quale ha previsto che “le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266/2005”.
3.1 Il comma 5-bis dell’art. 52 DPR 131/1986 limita attualmente l’applicazione del c.d. valore automatico alle sole ipotesi in cui coesistano i seguenti requisiti di natura soggettiva ed oggettiva: a) deve trattarsi di atti di cessione a) deve trattarsi di cessione effettuata nei confronti di persone fisiche, che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali; b) deve trattarsi di cessione avente ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze; c) contenenti richiesta della parte acquirente, resa al notaio, di optare per una base imponibile costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5, del DPR 131/1986; d) le parti indichino nell’atto di cessione il corrispettivo pattuito ; e) applicazione del criterio di valutazione automatica alle sole imposte di registro, ipotecarie e catastali.
3.2 Mentre la cd. valutazione automatica, attraverso i parametri catastali, qual delineata dal d.p.r. n. 131 del 1986, art. 52, cc. 4 e 5, – senza incidere sulla disciplina della base imponibile in deroga alla regola generale che tale base imponibile identifica col valore venale in comune commercio degli immobili (e delle aziende; art. 51, c. 2), – ha introdotto un vincolo procedimentale, – e, così, una preclusione, – all’esercizio del potere di rettifica del valore dichiarato nell’atto (o del corrispettivo pattuito; v. Cass., 20 marzo 2009, n. 6796; Cass., 13 febbraio 2009, n. 3573; Cass., 7 luglio 2004, n. 12448; Cass., 28 novembre 2001, n. 15080; Cass., 13 agosto 1996, n. 7504; v., altresì, Corte Cost., 23 gennaio 2014, n. 6), la successiva disciplina, – anch’essa correlata al criterio tabellare identificato dall’art. 52, cc. 4 e 5, cit., – qual dettata dalla I. n. 266 del 2005, art. 1, c. 497, ha operato, – «In deroga alla disciplina di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131» e, così, ponendosi quale regola (alternativa), su opzione del contribuente (che è titolare del corrispondente diritto potestativo; v. Corte Cost., 23 gennaio 2014, n. 6, cit.), di determinazione della stessa base imponibile (al ricorrere dei requisiti soggettivi ed oggettivi ivi delineati), – con espresso riferimento alle (sole) «cessioni» di immobili ad uso abitativo.
3.4 Il meccanismo introdotto dalla norma in esame opera, per espressa volontà del legislatore, solamente in relazione ad una libera scelta del contribuente.
A differenza della precedente disposizione, essenzialmente di carattere processuale, quella di cui all’art. 5 bis cit. riveste natura sostanziale ed attribuisce alla sfera giuridica dell’acquirente la potestà di chiedere la valutazione del bene secondo il valore catastale (come determinato dal richiamo all’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986). In sostanza, l’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, esprime un’evidente valenza agevolativa, laddove consente al contribuente di non scegliere immancabilmente, tra i diversi criteri di determinazione della base imponibile, quello fondato sul valore “tabellare” (che potrebbe essere meno vantaggioso in situazioni congiunturali avverse), bensì quello ritenuto meno oneroso e quindi più conveniente. La norma in scrutinio attribuisce all’acquirente in libero mercato la potestà di chiedere la valutazione del bene secondo il valore “tabellare”, con ciò ampliando la sua sfera soggettiva in modo differenziato dalla categoria di acquirenti cui appartiene il ricorrente del giudizio a quo.
3.5 Alla luce delle pregresse considerazioni, la circostanza che non sussistessero i presupposti soggettivi per usufruire del regime agevolativo in esame non consente alla contribuente di impedire all’amministrazione finanziaria l’utilizzo della base imponibile dalla medesima individuata. La mancata attivazione dell’amministrazione finanziaria, difatti, entro il triennio dalla registrazione dell’atto (per far valere il difetto originario dei requisiti agevolativi) ha fatto sì che il regime agevolato (ancorché indebito, come riconosciuto dalla stessa società contribuente) prendesse pieno vigore in tutti i suoi effetti di legge, compreso dunque l’obbligo di trasferimento dell’immobile nel triennio; da qui l’autonomia – anche quanto a disciplina decadenziale – della diversa ed ulteriore causa di recupero individuata nel mancato adempimento di questo obbligo. (Cass. n. 21812/2020, in motiv.; n.24307/2020, in motiv.)
4. Si tratta, come evidenziato, di un atto negoziale (incidente sulla determinazione dell’imponibile e sull’entità del tributo da versare) che, in quanto tale, è sottratto al principio della emendabilità degli errori della dichiarazione, ma è assoggettato alla disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’art. 1427 c.c. e ss. – estesa dall’art. 1324 c.c. in quanto compatibile agli atti unilaterali inter vivos a contenuto patrimoniale (cfr. Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass., ord., 16 settembre 2015, n. 18180), per cui non può essere modificato dall’ufficio né contestato dal contribuente (Cass. n 15241/2020; n. 6046 del 2020; n. 31237/2019; n.30404 del 2018; n. 20690 del 2016; Sezioni Unite n. 13378 del 2016.). Laddove la dichiarazione costituisca una manifestazione di volontà, perché espressione di una opzione compiuta consapevolmente e volontariamente dal contribuente, come nel caso in esame in cui la contribuente ha esercitato una opzione, non si può, poi, a posteriori, modificare la stessa, neppure attraverso una istanza di rimborso.
L’applicazione del principio della emendabilità della dichiarazione va circoscritta al caso in cui l’errore, allegato, specificato e provato, riguardi il .contenuto «proprio» della dichiarazione, mentre deve escludersi nel caso in cui investa la manifestazione di volontà, avente natura negoziale, implicita nell’esercizio di un’opzione offerta dal legislatore (cfr. Cass. 4 marzo 2020, n. 6046; Cass. 22 gennaio 2013, n. 1427; Cass. 11 maggio 2012, n. 7294); se non per errore materiale, che deve essere manifesto e riconoscibile e consistere nella discordanza, immediatamente rilevabile dal testo, tra l’intendimento dell’autore e la sua materiale esteriorizzazione.
In altri termini, il contribuente può far valere l’errore solo se fornisce la prova della sua riconoscibilità e dell’essenzialità dello stesso, in forza di quanto stabilito dall’art. 1427 c.c. (Cass. n. 1862/2020; Cass. n. 26922 del 22/10/2019; n. 2667/2019; n. 610/2018).
4.1 Nella presente fattispecie, invece, il contribuente si è limitato a denunciare Terrore del professionista che avrebbe incluso la dichiarazione di avvalersi del predetto regime pur in assenza dei presupposti, senza allegare la riconoscibilità e l’essenzialità dell’errore e neppure gli elementi alla stregua dei quali valutare l’obiettiva percepibilità dell’errore da parte dell’amministrazione finanziaria.
Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito;
v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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