CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18485
Tributi – Accertamento – Ritenute su dividendi distribuiti a favore della controllante, socio unico lussemburghese, ma con branch con operatività sostanziale in Svizzera
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Campania dichiarava l’inammissibilità dell’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (n.11838/2016), che aveva accolto in parte il ricorso presentato dalla F.D. s.p.a. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2011. In particolare, l’Agenzia aveva recuperato a tassazione, per l’anno 2011, l’importo di euro 283.500,00, nei confronti della contribuente, a titolo di omessa effettuazione di ritenute fiscali previste dall’art. 27 del d.P.R. n. 600 del 1973 sui dividendi per euro 1.050.000,00 erogati in favore della controllante F. International S.A. (socio unico della F.D. s.p.a.), irrogando anche le relative sanzioni amministrative pecuniarie. In particolare, il giudice del gravame riteneva che i motivi di appello formulati dall’Agenzia delle entrate non fossero specifici, per non aver confutato in modo preciso la decisione della Commissione tributaria provinciale. La ritenuta inammissibilità dell’appello principale aveva, poi, conseguentemente, comportato l’inefficacia dell’appello incidentale tardivo articolato dalla società, ex art. 344 c.p.c..
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, depositando anche memoria scritta.
3. Resiste con controricorso la società, proponendo ricorso incidentale e depositando memoria scritta.
4. La società ha depositato memoria chiedendo la fissazione dell’udienza, per avere aderito alla rottamazione ex d.l. 148/2017, in relazione alle somme riconosciute come dovute dalla Commissione tributaria provinciale.
5. Il Procuratore Generale, dott. A.C., ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del primo motivo del ricorso principale, con assorbimento dei restanti motivi e del ricorso incidentale.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. In particolare, si evidenzia, da un lato, che per la giurisprudenza di legittimità, nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, e, dall’altro, che l’atto di appello, trascritto integralmente nel ricorso per cassazione, da pagina 15 a pagina 21, vi è una critica specifica alla sentenza di primo grado, soprattutto nella parte in cui ha ritenuto applicabile la ritenuta del 15% prevista dalla Convenzione Italia-Svizzera del 23 dicembre 1978, n. 943 (cfr. pagina 17 del ricorso per cassazione “ciò nonostante, i giudici di prime cure decidendo in via equitativa hanno collocato la sede della F. INT SA in Svizzera ed hanno concluso per l’applicazione della (più favorevole per la parte) ritenuta del 15% prevista dalla Convenzione Italia-Svizzera”). Nell’appello, l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che, il mancato superamento dell’onere della prova di cui al quinto comma, dell’art. 27-bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, comportava automaticamente l’applicazione della disposizione generale contenuta nell’art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, che prevedeva una aliquota pari al 27%. Allo stesso modo, con riferimento alle sanzioni, l’Agenzia delle entrate ha dedotto la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 7, terzo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997, oltre che per difetto di motivazione, in ordine all’applicazione del principio del favor rei previsto dall’art. 3, terzo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997. In particolare, lo ius superveniens di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, applicabile anche alle condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore, in base al principio del favor rei, comportava l’applicazione della sanzione dal 90% al 180%, invece che dal 100% al 200%, ma imponeva l’obbligatoria applicazione della recidiva.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27-bis, commi 3-ter e 5, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 10 della Convenzione tra Italia e Svizzera, n. 943 del 23 dicembre 1978, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Invero, il giudice del gravame, pur avendo dichiarato inammissibile l’appello principale, ha svolto alcune non condivisibili considerazioni sulla infondatezza nel merito dello stesso.
In realtà, per la ricorrente, poiché sussistevano i requisiti per l’applicazione della direttiva madre-figlia (935/45/CE), la disciplina di riferimento doveva ritenersi esclusivamente contenuta nell’art. 27-bis; poiché la società non aveva soddisfatto l’onere della prova di cui al quinto comma dell’art. 27-bis, ne conseguiva automaticamente l’applicazione della disposizione generale contenuta nell’art. 27, terzo comma del d.P.R. n. 600 del 1973, che prevedeva una aliquota pari al 27%, senza che fosse possibile, in subordine, applicare la disciplina convenzionale Italia-Svizzera, in presenza di un accertato comportamento elusivo. La Commissione regionale, dunque, avrebbe completamente disapplicato la clausola antielusiva espressamente prevista al quinto comma dell’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973. Era esclusa l’applicazione dell’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera, proprio in ragione del comportamento della contribuente, che non era stato leale e trasparente. Una volta, dunque, che si era dimostrato che la F.D. International SA, con sede in Lussemburgo, non era una holding operativa, ma doveva ritenersi una “Conduit Company”, costituita all’unico scopo di realizzare una distribuzione di dividendi in indebita esenzione d’imposta, ciò rendeva automaticamente applicabile in via esclusiva la disciplina antielusiva, con pagamento dell’aliquota del 27 % di ritenute. La finalità prevalentemente elusiva della allocazione delle partecipazioni nella F.D. s.p.a. presso la F.D. International SA, non poteva giustificare l’applicazione dell’aliquota ridotta al 15%, scaturente dalla Convenzione bilaterale Italia- Svizzera.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, secondo comma, del d.lgs. n. 471 del 1997, articoli 3 e 7 del d.lgs. n. 472 del 1997, così come modificati dal d.lgs. n. 158 del 2015, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Invero, la decisione del giudice d’appello sarebbe errata anche nella parte in cui ha respinto l’appello dell’Ufficio in relazione alle sanzioni. La Commissione regionale, infatti, ha evidenziato che il d.lgs. n. 158 2015 ha modificato le percentuali in base alle quali va calcolata la sanzione in base all’art. 2, secondo comma, del d.lgs. n. 471 del 1997, che sono state ridotte, portando quella minima dal 100% al 90%, e quella massima dal 200% al 180% dell’importo non versato, nonché l’art. 7, terzo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997. La recidiva costituiva solo una facoltà nella vecchia disciplina, mentre deve essere applicata obbligatoriamente con lo ius superveniens di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, salva la possibilità di riduzione della sanzione in base al quarto comma “qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione”. Tuttavia, per il giudice d’appello sarebbe stata comunque necessaria la “contestazione” della recidiva, indicando specificamente l’episodio precedente nell’avviso di accertamento, anche al solo fine di escludere l’aumento della sanzione in base alla vecchia disciplina. Al contrario, nell’avviso di accertamento non c’è contestazione della recidiva, sicché non se può tenere conto al solo fine di escludere l’applicazione della nuova disciplina in base al principio del favor rei di cui all’art. 3, terzo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997. In realtà, per la ricorrente, al fine di individuare la norma effettivamente più favorevole, dovrebbero essere utilizzati gli stessi criteri comunemente eseguiti in diritto penale. La valutazione della disposizione più favorevole dovrebbe essere fatta in concreto e non in astratto, paragonando i risultati che derivano dall’applicazione delle due norme alla situazione specifica in esame la norma più favorevole è quella che, in relazione alla singola violazione autonomamente irrogabile, conduce a conseguenze meno onerose per il trasgressore. È stata effettivamente eliminata la discrezionalità nell’applicazione della recidiva, che ora deve essere contestata obbligatoriamente. Pertanto, l’Ufficio, in caso di applicazione della nuova normativa, sarebbe stato tenuto ad applicare l’aumento della sanzione fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in altra violazione della stessa indole. Né poteva ritenersi necessaria la precedente contestazione della stessa recidiva, stante la mera facoltà esistente nella precedente disposizione, in vigore al momento dell’emanazione dell’avviso di accertamento. Di conseguenza, la valutazione della disposizione più favorevole doveva tener conto dell’aumento della sanzione per effetto proprio dell’applicazione dell’istituto della recidiva, prescindendo dalla sua contestazione dell’avviso di accertamento.
3.1. Anzitutto, si rileva che la società contribuente ha presentato domanda di adesione alla rottamazione ex d.l. 148/2017. Infatti, l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti per l’anno 2011 aveva ad oggetto l’omessa effettuazione di ritenute a titolo d’imposta, nella misura del 27%, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, sui dividendi distribuiti a favore del socio unico lussemburghese F.D. International SA per un ammontare di euro 283.500,00, oltre a sanzioni ed interessi, per un totale di euro 656.163,67. La Commissione tributaria provinciale di Napoli accogliendo parzialmente il ricorso della contribuente, ha ritenuto applicabile la ritenuta nella misura del 15%, e quindi per la somma di euro 157.500,00, ai sensi della Convenzione Italia-Svizzera. La Commissione tributaria regionale della Campania ha poi dichiarato inammissibile l’appello principale della Agenzia delle entrate e, quindi, inefficace quello incidentale tardivo predisposto dalla società.
Sono state quindi notificate alla società due cartelle di pagamento volte ad ottenere la riscossione delle somme accertate a titolo di ritenute per euro 157.500,00, con sanzioni per euro 173.500,00 e relativi interessi.
Pertanto, per la società contribuente il giudizio prosegue, quanto alle ritenute, per la somma di euro 126.000,00, pari alla differenza tra l’importo accertato dall’Ufficio, per euro 283.500,00 e quello determinato in giudizio per euro 157.500,00 (cfr. pagina 7 del controricorso).
Il giudizio prosegue, per la società contribuente, anche in relazione alle sanzioni, per euro 166.950,00, pari alla differenza tra quanto irrogato dall’Ufficio e quanto accertato in giudizio (cfr. pagina 7 del controricorso).
4. Il primo motivo di impugnazione principale è fondato, con conseguente inammissibilità dei restanti motivi per sopravvenuta carenza di interesse.
4.1. Invero, risulta pacificamente dagli atti che la contribuente, F.D. s.p.a., partecipata integralmente dal socio unico F.D. International S.A., con sede legale in Lussemburgo, ha erogato dividendi al socio unico estero, nell’anno 2011, per la somma complessiva di euro 1.050.000,00, senza effettuare alcuna ritenuta fiscale, ritenendo esistenti i presupposti per l’applicazione della direttiva madre-figlia, cristallizzatasi nell’art. 27- bis del d.P.R. n. 600 del 1973. L’Agenzia delle entrate, con l’avviso di accertamento, ha ritenuto, invece, insussistenti i presupposti per l’applicazione della direttiva madre-figlia, in quanto il socio unico della contribuente, F.D. International S.A., era a sua volta interamente controllato da L.D., persona fisica residente nel 2011 in Svizzera, territorio inserito nella black list, determinandosi in tal modo l’inversione dell’onere della prova, di cui al quinto comma dell’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973. Tale onere della prova non era stato in alcun modo soddisfatto dalla contribuente, in quanto dagli elementi acquisiti emergeva che l’attività era in concreto svolta dalla succursale Svizzera della F.D. International SA (F. INT), come dimostrato dal fatto che alle dipendenze di tale succursale aveva prestato servizio il personale licenziato dalla contribuente tra il 2007 ed il 2008, mentre la società lussemburghese aveva natura di mera Conduit Company, società costituita al solo scopo di beneficiare degli illegittimi vantaggi fiscali, come dimostrato dalla totale assenza, in Lussemburgo, di locali, di personale ed attrezzature, di una struttura sociale autonoma. Pertanto, l’Agenzia ha accertato l’omessa effettuazione di ritenute a titolo d’imposta sui dividendi, nella misura del 27°/o, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, per un ammontare di euro 283.500,00, oltre a sanzioni per la dichiarazione infedele del sostituto di imposta e per mancata esecuzione delle ritenute, e ad interessi, per un totale di euro 656.363,67.
4.2. Pertanto, la controversia vedeva, in base al contenuto dell’avviso di accertamento, in materia di doppia imposizione, con riferimento alla tassazione dei dividendi erogati dalla società figlia, contribuente con sede in Italia (F.D. s.p.a.), in favore della società madre (F.D. International SA), con sede legale in Lussemburgo, ma con un branch, con operatività sostanziale, in Svizzera.
Pertanto, erano possibili quattro diverse modalità di tassazione dei dividendi erogati dalla società figlia alla società madre. Poteva, dunque, applicarsi la norma generale di cui all’art. 27, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 (prima soluzione), con la ritenuta pari al 27% sui dividendi; poteva essere utilizzata, in presenza dei relativi stringenti presupposti, l’art. 27-bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva madre-figlia (945/90/CE), con esonero completo dalla ritenuta (seconda soluzione); poteva essere applicato l’art. 27, comma 3-ter, del d.P.R. n. 600 del 1973, con applicazione della ritenuta con l’aliquota dell’1,375%, in caso di utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione Europea e negli Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’art. 168-bis del d.P.R. n. 917 del 1986 (terza soluzione); poteva anche essere applicato l’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera, con aliquota del 15% di ritenute sui dividendi distribuiti (quarta soluzione).
5. L’art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, all’epoca vigente, (ritenute sui dividendi), infatti, prevede che “la ritenuta è operata a titolo di imposta e con l’aliquota del 27% sugli utili corrisposti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato diversi dalle società ed enti indicati nel comma 3-ter”. Questa norma, quindi, opera nell’ipotesi in cui i dividendi siano erogati in favore di soggetti non residenti nel territorio dello Stato diversi dalle società che hanno sede negli Stati membri dell’Unione Europea e negli Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo.
5.1. Se, invece, i dividendi sono erogati alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione Europea, trova applicazione il comma 3-ter dell’art. 27 del d.P.R. n. 600 del 1009 73, che prevede “la ritenuta è operata a titolo di imposta e con l’aliquota dell’1,375% sugli utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione Europea e negli Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo”.
5.2. Se, poi, sussistono i requisiti per l’applicazione della direttiva madre-figlia, che hanno innervato l’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, vi è una totale esenzione d’imposta sui dividendi distribuiti. Infatti, al primo comma dell’art. 27- bis, si prevede la possibilità di chiedere il “rimborso” delle ritenute effettuate, con la previsione che “le società che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 20% del capitale della società che distribuisce gli utili, hanno diritto, a richiesta, al rimborso della ritenuta di cui ai commi 3,3-bis e 3-ter dell’art. 27 sede: a) rivestono una delle forme previste nell’allegato della direttiva n. 435/90/CEE del Consiglio del 23 luglio 1990;b) risiedono, ai fini fiscali, in uno Stato membro dell’unione europea, senza essere considerate, ai sensi di una Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residenti al di fuori dell’Unione europea;c) sono soggette, nello Stato di residenza, senza fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, ad una delle imposte indicate nella predetta direttiva,d) la partecipazione sia detenuta ininterrottamente per almeno un anno”.
Il terzo comma dell’art. 27-bis, invece, prevede la possibilità di non applicare in alcun modo la ritenuta. In tal caso, si dispone che “ove ricorrano le condizioni di cui al comma 1, a richiesta della società beneficiaria dei dividendi, i soggetti di cui all’art. 23 possono non applicare la ritenuta di cui ai commi 3,3-bis e 3-ter dell’art. 27. In questo caso, la documentazione di cui al comma 2 deve essere acquisita entro la data del pagamento degli utili e conservata, unitamente alla richiesta, fino a quando non siano decorsi i termini per gli accertamenti relativi al periodo di imposta in corso alla data di pagamento dei dividendi”.
Al quinto comma, dell’art. 27-bis, vi è poi una specifica disposizione antielusiva, con la quale si prevede che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle società di cui al comma 1 che risultano controllate direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in Stati della Comunità europea a condizione che dimostrino di non detenere la partecipazione allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime in esame”.
Proprio quest’ultima è la disposizione applicata dalla Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento, in quanto si è ritenuto che la F.D. International SA, oltre che essere controllata direttamente da L.D., presidente in Svizzera, quindi in uno Stato diverso da quelli facenti parti della comunità europea, non aveva dimostrato di svolgere una effettiva attività di impresa, ma risultava costituita allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime di esenzione dalle ritenute sui dividendi erogati dalla società figlia, attuale contribuente.
5.3. L’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera prevede, al primo comma, che “i dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato”. Si aggiunge, nel secondo comma, che “tuttavia, tali dividendi possono essere tassati nello Stato contraente in cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere il 15% dell’ammontare lordo dei dividendi”.
6. Dinanzi a questo complesso quadro normativo, la contribuente ha chiesto, in via principale, l’applicazione dell’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con la conseguente esenzione totale dei dividendi dalle ritenute, con l’accertamento che la F.D. International SA non poteva qualificarsi come una “costruzione di puro artificio”. In via subordinata, ha chiesto l’applicazione della ritenuta nella misura dell’1,375%, ai sensi del comma 3-ter dell’art. 27 del d.P.R. n. 600 del 1973, in luogo dell’erronea applicazione della ritenuta del 27%, di cui all’art. 27, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973. In via di ulteriore subordine, per l’ipotesi in cui la residenza della F.D. International SA fosse stata collocata in Svizzera anziché in Lussemburgo, l’applicazione dell’aliquota del 15%, prevista dall’art. 10, secondo comma, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera.
7. La Commissione tributaria provinciale ha ritenuto non applicabile il regime di esenzione totale di cui all’art. 27-bis, perché la società F.D. International SA doveva essere considerata residente in Svizzera, Stato non facente parte dell’Unione europea, e non in Lussemburgo. Inoltre, stante la residenza in Svizzera e non in un paese dell’unione europea, ha ritenuto non applicabile la ritenuta nella misura dell’1,375%, di cui al comma 3-ter dell’art. 27 del d.P.R. n. 600 del 1973. Tuttavia, proprio in ragione della residenza in Svizzera, ha ritenuto applicabile l’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera, con applicazione della ritenuta nella misura del 15%, con conseguente rideterminazione della stessa in euro 157.500,00.
Quanto alle sanzioni, infine, ha rideterminato la sanzione per infedele dichiarazione del sostituto d’imposta nella misura del 90%, ritenendo che l’aumento per recidiva non potesse operare, perché la recidiva non era stata applicata nell’originario avviso di accertamento.
8. L’appello della Agenzia delle entrate, in relazione all’applicabilità delle ritenute sui dividendi nella misura del 27 %, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, è stato ritualmente trascritto da pagina 15 a pagina 19 del ricorso per cassazione, con espressa contestazione della decisione della Commissione tributaria provinciale che, invece, aveva ritenuto applicabile l’aliquota del 15%, ai sensi dell’art. 10, secondo comma, della Convenzione Italia-Svizzera.
Invero, si legge a pagina 17 del ricorso per cassazione che “ciò nonostante, i giudici di prime cure decidendo in via equitativa hanno collocato la sede della F. INT SA in Svizzera ed hanno concluso per l’applicazione della (più favorevole per la parte) ritenuta del 15% prevista dalla Convenzione Italia-Svizzera”. Si è precisato nell’atto di appello che “si è in presenza di una distribuzione elusiva di dividendi comunitari, in quanto finalizzata, mediante l’esenzione dall’obbligo di ritenuta ex art. 27, comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973, a beneficiare indebitamente, per meri scopi di risparmio fiscale, del favorevole regime madrefiglia”.
Inoltre, si è aggiunto, a pagina 18, che “di conseguenza, sussistendo i requisiti per l’applicazione della direttiva madre-figlia, la disciplina di riferimento era esclusivamente contenuta nel citato art. 27-bis e, conseguentemente, il mancato superamento dell’onere della prova richiesto dal comma 5 comporta automaticamente l’applicazione della disposizione generale contenuta nell’art. 27, comma 3 del d.P.R. 600 del 1973 che prevede un’aliquota pari al 27%”. Di seguito, si è evidenziato che “in buona sostanza, la circostanza per la quale non si rende applicabile al caso di specie, l’esenzione totale della ritenuta, ex art. 27- bis d.P.R. 600 del 1973, non implica la possibilità di applicare l’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera che consente l’applicazione della ritenuta in misura ridotta, in quanto l’applicazione di tali ultime due discipline richiede un comportamento leale e trasparente sia del sostituto che del sostituito di imposta”.
Pertanto, a prescindere dalla correttezza delle argomentazioni giuridiche prospettate dall’Agenzia delle entrate nell’appello avverso la sentenza di primo grado, vi è, comunque, la contestazione espressa in ordine alla applicazione del regime di cui all’art. 10, secondo comma, della Convenzione Italia-Svizzera, con l’applicazione delle ritenute nella misura del 15 %, dovendosi, invece, applicare l’aliquota del 27 % di cui all’art. 27, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973.
Inoltre, quanto alle sanzioni, l’Agenzia delle entrate, con l’appello, ha chiesto in modo inequivocabile l’applicazione della recidiva, che era obbligatoria in base allo ius superveniens, anche se tale recidiva non era stata contestata con l’atto di irrogazione della sanzione, essendo all’epoca solo facoltativa la contestazione della recidiva. Pertanto, l’Agenzia delle entrate ha contestato in modo specifico l’affermazione della Commissione provinciale in tema di sanzioni, articolando un motivo di gravame dotato di specificità.
8.1. Peraltro, deve osservarsi che per questa Corte, nel processo tributario, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. (Cass., sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32954; Cass., 5 ottobre 2018, n. 24641; Cass., sez.6-5, 22 marzo 2017, n. 7369), ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza (Cass., sez. 6-5, 1 luglio 2014, n. 14908).
Inoltre, si è affermato che nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. È pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass., sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30341; Cass., sez. 5, 19 gennaio 2007, n. 1224). Ciò anche in relazione al carattere devolutivo pieno del giudizio di appello tributario, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass., sez. 6-5, 23 novembre 2018,n. 30525). Inoltre, per questa Corte, in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’art. citato deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., sez. 5, 21 luglio 2020, n. 15519).
Si è anche affermato che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l’atto di appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2017, n. 1461). Pertanto, benché l’appello abbia carattere evolutivo pieno, le deduzioni dell’appellante devono essere svolte in contrapposizione alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, di cui la parte non può disinteressarsi, limitandosi a riproporre al giudice di 2 grado le medesime testuali difese contenute nel ricorso introduttivo (Cass., sez.5, 22 febbraio 2017, n. 4558). Nella specie, però, come detto, l’appello articolato dalla Agenzia delle entrate ha espressamente censurato la ratio decidendi della sentenza di primo grado, segnatamente in ordine all’applicazione della ritenuta sui dividendi nella misura del 15%, in applicazione dell’art. 10, secondo comma, della Convenzione contro la doppia imposizione Italia-Svizzera.
9. Pertanto, poiché il giudice di appello ha dichiarato espressamente inammissibile l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate, per ragioni di rito, così spogliandosi della potestas iudicandi, non avrebbe potuto affrontare il merito della controversia.
Invero, per questa Corte, a sezioni unite, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (Cass., sez.un 20 febbraio 2007, n. 3840;Cass., sez. 5, n. 1214/2020; Cass., sez. 6-5, 30 maggio 2018,n. 13549; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2017, n. 30393).
10. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società deduce la “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 27-bis, commi 1, lett.b), 2 e 3 , del d.P.R. n. 600 del 1973,4, c.3, del trattato sull’Unione Europea, 159 della “Loi modifiée du 4 décembre 1967 concemant l’impot sur le revenu” e 4 della “Convenzione del 21 gennaio 1993 tra la confederazione Svizzera e il Granducato di Lussemburgo per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio”, per avere i giudici di appello ritenuto irrilevante, ai fini della determinazione della residenza della società F. INT, il contenuto nelle certificazioni rilasciate dall’Amministrazione finanziaria del Lussemburgo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Il giudice d’appello, infatti, nonostante avesse dichiarato l’inammissibilità dell’appello principale, e quindi l’inefficacia di quell’incidentale, si è ugualmente espresso nel merito dell’appello incidentale. La Commissione regionale ha ritenuto che se è vero che le holding sono generalmente caratterizzate da strutture societarie piuttosto snelle, tuttavia, nel caso di specie, la F. INT aveva una struttura ed un’attività significative collocate in Svizzera, che lì operava. In tal modo, il giudice d’appello avrebbe disatteso il contenuto di tali certificazioni, attestanti la piena operatività della F. INT in Lussemburgo.
11. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società lamenta la “violazione degli articoli 27, comma 3-ter, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 159 della “Loi modifiée du 4 décembre 1967 concernant l’impot sur le revenu”, per avere la Commissione regionale escluso la residenza in Lussemburgo di F. INT agli effetti della prima disposizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. L’applicazione della ritenuta dell’1,375% di cui all’art. 27, comma 3-ter, del d.P.R. n. 600 del 1973 richiede la ricorrenza di 2 condizioni: la residenza della società o ente che riceve i dividendi in uno degli Stati membri dell’Unione Europea ed ivi residenti; il suo assoggettamento ad un’imposta sul reddito delle società in detto Stato membro. Ai sensi dell’art. 159, primo comma, della legge lussemburghese del 4 dicembre 1967 sulla imposta sui redditi, si prevede che “si considerano contribuenti residenti soggetti all’imposta sui redditi delle società, gli organismi a carattere collettivo di seguito elencati, se la loro sede legale o la loro amministrazione centrale si trova nel territorio del granducato”.
Pertanto, il criterio della sede legale e quello della sede dell’amministrazione sono alternativi. Una società, quindi, è considerata residente in Lussemburgo tanto nel caso in cui in Lussemburgo abbia la sola sede legale, quanto in quello in cui in Lussemburgo abbia la sola sede amministrativa. Nella specie è pacifico che la società F. INT avesse la sede legale in Lussemburgo, e tanto era sufficiente per qualificarla come residente in Lussemburgo. Pertanto, non poteva essere negata l’applicazione dell’art. 27, comma 3-ter, del d.P.R. n. 600 del 1973.
12. I motivi primo e secondo del ricorso incidentale sono assorbiti per mancanza di interesse, a seguito dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, che impone una nuova rivalutazione dei fatti da parte del giudice del rinvio.
13. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà sull’istanza di rottamazione di cui al d.l. 147/2017 oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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