CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2022. n. 20863
Lavoro – TFR non pagato dal datore di lavoro fallito – Ammissione del credito allo stato passivo – Mancanza dell’attestazione di cancelleria della non opposizione dell’INPS – Decreto ingiuntivo – Revoca
Ritenuto in fatto
Confermando la sentenza di primo grado, la corte d’appello di Roma riconosceva che legittimamente era stato revocato dal primo giudice un decreto ingiuntivo ottenuto da N.P.F. nei confronti dell’Inps e avente ad oggetto il pagamento del TFR non pagato dal datore di lavoro, poi fallito.
Il tribunale aveva rilevato la mancanza dell’attestazione di cancelleria da cui risultasse la non opposizione dell’Inps al decreto di esecutività dello stato passivo che aveva ammesso, tra gli altri, anche il credito di N.P.F.
Sul punto, la corte d’appello specificava che l’attestazione della cancelleria di mancata opposizione non era stata richiamata, in udienza dinnanzi al primo giudice, dalla difesa del N.
Aggiungeva la sentenza d’appello che, in corso di giudizio, l’Inps aveva comunque pagato la somma e che perciò il decreto ingiuntivo andava revocato.
Da ultimo, rispetto al motivo d’appello con cui si chiedeva, in subordine, di condannare al pagamento della residua somma che l’appellante riteneva ancora dovuta dall’Inps, la corte rilevava che l’esistenza di un residuo debito parziale non era stata allegata in primo grado e che, comunque, i conteggi dell’appallante posti a fondamento di tale residuo credito non erano corroborati da adeguata prova.
Contro la sentenza, N. ricorre per tre motivi.
L’Inps resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Considerato in diritto
Con il primo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art.2697 c.c. La corte d’appello avrebbe omesso di valutare la produzione, in primo grado, dell’attestazione di cancelleria da cui risultava la mancata opposizione allo stato passivo.
E poiché, alla prima udienza dinnanzi al tribunale di Roma, l’Inps nulla oppose alla produzione dell’attestazione di cancelleria, doveva ritenersi che l’istituto avesse accettato la produzione.
Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata violazione degli artt. 91 e 92, 112, 115 e 116 c.p.c. Si sostiene che poiché l’Inps pagò dopo la notifica del decreto quasi tutto l’importo ingiunto, alla revoca del decreto doveva comunque far seguito la pronuncia nel merito sulla fondatezza del diritto; pronuncia che doveva essere favorevole all’appellante poiché l’Inps, pagando, aveva riconosciuto il proprio debito per TFR.
La sentenza d’appello, al contrario, non era entrata nel merito della pretesa fatta valere con l’ingiunzione, limitandosi a confermare la revoca del decreto. Ove avesse applicato l’art. 112 c.p.c. avrebbe dovuto statuire sul rapporto obbligatorio e riconoscere le spese all’appellante, siccome vittorioso nel merito.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione degli artt. 91, 92, 115 e 116 c.p.c., nonché omessa valutazione di una circostanza determinante.
Si sostiene, quanto al residuo importo ancora non pagato, che la corte abbia errato nel richiedere la prova della fondatezza del conteggio, posto che l’Inps non lo aveva contestato in appello.
Quanto poi alla asserita tardiva allegazione del credito residuo, che secondo la corte andava svolta in primo grado, il motivo di ricorso sostiene che in primo grado non si era avuta conoscenza del pagamento in quanto l’Inps, anziché difendersi allegando tale pagamento, si era difesa eccependo la mancanza di attestazione della cancelleria.
Il primo motivo è inammissibile. La corte d’appello ha così motivato: “a prescindere dal fatto che all’udienza di discussione del 23-5-2013 dinanzi al Giudice di prima istanza il difensore del N. dichiarava singolarmente di produrre soltanto ‘precedenti giurisprudenzialì e non anche l’attestazione della Cancelleria ‘di non opposizione, di cui v’è tuttavia equivoco cenno nell’intestazione della nota di deposito 4-1-2013, circostanza (quella della produzione dell’attestazione) che avrebbe dovuto all’evidenza essere rimarcata in udienza a fronte della formulata eccezione dell’Inps relativamente all’assenza in atti della detta attestazione; a parte ciò…”.
Da tale motivazione si capisce che la corte d’appello non ha ritenuto non prodotta la certificazione; ha invece motivato sul fatto che la attestazione di cancelleria non era stata prodotta in udienza e che, a fronte dell’eccezione dell’Inps, era onere della controparte, ove avesse voluto utilizzare il documento a fini probatori, farne menzione all’udienza.
Ora, dal ricorso di cassazione, che trascrive sia il contenuto della nota di deposito del 4.1.2013, sia il verbale di prima udienza del 25.3.2013, emerge che: a) fuori udienza, in data 4.1.2013, come doc.4, fu depositato in cancelleria un foglio che conteneva, come documenti allegati, precedenti giurisprudenziali e la “non opposizione” (cioè la non opposizione allo stato passivo); b) alla prima udienza dinnanzi al giudice, l’opposto non ha richiamato il deposito documentale, ma ha solo depositato precedenti giurisprudenziali e si è riportato a tutti i propri scritti.
Ciò posto, non è conferente l’orientamento giurisprudenziale richiamato in ricorso, in base al quale la parte contro cui viene chiesta la produzione, nulla opponendo, accetta la produzione documentale.
Nel caso di specie, infatti, la documentazione fu prodotta fuori udienza, e in udienza non venne richiamata, sì che l’Inps non può dirsi aver accettato alcuna produzione.
Soprattutto, poi, la ratio decidendi della sentenza, secondo cui l’attestazione di cancelleria “avrebbe dovuto all’evidenza essere rimarcata in udienza a fronte della formulata eccezione dell’Inps relativamente all’assenza in atti della detta attestazione” (sull’onere di richiamare il documento nelle proprie allegazioni difensive, v. ad es. Cass.22342/07) non è stata censurata dal motivo di ricorso. In sostanza, la corte ha affermato che l’attestazione di cancelleria, come prova documentale, non poteva rilevare ai fini del decidere, in quanto non era stata richiamata a propria difesa nel verbale d’udienza a fronte della eccezione dell’Inps.
Su tale assunto, il motivo di ricorso è del tutto carente di censura, e risulta inammissibile per difetto di specificità.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. Emerge dal ricorso per cassazione che: a) in primo grado l’Inps si era difeso nel merito, nonostante poi in corso di giudizio avesse pagato; b) si era difeso nel merito adducendo la mancanza dell’attestazione di cancelleria che impediva il pagamento.
A differenza di quanto affermato dal ricorrente, l’Inps, pagando, non aveva riconosciuto la pretesa dell’opposto, non avendo chiesto la cessazione della materia del contendere ma avendo insistito per la revoca del decreto.
L’eccezione di mancanza di attestazione della cancelleria fu accolta dal primo giudice, che dunque entrò nel merito della pretesa, rigettandola.
La sentenza della corte d’appello ha motivato – prima ancora che sul pagamento sopravvenuto e quindi sulla necessità di revocare il decreto – sulla irrilevanza in giudizio dell’attestazione di cancelleria, siccome non richiamata dalla difesa a verbale d’udienza. In ciò, confermando la sentenza di primo grado e rigettando l’appello, anche la sentenza d’appello ha motivato sul merito della pretesa azionata con l’ingiunzione, non fermandosi a statuire sulla sola revoca del decreto per sopravvenuto pagamento, ma venendo a decidere che la pretesa andava comunque respinta, nonostante il pagamento intervenuto, proprio per la mancata utilizzabilità dell’attestazione di cancelleria.
Il motivo di ricorso, laddove denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. è dunque manifestamente infondato. E così anche per quanto attiene al capo delle spese, posto che non vi è alcuna violazione dell’art. 91 c.p.c. L’appellante, poiché ritenuto soccombente nel merito della pretesa, è stato condannato alle spese dal giudice di secondo grado. Il terzo motivo è inammissibile.
Va premesso che sul punto del residuo debito nonostante il pagamento avvenuto, la sentenza si basa su due autonome ragioni, ovvero: a) la questione del parziale pagamento era nuova, dedotta per la prima volta solo in appello; b) ad ogni modo, il residuo credito deriva da conteggi unilaterali non sorretti da prova.
Ora, in caso di decisione basata su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass.2108/12, Cass.11493/18).
Il motivo di ricorso relativo alla ratio decidendi sub a) è inammissibile in quanto introduce un fatto nuovo non dedotto in appello. Il motivo tende infatti a dire che solo nel corso dell’appello si ebbe conoscenza dell’intervenuto pagamento, sì che la questione del residuo debito parziale fu necessariamente dedotta per la prima volta in appello. Come formulato, il motivo allega un presupposto fattuale per la rimessione in termini.
Si tratta però di un fatto nuovo, che, pur potendolo essere, non risulta dedotto in appello, e che non può essere dedotto per la prima volta dinnanzi a questa corte.
Essendo inammissibile il motivo di ricorso sulla ratio decidendi sub a), in base alla giurisprudenza citata non v’è ragione di esaminare il motivo di ricorso sull’altra ragione.
Le spese del grado seguono la soccombenza di parte ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente, liquidate, per il presente grado in €2500 per compensi, €200 per esborsi, oltre spese generali, e accessori di legge; dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 19988 depositata il 12 luglio 2023 - Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14374 - Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5283 - Qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 luglio 2020, n. 15114 - Qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5283 - Qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38120 depositata il 30 dicembre 2022 - Quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome 'rationes decidendi', ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo tributario: onere della prova e responsab
La riforma del processo tributario ad opera della legge n. 130 del 2022 ha intro…
- E’ obbligo del collegio sindacale comunicare
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25336 del 28 agosto 2023, interv…
- Dimissioni del lavoratore efficace solo se effettu
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27331 depositata il 26 settembre…
- La restituzione ai soci dei versamenti in conto au
La Corte di cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 39139 depositata il 2…
- I versamento eseguiti in conto futuro aumento di c
I versamento eseguiti in conto futuro aumento di capitale ma non «accompagnati d…