CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 luglio 2018, n. 20111
Tributi – IRAP – Azienda di trasporto – Contributi regionali in conto capitale – Copertura di disavanzi nel settore del trasporto pubblico – Imponibilità – Sussiste
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, nei confronti di T. Spa, con sede legale in Siena, per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana (hinc: CTR), indicata in epigrafe, che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso, per l’anno d’imposta 2000, che recuperava a tassazione, ai fini IRPEG e IRAP, somme erogate, nel 2000, dalla Regione Toscana, nella misura di lire 2.848.502.000, per la copertura di disavanzi nel settore del trasporto pubblico, in applicazione delle leggi n. 204/95, n. 194/98 e n. 472/99, definite (nell’atto impositivo) come «contributi in conto capitale» che avrebbero dovuto concorrere alla formazione del reddito imponibile, secondo il principio di cassa – in accoglimento dell’appello della contribuente, dichiarava l’illegittimità dell’atto impositivo.
Il giudice d’appello qualificava i contributi non come ricavi da appostare in conto economico, ma come una voce patrimoniale (registrata da T. Spa come «crediti verso soci»), esclusa dall’imposizione ai sensi dell’art. 3, primo comma, del d.l. n. 833/1986 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 18/1987).
2. T. Spa resiste con controricorso con il quale propone altresì ricorso incidentale condizionato, sulla base di due motivi (il secondo dei quali, articolato in varie censure).
3. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato in diritto
0. Preliminarmente, la Corte ritiene non fondata l’eccezione di T. Spa d’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., con particolare riferimento alla disposizione secondo cui il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Nella prospettiva della contribuente, infatti, la norma sarebbe stata disattesa in quanto l’Ufficio avrebbe adottato l’inammissibile tecnica del c.d. «ricorso farcito», attraverso la riproduzione di tutti gli atti di causa, senza compiere la doverosa sintesi dei fatti rilevanti per la formulazione dei motivi d’impugnazione.
0.1. Costituisce ius receptum, dal quale non si ravvisa ragione per discostarsi, che: «[…] la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich” implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere all’indagine e alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso. […] (sull’inammissibilità dei cosiddetti ricorsi “farciti” o “sandwich” è sufficiente qui rinviare alle considerazioni espresse da questa Corte nelle pronunce n. 784 del 2014; n. 22792 e n. 10244 del 2013; n. 17447 del 2012; n. 5698 del 2012, sezioni unite; n. 1380 del 2011; e n. 15180 del 2010). Nella specie, tuttavia, può ritenersi che, nonostante la sua materiale integrazione nel ricorso, tale imponente coacervo di documenti riprodotti integralmente – in quanto facilmente individuabile e isolabile – possa agevolmente espungersi dal ricorso stesso, riconducibile perciò a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità configurato nel modello legislativo del giudizio per cassazione» (Cass. 18/09/2015, n. 18363; in senso conforme: Cass. 3/02/2004, n. 1957).
Venendo al caso in esame, la Corte non ravvisa il paventato vizio in quanto il ricorso, pur riproducendo, con la tecnica del «copia e incolla», gli atti del giudizio di merito, enuclea, con sufficiente chiarezza, i fatti salienti della vicenda processuale ed espone, altrettanto chiaramente, i motivi di gravame.
1. Primo motivo del ricorso principale: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 55 del “vecchio” T.U.I.R. n. 817/1986, dell’articolo 3 del D.L. n. 833/1986 (convertito con Legge n. 18/1987), dell’art. 1 del D.L. n. 98/1995 (convertito con Legge n. 204/1995), dell’art. 2 della Legge n. 194/1998 e dell’articolo 12 della Legge n. 472/1999, dell’art. 9 della legge n. 151/1981, in relazione all’articolo 360, n. 3) cod. proc. civ.».
L’Ufficio addebita alla sentenza d’appello di avere contra legem annullato l’avviso di accertamento – nella parte in cui esso rettificava, ai fini IRPEG, la perdita della società contribuente – escludendo erroneamente l’assoggettabilità dei contributi percepiti dalla T. Spa (in base alle surrichiamate leggi n. 204/1995, n. 194/1998 e n. 472/1999), a imposizione diretta, sull’erroneo presupposto che l’Amministrazione finanziaria avesse ravvisato la loro natura di «ricavi» (ai sensi dell’art. 53 TUIR, applicabile ratione temporis), quando, in realtà, in base al PVC, dette somme erano state qualificate come «contributi in conto capitale», ossia come «sopravvenienze attive», tassabili, (ai sensi dell’art. 55 TUIR, temporalmente vigente).
Rileva, inoltre, che la CTR è incorsa nell’errore di configurare questi importi come «poste patrimoniali», escludendone perciò la ripresa a tassazione, ai sensi dell’art. 3, primo comma, d.l. n. 833/1986.
Secondo la tesi erariale tale articolo esclude che siano «componenti positive del reddito», per le aziende di trasporto pubblico, esclusivamente le seguenti somme: 1) i contributi regionali finalizzati alla copertura dei disavanzi per gli anni 1982-1986, assunti a carico dei bilanci regionali; 2) le somme che gli enti proprietari o soci hanno versato o versano per il ripiano delle perdite di esercizio dell’azienda o del consorzio di trasporto pubblico, ancorché riferite ad esercizi precedenti al 1982; 3) le somme provenienti dal fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio di cui all’art. 9, della legge n. 151/1981.
Conclude, sul punto, che i contributi, privi di queste caratteristiche, sono tassabili perché hanno natura di contributi straordinari, riconosciuti ex novo dal legislatore e non previsti da precedenti strumenti normativi.
1.1. Il motivo è infondato.
Il thema decidendum si colloca all’interno del sistema unitario di sovvenzionamento delle imprese di trasporto pubblico (che, in ragione dei riflessi sociali dell’attività svolta, sono vincolate a determinate tariffe, talvolta non pienamente remunerative), mediante contributi, prima statali (tramite il fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi d’esercizio) e, poi, direttamente, regionali (tramite un apposito fondo destinato ai trasposti), esentati da imposizione diretta, in quanto non considerati, ex lege, componenti positivi di reddito.
È conforme a diritto la soluzione adottata dalla CTR, che ha escluso l’assoggettabilità a IRPEG dei menzionati contributi, conformandosi al costante indirizzo della Corte, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui: «I contributi erogati dallo Stato, a ripiano dei disavanzi di esercizio degli enti e delle aziende di trasporto pubblico locale, e distribuiti dalle Regioni tramite il Fondo nazionale ripartito tra le stesse sulla base di parametri prefissati, di cui agli artt. 6 e 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, non costituiscono componenti positivi del reddito e, quindi, sono sottratti ad imposizione diretta, a norma dell’art. 3, comma 1, n. 3, del d.l. 9 dicembre 1986, n. 833, conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 18 (tuttora in vigore come si evince dalla norma interpretativa di cui all’art. 1, comma 310, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 che ad esso fa riferimento), anche dopo la soppressione del predetto Fondo ad opera della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e l’assunzione dei contributi a carico delle regioni tramite un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422. (Principio enunciato in fattispecie riguardante la Regione Sicilia).» (Cass. 17/12/2010, n. 25624; 15/02/2013, n. 3771).
2. Secondo motivo: «Con riguardo alle riprese fiscali in materia di IRAP: violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 447/1997 e dell’articolo 3, comma 2-quinquies, del D.L. n. 209/2002 (convertito con Legge n. 265/2002), come modificato dall’articolo 5, comma 3, della Legge n. 289/2002, in relazione all’articolo 360, n. 3), cod. proc. civ.».
L’Agenzia delle entrate si duole che la sentenza impugnata abbia escluso che i contributi siano assoggettabili all’IRAP, trascurando completamente il contenuto delle norme appena richiamate, nonché la giurisprudenza di legittimità che ha affermato che la non imponibilità, ai fini dell’IRAP, di contributi erogati può essere riconosciuta soltanto in presenza di correlazione con un componente negativo non deducibile, che sia espressamente prevista nella legge istitutiva del contributo.
2.1. Il motivo è fondato.
Il rilievo critico è coerente con il quadro dell’intero sistema dei contributi pubblici alle imprese di trasporto, che questa Corte, in passato, ha avuto modo di comporre nei seguenti termini: «[…] i contributi erogati, dapprima dallo Stato, poi dalle Regioni (queste ultime mediante un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), a ripiano dei disavanzi di esercizio degli enti e delle aziende di trasporto pubblico locale, non costituiscono, ai fini IRPEG, componenti positivi del reddito e quindi sono sottratti ad imposizione diretta, ai sensi del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, comma 1, n. 3), convertito in L. n. 18 del 1987, (Cass. 26264/10). Tuttavia, va rilevato che a diversa conclusione deve pervenirsi per quanto concerne la computabilità di tali contributi nella determinazione della base imponibile ai fini dell’IRAP. Per quanto concerne tale ultima imposta, infatti, detti contributi – in forza del disposto del D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, introdotto dalla legge di conversione n. 265/02 – a decorrere dal 1°.01.03, sono inclusi nella base imponibile a fini dell’IRAP, sebbene non assoggettati alle imposte sui redditi. Anche per quanto concerne gli anni precedenti il 2003, la L. n. 289 del 2002, art. 5, comma 3, ha fornito un’interpretazione autentica del disposto della L. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b), nel senso che sono soggetti ad IRAP pure i contributi esclusi dalla base imponibile delle imposte sui redditi, fatte salve diverse disposizioni delle leggi istitutive dei singoli contributi o altre disposizioni spedali in materia. Se ne deve dedurre che il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, nel prevedere che i contributi erogati a norma di legge – pur se corrisposti in epoca anteriore al 31.12.02 – non concorrano alla base imponibile ai fini IRAP, esclusivamente nel caso in cui essi siano correlati a componenti negativi non ammessi a deduzione, viene ad escludere l’imponibilità di tali voci attive, nella sola ipotesi in cui vi sia una specifica previsione, nella legge istitutiva, della correlazione tra il contributo ed un componente negativo indeducibile. E tale specifica indicazione normativa non può essere neppure surrogata dalla mera affermazione dell’imprenditore di avere utilizzato il contributo per coprire spese non deducibili (cfr. Cass. S.U. 21749/09). Resta ferma, peraltro, l’esclusione dalla base imponibile IRAP di quei contributi erogati a norma di legge che siano “correlati a componenti negativi non ammessi In deduzione”. Si è più volte affermato che non possa darsi rilevanza ad una correlazione che non sia specificamente e immediatamente rilevabile e sia ricavata indirettamente mediante operazioni di proporzionalità tra contributi percepiti e costi (Cass. n. 4838 del 2007, cit.). Occorre, si è ulteriormente precisato, con orientamento dal quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi – che la legge regionale prescriva una specifica destinazione dei contributi alla copertura di componenti negativi non deducibili (quali le spese per il personale), che preveda, cioè, che il contributo sia, anche solo in parte, precisamente vincolato a tale funzione (cfr. Cass. n. 13155 del 2010 […]), senza che possa valere una semplice dichiarazione circa l’utilizzo dei contributi da parte delle imprese di trasporto, proveniente dall’Amministrazione erogatrice, che non trovi riscontro in una previsione di fonte legislativa (Cass. n. 13160 del 2010, cit.). Da quanto suesposto discende, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 4838/07, Cass. S.U. 21749/09, 14415/10, 13160/10, 29590/11), che anche i contributi versati, prima dal Fondo nazionale dei trasporti (soppresso ad opera della L. n. 549 del 1995), poi dalle Regioni (tramite l’apposito Fondo costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), alle imprese esercenti […] il trasporto pubblico locale, al fine di ripianare i disavanzi di esercizio, debbono essere inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile dell’IRAP, anche se erogati in epoca anteriore al 31.12.2002» (Cass. 27/02/2015, n. 4057).
3. In definitiva, il primo motivo è rigettato, mentre il secondo è accolto.
4. Si deve adesso passare alesarne del ricorso incidentale condizionato della T. Spa.
4.1. Primo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del DPR n. 600/73 (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 c.p.c.).».
Si fa valere il vizio della sentenza impugnata che ha respinto, implicitamente – posto che essa ha accolto nel «merito» il gravame dell’Ente -, l’eccezione della ricorrente d’illegittimità dell’avviso di accertamento, per carenza di motivazione, in quanto l’Amministrazione finanziaria avrebbe recepito, in modo acritico e senza sviluppare un proprio autonomo percorso argomentativo, i rilievi mossi dalla Guardia di Finanza alla società verificata.
4.2. La contribuente, inoltre, ripropone i seguenti motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado, rimasti assorbiti per effetto dell’accoglimento, da parte della CTR, di altri motivi d’impugnazione: a) il quarto motivo con il quale la sentenza di primo grado è stata censurata per avere qualificato le somme in questione come contributi in conto capitale anziché come contributi in conto esercizio; b) il sesto motivo con il quale la sentenza di primo grado è stata censurata per non avere riconosciuto che una parte dei contributi non era assoggettabile all’IRAP in forza dell’art. 11, terzo comma, d.lgs. n. 446/1997, secondo cui concorrono alla determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive i contributi erogati a norma di legge, con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione; difatti, la società aveva dedotto che i contributi erano parzialmente esclusi dall’IRAP, perché volti a coprire spese correlate (per prestazioni di lavoro dipendente); c) il settimo motivo con il quale la sentenza di primo grado è stata censurata per non avere riconosciuto che, sul piano sanzionatone, avrebbe dovuto essere applicato l’art. 32, del d.lgs. n. 446/1997, in tema di IRAP, anziché l’art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 471/1997; d) la domanda di disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni d’incertezza, ai sensi dell’art. 8, del d.lgs. n. 546/1992.
4.2.1. Il ricorso incidentale condizionato è inammissibile perché proposto dalla parte interamente vittoriosa in appello.
S’intende dare continuità all’indirizzo della Corte in forza del quale: «In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso incidentale condizionato, allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza, che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza.” (Cass. 11/04/2018, n. 8897).
5. In definitiva, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, mentre il ricorso incidentale condizionato va dichiarato inammissibile, con rinvio alla CTR per il riesame, nel rispetto dei menzionati principi di diritto, e anche per la decisione sulle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato;
cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto;
rinvia, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.
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