CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 luglio 2018, n. 20113
Tributi – Reddito d’impresa – Rapporti infragruppo – Costi – Deducibilità – Principio di inerenza – Correlazione coll’attività d’impresa – Vantaggio economico conseguito dall’intero gruppo
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, (hinc: CTR), indicata in epigrafe, che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di cinque avvisi di accertamento, emessi nei confronti di C. Srl, con sede legale in Lallio (BG), per i periodi d’imposta 2002, 2003, 2004 e 2005, che recuperavano a tassazione costi ritenuti non deducibili e non detraibili, per difetto d’inerenza, e quindi determinavano maggiori IRPEG, ILOR e IVA – per quanto adesso rileva, confermava l’annullamento degli atti impositivi.
Il giudice d’appello premetteva che la controversia era circoscritta alla deducibilità dei costi inerenti alle «casse mobili» e così illustrava l’operazione in contestazione: la contribuente costruiva casse mobili (contenitori forniti di appoggi, con pareti laterale sottili) che poi vendeva a una società di leasing che, dal canto suo, le concedeva in locazione finanziaria a T. Srl (società controllata da C. Srl); quest’ultima, a sua volta, le dava in noleggio a C. Srl che, finalmente, le cedeva in comodato gratuito a propri clienti (per il tempo necessario alla consegna delle casse che essi avevano ordinato a titolo di compravendita).
Rilevava, inoltre, l’economicità dell’intera operazione, che, pur avendo prodotto un risultato contabile negativo (euro 920.345,28), aveva determinato un saldo positivo, per la disponibilità, in capo a C. Srl, delle casse mobili, e le aveva permesso di prestare un servizio più completo ai propri clienti, fornendo loro le casse mobili provvisorie, in attesa della consegna di quelle che essi avevano acquistato, con un maggiore ricarico del prezzo di vendita (che includeva la remunerazione per l’uso gratuito).
Soggiungeva che l’apprezzamento dell’economicità dell’intera operazione non poteva prescindere dalla circostanza, riconosciuta dall’Ufficio, che C. Srl e T. Srl formavano un gruppo d’imprese, ammesso alla redazione di un bilancio consolidato fiscale.
Escludeva, infine, l’incongruenza, denunciata dall’Amministrazione finanziaria, riguardante la consegna delle casse mobili ai clienti della contribuente.
2. C. Srl resiste con controricorso, illustrato con una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato in diritto
1. Primo motivo del ricorso: «Violazione e falsa applicazione art. 75 e 109 DPR 917/86, 19 DPR 633/72, 117 – 129 DPR 917/86, in combinato disposto, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc».
L’Agenzia delle Entrate lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa in un errore di diritto nell’affermare che, in presenza di società controllante e controllata, ammesse alla tassazione di gruppo, l’inerenza dei costi e degli acquisti, da parte della società controllante, vada valutata non già con esclusivo riferimento all’ente controllante che ha subito il costo o effettuato l’acquisto, ma con riferimento al vantaggio economico conseguito dalla società controllata.
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1. In termini generali, è il caso di ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Corte, il principio d’inerenza del costo, ai fini della sua deducibilità, è stato ricondotto, sul piano normativo, all’art. 109, comma 5, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) (in precedenza, art. 75, comma 5, TUIR) che stabilisce che: «Le spese e gli altri componenti negativi […] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi».
Il giudizio sull’inerenza del costo va riferito all’oggetto sociale dell’impresa, nel senso che esso è deducibile se è funzionale alle singole attività sociali o, comunque, se apporta all’impresa un’utilità, obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (Cass. 4/10/2017, n. 23164, ha espresso tale principio in merito alla deducibilità dei costi – ai fini delle imposte dirette e per la detrazione dell’IVA contestualmente assolta – per i servizi resi e per le attività prestate dalla «capofila» a favore delle società appartenenti al medesimo gruppo).
L’«inerenza» non integra un nesso tra costo e ricavo, ma si sostanzia nella correlazione tra costo e attività d’impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile.
Con riferimento ai rapporti infragruppo, l’inerenza del costo – ricondotta entro il binario dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità – è stata agganciata ai concetti di coerenza e utilità economica, interpretati come indici della sussistenza o meno dell’inerenza, più che come suoi requisiti essenziali, per così dire, «normativi».
Sicché, l’ipotetica antieconomicità di una spesa (ad esempio: perché sproporzionata sul piano quantitativo) è stata letta come un significativo sintomo (come una «spia») della non inerenza (totale o parziale) e della (conseguente) indeducibilità (anch’essa totale o parziale) del costo (Cass. 27/10/2017, n. 25566).
Lo stesso criterio d’inerenza, rispetto all’attività esercitata, regola il diritto di detrazione dell’IVA sugli acquisti e sulle importazioni di beni e servizi, delineato dall’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, 633 e, in proposito, la Corte ne ha sottolineato il carattere di relazione qualitativa, sul presupposto che: «l’impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all’elemento dell’utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all’attività dell’impresa» (Cass. 11/01/2018, n. 450).
In adesione ad una simile opzione interpretativa, pertanto, può darsi concretamente il caso di un certo costo che – valutato in relazione alle dimensioni dell’impresa – risulti solo in parte inerente e, come tale, deducibile, perché al contempo coerente coll’attività d’impresa ed esorbitante rispetto al suo volume d’affari e all’utilità che essa persegue.
Tornando al caso in esame, s’appalesa assai debole la critica dell’Ufficio all’inerenza dei costi (recuperati a base imponibile) in virtù dell’asserita carenza del requisito dell’economicità delle stesse poste passive, quando, come si è appena visto, l’autentica cifra dell’inerenza consiste, innanzitutto, nella sua correlazione coll’attività d’impresa; aspetto, quest’ultimo, che non è stato messo in discussione da parte degli organi impositori.
Osserva, inoltre, la Corte che la censura dell’Ufficio secondo cui la CTR avrebbe erroneamente rapportato l’inerenza del costo al vantaggio economico tratto, non dalla controllante (che ha sostenuto l’esborso), ma dalla sua controllata, non si misura compiutamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La CTR, infatti, ha alluso alla necessità d’apprezzare il profilo dell’economicità dell’operazione considerando i vantaggi che da essa hanno tratto, nel loro insieme, le società appartenenti al medesimo gruppo d’imprese, al solo scopo di dare linfa al precedente ragionamento (al quale l’Ufficio non rivolge alcuna critica), secondo cui l’operazione aveva prodotto un saldo positivo perché la disponibilità delle casse mobili, in capo a C. Srl, aveva consentito d’approntare un servizio più completo a beneficio della clientela (che, in attesa della consegna delle casse mobili ordinate a titolo d’acquisto, riceveva in comodato la stessa tipologia di containers) e di trarne un profitto, caricando il prezzo di vendita dei medesimi beni.
2. Secondo motivo: «Motivazione omessa od insufficiente su fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 cpc.».
L’Ufficio si duole del vizio della trama argomentativa della sentenza impugnata su un fatto controverso e decisivo, vale a dire se C. Srl avesse dato dimostrazione o meno in giudizio di avere ricevuto, a titolo di noleggio, da T. Srl, le casse mobili che la società verificata aveva poi concesso in comodato gratuito ai propri clienti che, a loro volta, avevano ordinato l’acquisto dei medesimi prodotti.
2.1. Il motivo è infondato.
Escluso in radice e, per così dire, per tabulas il dedotto vizio di «omessa motivazione» poiché, come suaccennato (§ 1 della parte in fatto), la CTR ha composto un quadro esaustivo delle ragioni del proprio convincimento, del pari si appalesa insussistente la dedotta carenza di un compiuto sviluppo motivazionale.
Detto che il fulcro della ripresa a tassazione dei costi, da parte dell’Amministrazione finanziaria, non poggia sull’ipotetico carattere fittizio dei negozi giuridici collegati, strumentali alla realizzazione della complessa operazione economica, ma si sostanza nel (prospettato) difetto d’inerenza delle poste negative, sicché neppure è dato cogliere appieno la decisività del fatto in esame, ad ogni modo, a giudizio della Corte, la CTR ha adeguatamente esposto la ragione che l’ha indotta a superare l’incongruenza, paventata dall’Ufficio, circa la documentazione contabile riguardante la consegna delle casse mobili ai clienti di C. Srl, esprimendo, in questi termini, il proprio (insindacabile) giudizio di merito: «Che la consegna delle casse cedute in comodato avvenisse prima di quella afferente le casse ordinate dai clienti è attestato dalle date dei relativi documenti di trasporto, non rilevando la data della fattura successivamente emessa» (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
3. Ne consegue il rigetto del ricorso.
4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 a titolo di compenso, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, oltre agli accessori di legge.
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