CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 maggio 2018, n. 13637
Tributi – Imposta di registro – Sentenza di scioglimento della comunione su un immobile – Applicazione dell’imposta – Esclusione – Motivi – Attribuzione a ciascun condividente di beni (in natura o in denaro) di valore esattamente pari alla quota di diritto spettante
Rilevato che
Par. 1. L’Agenzia delle Entrate propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 278/37/10 del 13 dicembre 2010 con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato a G. T. per imposta di registro ed ipocatastale sulla sentenza n. 2280/04; sentenza con la quale il tribunale civile di Roma aveva disposto lo scioglimento della comunione sussistente, su un immobile sito in Rocca di Papa, tra il T. stesso ed altri condividenti (proprietà F.). Lo scioglimento era stato dal tribunale disposto mediante assegnazione dell’intero immobile in comproprietà, per il 50% ciascuno, a V. ed a G. F., e con attribuzione agli altri comproprietari di conguaglio in denaro (per l’importo, a favore del T., di euro 119.000,00, pari al controvalore della quota indivisa di un terzo da lui originariamente detenuta sul bene).
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, ha ritenuto che: – dalla divisione in oggetto fosse scaturita l’assegnazione di quote di fatto di valore, non superiore, ma pari a quello delle quote di diritto a ciascuno spettanti; – i conguagli disposti non fossero superiori al 5% del valore della quota di diritto, con conseguente insussistenza del presupposto di tassazione di cui all’articolo 34, 2A e 3A co., d.P.R. 131/86.
Resiste con controricorso il T..
Par. 2.1 Con il primo ed il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art.360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – omessa (primo motivo), ovvero insufficiente (secondo motivo), motivazione su un punto decisivo della controversia. Per non avere la commissione tributaria regionale congruamente motivato sul fatto, dedotto dall’ufficio nel proprio atto di appello, che la tassazione in oggetto non costituisse indebita duplicazione di quella già autonomamente disposta sulla sentenza n. 14615/93, con la quale il tribunale di Roma aveva assegnato al T. la quota indivisa di un terzo dell’immobile in questione (fatta poi oggetto della qui dedotta sentenza di scioglimento della comunione n.2280/04).
Par. 2.2 I due motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la loro stretta connessione – sono inammissibili.
Essi, infatti, lamentano la mancata o carente motivazione su un aspetto (indebita duplicazione di imposta, stante la pregressa tassazione della sentenza del tribunale di Roma n. 14615/93, attributiva al T. della stessa quota di un terzo fatta oggetto di scioglimento della comunione con la sentenza del medesimo tribunale n.2280/04) che non ha affatto costituito il basamento logico-giuridico della decisione impugnata.
La commissione tributaria regionale, diversamente da quanto viene prospettato nelle censure in esame, non ha respinto l’appello dell’agenzia delle entrate perché l’avviso di liquidazione in oggetto concretasse indebita duplicazione impositiva; bensì per la tutt’affatto diversa ratio decidendi costituita dalla ritenuta insussistenza, nel caso di specie, di effetto traslativo della divisione. Insussistenza di effetto traslativo a sua volta ravvisata dalla CTR nella circostanza, da essa ben esplicitata, che il valore delle quote di fatto qui assegnate ai condividenti non eccedeva – considerati i conguagli, non superiori del 5% al valore di quota – quello delle quote di diritto a ciascuno spettanti.
La ricorrente non ha dunque colto, nelle censure in esame, l’esatta ratio decidendi; sicché le censure stesse, erroneamente calibrate, risultano prive del necessario sostrato di specificità ed attinenza alla decisione impugnata.
Par. 3.1 Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art.360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 54, ultimo comma, d.P.R. 131/86. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che l’avviso di liquidazione in oggetto doveva ritenersi adeguatamente motivato, in relazione alla propria natura; avendo esso ad oggetto non già la rettifica di maggior valore, ma unicamente l’applicazione dell’imposta (analiticamente conteggiata) su un atto dell’autorità giudiziaria (debitamente indicato).
Par. 3.2 Inammissibile, per ragioni analoghe, è pure il presente motivo di ricorso.
Anch’esso, infatti, si concreta nella censura di una affermazione testuale (“l’avviso di liquidazione sarebbe nullo per difetto di motivazione”) che il giudice di appello ha effettivamente formulato, ma che tuttavia non integra una vera e propria ratio decidendi. Risolvendosi invece in un mero obiter dictum con il quale la commissione tributaria regionale ha essenzialmente inteso richiamare l’esposizione di una tesi giuridica di parte contribuente, non già collocare in essa la fonte del proprio convincimento, di per sé bastevole a sorreggere la decisione adottata.
L’estraneità logica dell’affermazione su riportata rispetto al resto del discorso motivazionale dalla quale viene estrapolata; l’uso del verbo al modo condizionale; soprattutto, l’individuazione “altra” della vera ragione decisoria (come detto: la coincidenza di valore fra quote di fatto e quote di diritto), costituiscono – tutti – convergenti elementi denotanti, anche in tal caso, la non pertinenza della censura al vero fulcro decisionale della sentenza impugnata.
Deve pertanto soccorrere, in proposito, il principio per cui “in sede di legittimità, sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dieta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione” (Cass. 22380/14 ed altre).
Par. 4.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 34, primo comma, d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che la divisione, atto di natura normalmente dichiarativa, sortiva invece effetto propriamente traslativo nell’ipotesi – qui ricorrente – di assegnazione in proprietà esclusiva di beni per un valore superiore alla quota di diritto spettante (tanto da venire tassata sull’eccedenza, ex art.34 cit., a titolo di vendita). Nel caso di specie, ai due assegnatari V. e G. F. (già titolari della quota complessiva di un terzo) era stata infine assegnata l’intera proprietà dell’immobile, con conseguente tassazione solidale dell’eccedenza, corrispondente ai restanti due terzi di valore dell’immobile stesso.
Par. 4.2 II motivo è infondato.
Il giudice di merito ha rilevato che – salva l’ipotesi, qui ininfluente, di conguagli eccedenti il 5% del valore della quota di diritto ex art.34, 2A co., d.P.R. 131/86 cit. – la tassazione doveva avvenire tenendo conto dell’effetto puramente dichiarativo, e non traslativo, della divisione giudiziale dedotta. Ciò perché, sempre nella valutazione del giudice di merito, ad ogni condividente erano stati attribuiti beni (in natura o in denaro) di valore esattamente pari alla quota di diritto ad esso spettante; con conseguente esclusione altresì dell’ipotesi di tassazione “a titolo di vendita” stabilita, dal primo comma della disposizione citata, nella diversa ipotesi, nemmeno questa qui ricorrente, di assegnazione a taluno dei condividenti di beni di valore complessivo eccedente quello spettante all’assegnatario sulla massa comune.
In definitiva, la decisione del giudice di merito si è basata sul riscontro oggettivo di coincidenza fra quote di fatto e quote di diritto.
Va considerato che tale assunto trovava fondamento, da un lato, nella mancata contestazione, da parte dell’agenzia delle entrate, del valore complessivo del cespite, così come indicato dalle parti ai fini della registrazione (del resto, risultante dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal tribunale); e, dall’altro, nell’incidenza, a riscontro di equivalenza tra quota di fatto e quota di diritto, dei conguagli posti a carico dei condividenti (i coniugi F.) assegnatari dell’intero bene in natura.
Ora, questa decisione deve ritenersi corretta anche in linea di diritto.
Essa è infatti conforme all’interpretazione dell’art. 34 d.P.R. 131/86 cit., così come più volte resa da questa corte di legittimità, secondo cui: “in tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria (nella specie, per divisione giudiziale) mediante assegnazione dei beni in natura e versamento di conguagli in denaro, ove i coeredi abbiano ricevuto il valore delle rispettive quote, si applica l’aliquota degli atti di divisione e non l’aliquota degli atti traslativi; atteso che quest’ultima è applicabile, ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 131 del 1986, soltanto nel caso in cui ad un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello a lui spettante, e limitatamente alla parte in eccedenza, mentre non rileva che la somma corrisposta a titolo di conguaglio provenga o meno dalla massa ereditaria, in quanto la norma citata non si riferisce alla provenienza dei beni, ma unicamente al loro valore” (Cass. 20119/12).
Questo orientamento, già stabilito da Cass. 17866/2010, ha trovato più recente conferma in Cass. 17512/17; la quale ha osservato – in motivazione – che “in caso di scioglimento della comunione mediante assegnazione del bene in natura ad un condividente e versamento agli altri di somme pari al valore delle quote, si applica l’aliquota di divisione e non quella di vendita; giacché quest’ultima, a norma del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, si applica solo nel caso in cui ad un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello spettante, e limitatamente alla parte in eccedenza”.
Si è poi aggiunto che, nella specie, il giudice di appello aveva violato questo principio, appunto “sostenendo che la pattuizione di conguagli in danaro contro assegnazione dell’intero in natura sia sufficiente a qualificare il negozio divisorio in termini traslativi – o parzialmente traslativi; mentre, a tal fine, è necessario che ad un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello spettante, in tal caso soltanto configurandosi un’alterazione della natura dichiarativa dello scioglimento di comunione e una metamorfosi in senso traslativo”.
In definitiva, la tesi sostenuta dall’amministrazione finanziaria e sottesa all’avviso di liquidazione opposto si pone effettivamente in contrasto con tale orientamento; nella parte in cui ravvisa il divario tra quote di fatto e quote di diritto considerando unicamente la ripartizione dell’asse comune, non anche la variabile economica costituita – in funzione equiparativa, ex art. 728 cod.civ. – dai conguagli in denaro.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.300,00; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
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