CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 marzo 2020, n. 7588
Tributi – Imposte sui redditi ed IVA – Accertamento – Cessione immobili – Rettifica valore – Elementi indiziari – Incongruenze con i valori OMI, la fattura delle provvigioni di vendita e l’importo del mutuo ottenuto dagli acquirenti
Rilevato che
– La società Residenziale L. S.r.l., in liquidazione, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (CTR), depositata il 24 ottobre 2012, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003;
– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva accertato un maggior reddito d’impresa ai fini Irpeg, Irap ed Iva, in relazione al valore della compravendita di sei immobili il cui prezzo, dichiarato nel rogito, era stato rettificato in relazione: – ai valori OMI; – alla fattura di euro 60.000 per provvigioni di vendita emessa dal geometra Z.R., proprietario della società immobiliare, in forza di contratto che riconosceva al medesimo una provvigione del 3% sul prezzo di vendita; alla somma- superiore al doppio, ottenuta in mutuo per detti acquisti dagli acquirenti;
– il giudice di appello evidenziava che: – l’Ufficio, a favore della parte, per due vendite aveva preso a base della rettifica il valore del bene, inferiore al mutuo concesso; – per le altre vendite invece era stato concesso un mutuo di gran lunga superiore al valore convenuto; – era indimostrata l’affermazione della società secondo cui la fattura emessa dal geometra Z. era comprensiva di una serie di incombenze amministrative e tecniche;
– il ricorso è affidato a un unico motivo, cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Considerato che
– con il motivo di ricorso la società denuncia «in relazione all’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., motivazione insufficiente su fatto decisivo e controverso»;
– afferma che la CTR non aveva valutato le due circostanze decisive dello stato di fatiscenza degli immobili, necessitanti di ristrutturazione, e dell’essere stati gli stessi occupati, circostanze queste che, se correttamente valutate, avrebbero ridotto il valore ricostruito sulla base dei dati OMI;
– il motivo è inammissibile, in quanto la doglianza si risolve in una erronea attribuzione agli elementi valutati, da parte del giudice del merito, di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322) e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dalla CTR (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932);
– invero, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;
– pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
– tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. del 7/04/2014, n. 8053);
– peraltro, nella vicenda all’esame, le circostanze indicate dalla società non risultano in alcun modo proposte né esaminate, ragion per cui deve ritenersi che esse siano state formulate inammissibilmente per la prima volta in questa sede, omettendo di considerare che il ricorrente, il quale intenda dolersi dell’erronea valutazione di un atto o documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016);
– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
– Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
Respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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