CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 marzo 2021, n. 8749
Cartella di pagamento – Istanza di rimborso – Rivalutazione partecipazione azionaria – Determinazione plusvalenza/minusvalenza – art. 5 della legge 448 del 2001
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 184/23/2012), che aveva accolto il ricorso presentato da I.S. contro il rigetto della richiesta di rimborso e la successiva cartella di pagamento da parte dell’amministrazione finanziaria. In particolare, la contribuente si era avvalsa della facoltà di rivalutare il valore di una propria partecipazione azionaria, ai sensi della legge numero 244 del 2007, versando la prima rata di euro 128.000 in data 30 giugno 2008.
Successivamente, però, la S. aveva rinunciato alla progettata rivalutazione, a seguito dell’intervenuto patto di famiglia con cui aveva trasferito la partecipazione ai figli, ai sensi dell’art. 768 bis c.c.. Non aveva versato dunque le rate successive e non aveva compilato il quadro RT della dichiarazione dei redditi, con cui avrebbe dovuto comunicare all’Agenzia delle entrate l’avvenuta rivalutazione. Chiedeva, dunque, il rimborso della somma versata e si opponeva alla cartella di pagamento relativa alle due rate non pagate. Per il giudice d’appello il patto di famiglia, fiscalmente neutro ai fini delle imposte dirette, escludeva la realizzazione di plusvalenze per espressa previsione dell’art. 58 del d.P.R. 917/1986; inoltre, l’impossibilità assoluta, perpetua ed oggettiva di realizzare una plusvalenza rendeva priva di causa l’obbligazione tributaria che ne aveva motivato l’opzione. In assenza di una norma specifica non poteva, poi, sostenersi che il versamento della prima rata avesse determinato il perfezionamento della rideterminazione del valore della partecipazione.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
3. Resiste con controricorso la contribuente.
4. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con un unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce “art.360, primo comma, n. 3, c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione dell’art.5 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002) per come modificato dall’art. 1, comma 91, legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008)”. In particolare, si evidenzia che l’art.5 della legge n. 448 del 2001, per come integrato dall’art. 1, comma 91, della legge finanziaria 2008, riconosce una facoltà al contribuente, consistente nell’operare la rivalutazione del valore della quota di partecipazione sociale detenuta, con la presentazione di una perizia giurata di stima e a condizione dell’assoggettamento del valore determinato ad imposta sostitutiva di imposta sui redditi. Pertanto, una volta manifestata la volontà di procedere alla rivalutazione mediante versamento della prima rata, sorge l’obbligazione tributaria avente ad oggetto l’imposta e il contribuente, che si sia avvalso della rateazione del pagamento, è tenuto al versamento dell’intera somma. Con l’esercizio dell’opzione, dunque, si realizza un effetto vincolante, destinato ad incidere sull’obbligazione tributaria, la cui assunzione non può essere oggetto di revoca, in quanto una volta realizzatasi, non può ritenersi più nella disponibilità del contribuente. Inoltre, il patto di famiglia costituisce un atto negoziale che può essere retroattivamente risolto ai sensi dell’art. 768 septies c.c.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. Invero, ai sensi dell’art. 5 della legge 448 del 2001 “agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’art. 81, comma uno, lettere C) e C-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, e successive modificazioni, per i titoli, le quote o i diritti non negoziati nei mercati regolamentati, posseduti alla data del 1° gennaio 2002, può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data della frazione del patrimonio netto della società, associazione o ente, determinato sulla base di una perizia giurata di stima, cui si applica l’art.64 del codice di procedura civile, redatta da soggetti iscritti all’albo dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, nonché nell’elenco dei revisori contabili, a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, secondo quanto disposto dai commi da 2 a 7”.
Nel secondo comma si prevede che “l’imposta sostitutiva di cui al comma 1 è pari al 4% per le partecipazioni che risultano qualificate… e al 2% per quelle che alla predetta data, non risultano qualificate…”.
L’imposta sostitutiva è “volontaria” (Cass., 2 agosto 2017, n. 19215), in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata. L’Amministrazione finanziaria, invece, riceve un immediato introito finanziario (Cass., 24057/2014). L’art. 2, comma 2, del d.l. 24-12-2002, n. 282 (convertito nella legge 21 febbraio 2003, n. 27), ha esteso la facoltà di rideterminare il valore delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati possedute alla data del 1 gennaio 2003. Inoltre, l’art. 6 bis del d.l. 24-12-2003, n. 355 (convertito in legge 27 febbraio 2004, n. 47), ha esteso tale possibilità alle partecipazioni possedute alla data del 11luglio 2003 (Cass., 26845/2014 che tratta della possibilità di una seconda rideterminazione del valore delle partecipazioni ai sensi dell’art. 6-bis della legge 47/2004).
Nel caso in esame, l’art. 1, comma 91; della legge 244/2007 ha modificato il comma 2 dell’art. 2 del d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, sostituendo al primo periodo, le parole “1 gennaio 2005” con quelle “1 gennaio 2008” ed al secondo periodo le parole “30 giugno 2006”, con le parole “30 giugno 2008”.
1.3. La contribuente I.S. ha versato, per la rivalutazione delle partecipazioni nel 2008, quale imposta sostitutiva, la somma di € 128.000,00, in relazione al valore delle quote della C. (erano soci A.B. per il 10 %, € 1.560,00, P.B. per il 10 %, € 1.560,00, ed I.S. per l’80 %, € 12.480,00).
La contribuente ha, poi, deciso di seguire un diverso disegno di riorganizzazione aziendale per proseguire l’attività, con il passaggio generazionale a favore dei figli, mediante la stipulazione del “patto di famiglia”, stipulato in data 28 gennaio 2009. Pertanto, non è stato compilato il quadro RT del Modello Unico, al fine di dare notizia all’Agenzia delle entrate della avvenuta rivalutazione.
1.4. Con l’entrata in vigore del d.l. 70/2011, l’art. 7 ha, poi, consentito ai contribuenti, che avessero optato per una seconda rivalutazione, di chiedere il rimborso della imposta sostitutiva già pagata, ma nei limiti dell’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione di valore effettuata.
L’art. 7 del d.l. 70/2011 (semplificazione fiscale) dispone al comma 2 lettera ee) che “i soggetti che si avvalgono della rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati, ovvero dei valori di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola, di cui agli articoli 5 e 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, qualora abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei medesimi beni, possono detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata”.
Al comma 2 lettera ff),si precisa che “i soggetti che non effettuano la detrazione di cui alla lettera ee) possono chiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva già pagata, ai sensi dell’art. 38 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e il termine di decadenza per la richiesta di rimborso decorre dalla data del versamento dell’intera imposta o della prima rata relativa all’ultima rideterminazione effettuata”, con la precisazione che ” l’importo del rimborso non può essere comunque superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata”.
L’art. 7, comma 2, lettera gg), chiarisce che “Le disposizioni di cui alla lettera ff) si applicano anche ai versamenti effettuati entro la data di entrata in vigore del presente decreto”.
Pertanto, con l’art. 7, comma 2, lettera ee), si è consentito per la prima volta ai soggetti che si avvalgono della rideterminazione delle partecipazioni e dei terreni posseduti alla data del 1° luglio 2011 di scomputare dall’imposta sostitutiva dovuta l’imposta sostitutiva eventualmente già versata in occasione di precedenti procedure di rideterminazione effettuate con riferimento ai medesimi beni. In tal caso il contribuente non è tenuto al versamento delle rate “ancora pendenti” della precedente procedura di rideterminazione e detrae l’imposta già versata dall’imposta dovuta per effetto della nuova rideterminazione (in tal senso anche circolare n. 47/E del 24-10-2011 della Agenzia delle entrate).
L’art. 7 comma 2 (lettera ff), poi, disciplina l’ipotesi in cui il contribuente che, in passato, abbia già rideterminato il valore delle partecipazioni e dei terreni posseduti, in sede del nuovo versamento non effettua lo scomputo dell’imposta già versata come indicato nella lettera ee). È prevista, quindi, la possibilità di chiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva pagata in passato, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R., 29 settembre 73, n. 602. Il termine di decadenza per la richiesta del suddetto rimborso decorre dalla data in cui si verifica la duplicazione del versamento e cioè dalla data di pagamento dell’intera imposta sostitutiva dovuta per effetto dell’ultima rideterminazione effettuata ovvero dalla data di versamento della prima rata (cfr. anche circolare della Agenzia delle entrate 47/E cit.).
La norma specifica anche che l’importo del rimborso non può essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata.
1.5. Per questa Corte, in tema di imposta sostitutiva sui “capitai gains”, il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione del bene (nella specie, partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati), con conseguente versamento dell’imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale bene, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto – anche nell’assetto antecedente alla vigenza dell’art. 7 del d.l. n. 70 del 2011, conv. in l. n. 106 del 2011 – ad usufruire del rimborso, stante il generale principio del divieto di doppia imposizione, in misura non superiore a quanto dovuto, in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata, fino alla concorrenza dei due importi (Cass., 13 luglio 2018, n. 18712).
Si è precisato, in particolare, che è ammessa la facoltà di richiedere una nuova valutazione delle partecipazioni in applicazioni di leggi sopravvenute. Inoltre, proprio in applicazione del divieto della doppia imposizione di cui all’art. 163 d.P.R. 917/1986, nell’ipotesi di successiva rivalutazione delle partecipazioni sociali possedute, il primo versamento dell’imposta sostitutiva è legittimamente effettuato in forza della precedente disciplina di rideterminazione del valore e la duplicazione si verifica solo al momento del secondo versamento dell’imposta sostitutiva, sulla base del nuovo valore stimato, per effetto della riapertura dei termini introdotta dal legislatore (Cass. 18712/2018 cit.).
L’opzione per la rideterminazione dei valori e la relativa obbligazione tributaria si perfezionano, infatti, con il versamento dell’intero importo dell’imposta sostitutiva ovvero, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata, tanto che il contribuente può immediatamente avvalersi del nuovo valore di acquisto ai fini della determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 67 del d.P.R. 917/1986 (art. 81 vecchio Tuir).
1.6. Inoltre, questa Corte ha affermato che il d.l. 70/2011 ha “chiarito” che il rimborso non può essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata, operando fino a concorrenza dei due importi (Cass., 18712/18 cit.). Deve, dunque, essere escluso il rimborso in misura superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione di valore della partecipazioni sociale effettuata. La ratio del legislatore è quella di evitare che il contribuente possa ritrattare la scelta già operata in passato, in quanto ciò non sarebbe coerente con le finalità – di interesse reciproco tra fisco e contribuente – della disciplina in esame, sopra descritte.
La nuova normativa, quindi, per tale aspetto, relativo alla ammissibilità di chiedere a rimborso un importo non superiore a quello dovuto per il nuovo affrancamento, svolge una funzione chiarificatrice, pur se l’art. 7 del d.l. 70/2011 non ha portata retroattiva quanto alla possibilità di effettuare compensazioni con i pagamenti pregressi (Cass., 5 settembre 2019, n. 22212; Cass. 12 novembre 2014, n. 24057, che si riferisce proprio ad una seconda rivalutazione a seguito del d.l. 282/2002, dopo una prima rivalutazione ai sensi dell’art. 5 della legge 448/2001). Infatti, la compensazione non è consentita prima del 2011 (lettera ee dell’art. 7 comma 2, del d.l. 70/2011), essendo previsto, prima di tale data, solo il rimborso. Solo con riferimento alle modalità di “recupero” di quanto pagato in più con la seconda determinazione la norma non ha portata retroattiva, non essendo consentita in precedenza la compensazione, ma essendo sempre necessario il versamento integrale dell’imposta sostitutiva dovuta, seppure con rateizzazione.
1.7. Il rimborso che è consentito, con precisi limiti, nell’ipotesi di richiesta di una nuova rivalutazione, non può essere riconosciuto se il contribuente intenda revocare la propria volontà di procedere alla rivalutazione della partecipazione societaria.
Anzi, si è precisato che anche nella ipotesi di richiesta di una “nuova rivalutazione”, pur essendo ammissibile il rimborso entro determinati limiti, la scelta iniziale del contribuente resta irrevocabile. Pertanto, per questa Corte, in tema di imposta sostitutiva sui “capitai gains”, il contribuente che, avendo optato per la rivalutazione delle proprie partecipazioni societarie, non negoziate nei mercati regolamentati e possedute alla data del 1° gennaio 2001, abbia versato l’imposta sostitutiva ai sensi dell’art. 5 della l. n. 448 del 2001 per poi aderire, in virtù di legge sopravvenuta, alla seconda rivalutazione delle medesime partecipazioni o di quelle nel frattempo residuate, è legittimato a chiedere il rimborso dell’imposta già interamente versata con riguardo alla quota oggetto di duplice tassazione, purché nei limiti di quanto dovuto e versato in seguito alla nuova determinazione di valore della partecipazione sociale, stante “la volontarietà della scelta a suo tempo operata e la sua conseguente irrevocabilità” (Cass., sez. 5, 20 febbraio 2020, n. 4423; Cass., sez. 5, 27 dicembre 2019, n. 34502).
1.8. Invero, per questa Corte, in tema di imposta sostitutiva ex art. 5 della l. n. 448 del 2001, la scelta del contribuente di optare, con il versamento anche solo della prima rata dell’imposta sostitutiva, per la rideterminazione del valore delle partecipazioni, costituisce atto unilaterale dichiarativo di volontà, che, giunto a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria attraverso il pagamento, comporta l’effetto della rideterminazione del valore della partecipazione, sicché, in base ai principi generali di cui agli artt. 1324 c.c. e 1334 e ss. c.c., non può poi essere revocato per scelta unilaterale del contribuente (Cass., sez. 5, 18 gennaio 2019, n. 1323; Cass., sez. 5, 24 agosto 2018, n. 21049).
Si è anche affermato, seppure in tema di rivalutazione dei terreni, che, in tema di determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 81, comma 1, lett. a) e b) del d.P.R. n. 917 del 1986 (ora art. 67, comma 1, lett. a e b dello stesso d.P.R., come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 344 del 2003), nel caso di opzione per la rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili a norma dell’art. 7 della legge n. 448 del 2001, una volta soddisfatte le condizioni previste da tale disposizione (redazione della perizia giurata di stima e versamento dell’intera imposta sostitutiva o, in caso di pagamento rateale, della prima rata), si determina l’irreversibile perfezionamento dell’obbligazione tributaria, per cui il contribuente non può più ottenere il rimborso delle somme corrisposte, sia che abbia scelto di avvalersi del pagamento in unica soluzione sia che abbia scelto di avvalersi di quello rateale (Cass., sez. 5, 21 febbraio 2020, n. 4659).
Si è chiarito che agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’art. 81 (ora 67), comma 1, lett. c) e c-bis), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per il perfezionamento della procedura di rideterminazione del valore di acquisto di partecipazioni prevista dall’art. 5 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, non assume alcuna rilevanza la compilazione del quadro “RT” della dichiarazione dei redditi, ma ha rilievo decisivo la redazione della perizia giurata di stima, nonché l’assoggettamento all’imposta sostitutiva del valore così definito – attraverso il versamento, entro il 16 dicembre 2002, dell’intero importo o, nel caso di rateizzazione, anche della sola prima rata – sicché, a seguito di tale manifestazione unilaterale di volontà del contribuente, portata a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria, si produce l’effetto della rideterminazione del valore della partecipazione, non più unilateralmente revocabile (Cass., sez. 5, 20 febbraio 2015, n. 3410).
1.9. Va aggiunto che l’imposta sostitutiva ex articolo 7 della legge n. 448 del 2001, in quanto frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento del dovuto nella prospettiva di un risparmio in caso di futura cessione, non rientra tra le dichiarazione di scienza suscettibili di essere corrette in caso di errore, bensì tra le manifestazioni di volontà irretrattabile, salvo che nel caso di errori, obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’articolo 1428 c.c. (Cass., sez. 5, 21 febbraio 2020, n. 4659; Cass., sez. 5, n. 19382 del 2018).
1.10. Inoltre, ai sensi dell’art. 768 bis c.c., introdotto con la legge n. 55 del 2006, “è patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.
Per questa Corte (Cass., sez. 5, 19 dicembre 2018, n. 32823) tale norma ha l’obiettivo di agevolare il trasferimento, all’interno del nucleo familiare al quale già appartengono, di aziende o partecipazioni societarie; in tal modo si consente l’anticipazione degli effetti della successione, mediante l’immediata attribuzione di tali cespiti al discendente che si individui come maggiormente idoneo a garantire la continuità generazionale dell’impresa di famiglia e, nello stesso tempo, si prevengono future liti divisionali e di riduzione tra coeredi.
Ciò, in ossequio alla raccomandazione numero 94/1069 del 7 dicembre 1994, con cui la Commissione europea ha richiesto agli Stati membri di adottare misure idonee a facilitare il passaggio generazionale delle piccole e medie imprese, al fine di assicurarne la sopravvivenza e di salvaguardarne i livelli occupazionali.
1.11. Per quanto attiene alla tassazione della eventuale plusvalenza si rileva il patto di famiglia esclude la realizzazione di plusvalenze, ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. 917/1986 (“il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa”).
L’art. 3, comma 4 ter, del d.lgs. n. 346 del 1990, modificato dall’art. 1, comma 78, della legge 296/06, prevede, con riferimento all’imposta di donazione e di successione, che “i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a, del Tuir, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1, del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività di impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso”.
1.12. L’art. 768 septies c.c., però, prevede che “il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti: 1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo; 2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio”.
L’ipotesi del recesso non risulta essere contemplata nel contratto stipulato tra le parti. Resta, però, la possibilità di scioglimento o di modifica del contratto. Invero, il nuovo contratto, che può comportare lo scioglimento di quello precedente, deve averne “le medesime caratteristiche”, sicché deve possedere i medesimi requisiti di forma previsti per il patto di famiglia. Inoltre, il “diverso” contratto deve avere anche i “medesimi presupposti”, richiesti dalla legge rispetto a tale contratto, sicché vanno richiamate le condizioni sostanziali ed economiche sussistenti al momento del patto e che ne avevano giustificato il perfezionamento. In sostanza, secondo la dottrina, occorre che l’azienda assegnata con il patto di famiglia sia ancora integra o che la partecipazione societaria trasferita conservi una consistenza sufficiente a consentire la gestione dell’impresa collettiva.
Pertanto, non può essere condivisa l’affermazione contenuta nella sentenza del giudice d’appello, laddove si evidenzia che, in futuro, a seguito della stipulazione del patto di famiglia, non vi potrà mai essere più alcuna plusvalenza tassabile e non vi sarebbe, quindi, alcuna necessità di rivalutazione delle partecipazioni. Si tratterebbe, della “impossibilità assoluta, perpetua ed oggettiva di realizzare una plusvalenza”, sì da rendere priva di causa l’obbligazione tributaria che ne aveva motivato la scelta.
Al contrario, come si rileva, è possibile la stipulazione di un diverso contratto, con le medesime caratteristiche ed i medesimi presupposti, che comporti lo scioglimento o la modifica del patto di famiglia, con la conseguente utilità per la il contribuente di una intervenuta rivalutazione delle partecipazioni, per una eventuale cessione delle partecipazioni anche a terzi.
Deve anche osservarsi che l’obbligazione tributaria non può neppure ritenersi estinta per impossibilità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1256 cc., asseritamente costituita dalla successiva stipulazione del “patto di famiglia”, proprio perché tale impossibilità, nella specie, è imputabile al debitore.
2. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto delle domande originarie della contribuente.
3. Le spese dei giudizi di merito devono essere compensate tra le parti.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della contribuente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta i ricorsi originari della contribuente.
Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Condanna la contribuente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
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