CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 marzo 2021, n. 8755
Accertamento – Operazioni elusive – Cessione di partecipazioni societarie – Valutazione dei vantaggi fiscali conseguiti
Rilevato che
1. Con avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate accertava a carico di A.M. maggior reddito di capitale, per l’anno 2006, ai sensi degli artt. 38 e 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 sul rilievo di operazioni ritenute elusive.
Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, le operazioni oggetto di contestazione riguardavano la cessione, da parte del contribuente, alla P.M. s.r.l. delle quote di partecipazioni nelle società V.E. s.r.I., T.C.E. s.r.l. e C.E. s.r.I., a fronte del pagamento di corrispettivo che era stato regolato nel 2007 con cessione di crediti nei confronti della G. Italia s.p.a. (per euro 2.480.000,00) e con un giroconto per errata imputazione di euro 399.999,00.
Secondo la ricostruzione operata dall’Ufficio, le operazioni rientravano nell’ambito di un più complesso piano avente finalità elusive, desumibili dai seguenti fatti verificatisi nel 2006:
a) la trasformazione da s.r.l. in s.a.s. delle tre società cedute, fatto che aveva comportato la tassazione in capo a P.M. s.r.I., socio al 99 per cento;
b) il conferimento dei rami d’azienda delle società V.E. s.r.l. e C.E. s.r.l. nella società G.L.S.E. s.r.l. (GLSE) senza alcun regolamento di denaro, ma con quote di partecipazione nella GLSE;
c) cessione di quote della GLSE da parte di V.E. s.r.l. e C.E. s.r.l. a G. Italia s.p.a., socio unico della GLSE;
d) lo scioglimento, in data 6 dicembre 2006, delle società V.E. s.r.I., C.E. s.r.l. e T.C.E. s.r.l.
2. Impugnato l’avviso di accertamento, la Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che l’operazione non fosse né simulata, né fraudolenta, né volta ad aggirare norme al fine di ottenere un indebito risparmio di imposta, dal momento che il contribuente, socio delle tre società cedute, aveva ceduto le partecipazioni con atti pubblici regolarmente registrati ed affrancato le plusvalenze relative alle partecipazioni cedute, a seguito di rivalutazione operata ex art. 5 della legge n. 448 del 2001.
3. All’esito dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva l’impugnazione, concludendo che i negozi intervenuti tra il M. e la P.M. s.r.l. fossero stati posti in essere al solo fine di conseguire vantaggi fiscali, ossia allo scopo di trasferire la tassazione degli utili in capo alla P.M. s.r.l. che non assolveva gli obblighi fiscali, tanto che l’Ufficio l’aveva qualificata nell’atto impositivo come «bara fiscale».
4. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione A.M., con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
Premesso che l’elusione necessita di presupposti, quali l’assenza di valide ragioni economiche, l’intenzione del contribuente di ottenere un risparmio di imposta diversamente non dovuto e l’aggiramento di obblighi e/o divieti previsti dall’ordinamento tributario, evidenzia che nel caso in esame i giudici regionali non hanno individuato alcun elemento che consenta di ritenere dimostrati l’irragionevolezza e l’anormalità dei singoli atti di cessione delle partecipazioni societarie, avendo incentrato la loro attenzione su attività che coinvolgono soggetti terzi.
Precisa che, per problemi di salute, aveva deciso di vendere le quote possedute all’interno delle tre società, individuando il possibile compratore; aveva provveduto a far redigere le perizie di stima al fine di quantificare il valore delle quote societarie e, conseguentemente, aveva pattuito il prezzo del corrispettivo che si era rivelato in linea con quelli praticati sul mercato.
Il pagamento – avvenuto mediante una cessione di credito – non aveva influito sulle ragioni economiche sottese all’operazione economica e le plusvalenze relative alle partecipazioni erano state affrancate a seguito di rivalutazione operata ex art. 5 legge n. 448 del 2001, cosicché il comportamento tenuto escludeva l’esistenza dei requisiti richiesti per l’applicazione del citato art. 37-bis.
2. Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., nonché dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., lamentando che la sentenza impugnata contiene una motivazione meramente apparente, consistente nella integrale riproduzione acritica dell’atto di appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ed addiviene alla condivisione delle argomentazioni presuntive dell’Amministrazione finanziaria senza procedere ad autonoma valutazione delle operazioni di cessione poste in essere.
3. Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e in ogni caso, illogica e insufficiente motivazione in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., laddove i giudici di appello hanno ritenuti fittizi ed elusivi i negozi giuridici conclusi con la società P.M. s.r.l.
Ribadisce che il percorso argomentativo seguito dalla C.T.R. risulta viziato proprio con riguardo al fatto decisivo riguardante la valutazione della sua estraneità all’intero complesso di operazioni economiche poste in essere da persone giuridiche sulle quali egli non aveva alcun potere, né di fatto né di diritto, essendosi limitato a cedere le proprie partecipazioni alla P.M. s.r.l. e ad affrancare le plusvalenze relative a seguito di rivalutazione operata ex art. 5 legge n. 448 del 2001.
4. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono infondati.
4.1. Occorre rammentare che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in termini, Cass., sez. 5, 3/02/2017, n. 2876; v. anche Cass., sez. U., 3/11/2016,n. 22232).
4.2. Sono, quindi, colpite dalla sanzione della nullità, oltre alle sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; Cass., sez. 6-3, 8/10/2014, n. 21257), anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass., sez. 3, 25/02/2014, n. 4448), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass., sez. U., n. 22232 del 2016, cit. e la giurisprudenza ivi richiamata).
4.3. La motivazione, in altri termini, è solo apparente — e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo — quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, 3/11/2016, n. 22232, cit.; in senso conforme, Cass., Sez. 6-5, 15/06/2017, n. 14927).
4.4. Peraltro, per effetto della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del di. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione» o di contraddittorietà della stessa (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053).
4.5. La motivazione della sentenza impugnata non rientra nelle gravi anomalie argomentative sopra individuate, in quanto non si pone al di sotto del «minimo costituzionale».
La C.T.R., infatti, ha accolto l’appello agenziale ritenendo che la catena negoziale successiva alla vendita delle quote societarie, complessivamente considerata, integri un’ipotesi di operazione esclusivamente finalizzata ad aggirare divieti imposti dalle norme tributarie ed a conseguire un indebito vantaggio fiscale.
5. Merita accoglimento il primo motivo di ricorso.
5.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, si considerano aventi carattere abusivo e possono essere disconosciute dall’Amministrazione finanziaria quelle operazioni che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano poste in essere al principale scopo di ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che introducono il tributo o prevedono esenzioni o agevolazioni, con la conseguenza che il carattere abusivo è escluso soltanto dalla presenza di valide ragioni extra fiscali (Cass., sez. 5, 21/1/2011, n. 1372).
Si è, infatti, ritenuta formata una clausola generale antielusiva, di matrice comunitaria per quanto attiene ai cd. tributi armonizzati, a partire dalla sentenza in causa C-255, Halifax, e, per le imposte dirette, di matrice costituzionale, traendo origine dall’art. 53 Cost., con conseguente obbligo di applicazione d’ufficio anche nel giudizio di legittimità.
Le Sezioni Unite di questa Corte, proprio con riguardo alle imposte dirette, hanno affermato che «non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale» (Cass., sez. U, 23/12/2008, n. 30057; in tema di cessione di quote e fusione per incorporazione, Cass., sez. 5, 30/11/2012, n. 21390; Cass., sez. 5, 15/01/2014, n. 653).
Si è, altresì, precisato che il divieto di abuso del diritto, il cui fondamento si rinviene nell’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non contrasta con il canone della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali da essa non derivanti, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali, e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretende di far discendere dall’operazione elusiva (Cass., sez. 5, 19/02/2014, n. 3938).
5.2. In punto di onere della prova, questa Corte ha affermato che «costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale» (Cass., sez. 5, 26/02/2014, n. 4603).
Ciò comporta che spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare perché la forma giuridica impiegata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa (Cass., sez. 5, n. 21390 del 30/11/2012; Cass., sez. 5, 20/05/2016, n. 10458), mentre ricade sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.
Tale regime, che nell’ordinamento comunitario è imposto dal principio di proporzionalità (Corte Giust. 17 luglio 1997 in causa 28/95, A Leur Bloem), nel sistema nazionale costituisce diretta applicazione dei principi di libertà d’impresa e di iniziativa economica (art. 42 Cost.), oltre che del principio di piena tutela giurisdizionale del contribuente (art. 24 Cost.).
In sostanza, «il carattere abusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass. Sez. U, 23/12/2008, n. 30055 e n. 30057; Corte Giust. UE, nei casi 3M Italia, Halifax, Part Service), presuppone quanto meno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass., sez. 5, 30/11/2012, n. 21390) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass., sez. 5, 26/02/2014, n. 4604)» (Cass., sez. 5, 16/03/2016, n. 5155, in motivazione).
5.3. Come questa Corte ha avuto modo di rilevare, l’applicazione del principio impone di trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa e quando si sia in presenza di ristrutturazioni societarie che avvengono nell’ambito di grandi gruppi di imprese, non potendo la strategia sul mercato dei gruppi di imprese essere valutata come quella dell’imprenditore singolo (Cass. n. 1372 del 2011, cit.).
5.4. Nell’intento di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, la Commissione europea ha diramato agli Stati membri la Raccomandazione 2012/772/UE secondo la quale «una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro “sostanza economica”» (§ 4.2); ha, in particolare, precisato che «ai fini del punto 4.2, la finalità di una costruzione o di una serie di costruzioni artificiose consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili» (§ 4.5) e che «Ai fini del punto 4.2, una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso» (§ 4.6) (Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 438; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 439, in motivazione).
Il carattere abusivo va, quindi, escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali (Cass., sez. 5, 4/04/2008, n. 8772; Cass., sez. 5, 21/04/2008, n. 10257), che non necessariamente si identificano in una redditività immediata dell’operazione (Cass., sez. 5, 30/11/2012, n. 21390), potendo consistere in esigenze di natura organizzativa e che determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente (Cass., sez. 5, 21/01/2011, n. 1372; Cass., sez. 5, 26/02/2014, n. 4604), per cui, in tema di prova, l’attenzione deve essere incentrata sulle modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità a una normale logica di mercato (Cass., sez. 5, 21/01/2009, n. 1465; Cass., sez. 5, 24/07/2013, n. 17955).
6. Nella stesura della sentenza d’appello non v’è traccia di manipolazioni, alterazioni o artifici operati sugli schemi negoziali tipici.
Il contribuente ha scelto di percorrere la strada della cessione alla società P.M. s.r.l. delle partecipazioni societarie detenute nelle società V.E. s.r.I., C.E. s.r.l. e T.C.E. s.r.I., che è stata attuata mediante atti pubblici regolarmente registrati, ed ha poi provveduto ad affrancare le plusvalenze delle partecipazioni cedute, previa rivalutazione effettuata ai sensi dell’art. 5 della legge n. 448 del 2001.
Il giudice di merito, seguendo la tesi del fisco, ha sostenuto che il ricorrente «si sia servito della P.M. s.r.l. quale soggetto da interporre tra se stesso ed il gruppo G. al fine di trarre reciproci benefici fiscali», traendo tale convincimento da fatti successivi alla vendita delle partecipazioni societarie, ai quali l’odierno ricorrente è rimasto estraneo, senza soffermarsi a valutare in concreto, alla luce della costruzione prospettata dal fisco, se le cessioni operate dal M. presentassero, quale unico elemento predominante ed assorbente, lo scopo di eludere il fisco e se fossero irragionevoli in una normale logica di mercato.
In sostanza dal tenore della decisione di merito non si evince se le cessioni poste in essere dal ricorrente mancassero di sostanza economica e se fossero finalizzate ad un mero risparmio fiscale, che si ha quando, tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso, poiché non c’è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione.
7. In conclusione, la sentenza va cassata, con rinvio al giudice di merito che, attenendosi ai principi sopra richiamati, dovrà procedere a nuovo esame con adeguata motivazione al fine di verificare se le cessioni delle partecipazioni societarie oggetto di contestazione integrino gli estremi della condotta elusiva ex art. 37- bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
Al giudice di rinvio resta altresì devoluta la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il secondo ed il terzo motivo di ricorso; accoglie il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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