CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 ottobre 2019, n. 27836
Tributi – IRPEF – Lavoro dipendente – Liquidazione della quota di partecipazione a Fondenel – Importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 – Assoggettamento a tassazione separata – Legittimità
Ritenuto che
M.R. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 2251/08/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 2.05.2014, la quale, in sede di giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., aveva rigettato la domanda di rimborso originariamente introdotta per la somma di € 105.471,14 per imposte non dovute.
Ha rappresentato che la controversia traeva origine dalla istanza di rimborso tesa ad ottenere la restituzione delle ritenute fiscali effettuate, a suo dire indebitamente, da Fondenel al momento della liquidazione della propria quota di partecipazione al Fondo, pari ad € 458.570,13 e sulla quale erano stati trattenuti € 162.792,40 applicando l’aliquota del 35,50% e non quella del 12,50%, che il contribuente riteneva corretta (e corrispondente al minor importo di € 57.321,26). L’Ufficio aveva rigettato l’istanza, sostenendo che correttamente fosse stata applicata l’aliquota media determinata per la tassazione separata ai fini dell’indennità di fine rapporto.
Il M., che invece riteneva del tutto illegittimo il regime impositivo applicato, sostenendo di contro che alle prestazioni erogate in forma di capitale, in dipendenza di contratti di assicurazione a capitalizzazione maturati a favore degli iscritti, la ritenuta dovesse essere operata nella misura del 12,50% (peraltro sulla differenza tra il capitale erogato e i premi riscossi, ai sensi dell’art. 42, co. 4 del TUIR, ratione temporis vigente), aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che con la sentenza n. 207/25/2005 aveva accolto il ricorso, dichiarando tassabile l’intero importo con l’aliquota agevolata ed accogliendo integralmente il ricorso introduttivo.
La sentenza era confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in sede d’appello (sent. n. 57/01/07). Impugnata tale pronuncia, questa Corte, con sentenza n. 8317/2012, aveva cassato la decisione della Commissione regionale, rinviando il processo al giudice d’appello per il riesame del merito della controversia, somministrando il principio di diritto cui attenersi per la sua definizione.
All’esito del giudizio di rinvio la Commissione Tributaria Regionale lombarda, con la sentenza oggetto del presente ricorso, aveva rigettato il ricorso introduttivo del contribuente.
Questi censura la decisione con sei motivi.
Con il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 6, l. n. 482 del 1985, 42 co. 4 (ratione temporis vigente), 16 e 17, d.P.R. n. 917 del 1986, 1, co. 5, d.l. n. 669 del 1986, 16 e 17, d.P.R. n. 917/1986, in relazione agli artt. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente confuso la disciplina fiscale applicabile alla liquidazione della quota di partecipazione alla gestione del capitale accantonato riferibile alla fattispecie Fondenel con quella relativa alla fattispecie PIA, distinte, secondo la prospettazione dei ricorrenti, anche nella decisione delle Sezioni Unite menzionate nel giudizio rescindente (13642/2011);
con il secondo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 167 c.p.c., 7 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente negato l’adempimento dell’onere della prova da parte del contribuente, laddove l’Agenzia non aveva neppure contestato le somme quantificate dai ricorrenti a mezzo della allegata certificazione Enel;
con il terzo per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 63 co. 1 del d.lgs. n. 546 del 1982, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., sempre in riferimento agli oneri della prova e alla conseguente violazione del regime dei poteri istruttori del giudice tributario;
con il quarto per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver correttamente sindacato sulla individuazione della tipologia di rendimento, essendovi contrasto sulla riferibilità o meno di esso allo specifico impiego del capitale accantonato nel Fondo sui mercati finanziari;
con il quinto per l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., relativamente alla quantificazione del rendimento;
con il sesto per nullità della sentenza per violazione dell’art. 63 d.l.gs. n. 546 del 1992, e degli artt. 384 e 392 c.p.c., perché il giudice regionale avrebbe dato una motivazione solo apparente del principio enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza di rinvio.
Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza con decisione nel merito in riferimento al diritto al rimborso delle imposte indebitamente versate.
Si è costituita l’Agenzia, che ha eccepito l’inammissibilità e nel merito l’infondatezza dei motivi, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il contribuente ha depositato memoria ai sensi 380 bis.l c.p.c.
Considerato che
I motivi, che possono essere trattati unitariamente perché, sotto i profili degli errores in iudicando o in procedendo e del vizio motivazionale afferiscono comunque sempre alla medesima questione, ossia l’errata interpretazione del principio somministrato dal giudice di legittimità nella sentenza che, accogliendo le doglianze della Agenzia, aveva cassato la precedente pronuncia del giudice regionale e rinviato per una nuova valutazione delle ragioni del rimborso d’imposte richiesto, sono infondati.
Nella pronuncia ora al vaglio della Corte la Commissione regionale ha affermato che la sentenza n. 8317/2012 del giudice di legittimità aveva cassato la precedente decisione del giudice d’appello, rimettendo al giudice del rinvio la nuova valutazione della controversia, perché non risultava sufficientemente motivata <<in ordine all’accertamento degli investimenti concretamente effettuati sul mercato finanziario dal Fondo ENEL e sulle plusvalenze con essi ottenute, così da determinare l’importo corrispondente al cd. rendimento finanziario.>>. A tal fine la sentenza di legittimità formulava il principio di diritto, richiamandosi a quello espresso dalle Sez. U nella sentenza n. 13642/2011, secondo cui <<In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della I. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a) e 17 del d.P.R. n. 917 (TUIR).>>. Sempre in motivazione ha poi richiamato il passaggio della sentenza rescindente, nel quale si afferma che <<In tal guisa la sentenza gravata omette di accertare se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario; quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali.>>. Proseguendo, ha quindi rilevato che il giudice di legittimità <<ha ritenuto necessario che fosse accertato in fatto, al di là delle certificazioni (certificazione Enel e perizia Pinna), ritenute evidentemente non indicative ed esaurienti sul punto, con una analisi dei meccanismi di funzionamento del FODENEL/PIA quanta parte delle contribuzioni fossero state concretamente investite dal mercato finanziario con i relativi eventuali rendimenti e con i meccanismi di ripartizione di tali rendimenti. Questo era l’onere probatorio gravante sulla parte ricorrente (al quale non può sopperire il giudice d’ufficio) Ed anzi, dalle stesse considerazioni svolte nell’ultima memoria prodotta dalla ricorrente rimane escluso che le somme raccolte con le contribuzioni siano state investite nel mercato finanziario, essendo state invece utilizzate in autofinanziamento dalla stessa Enel, che si assumeva in proprio gli obblighi di finanziamento e di liquidazione del Fondo…>>.
Dunque, sintetizzando, dalla decisione del giudice del rinvio si desume che il ricorrente non avrebbe assolto alla prova sulla quantificazione del rendimento; che la documentazione allegata non proverebbe nulla di utile ai fini delle ragioni invocate dal contribuente; che mancano in conclusione i presupposti per l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, in assenza di rendimenti non derivanti da investimenti sui mercati finanziari.
Il ricorrente sostiene che la decisione violi regole interpretative della normativa, oltre ad essere affetta da omesse decisioni, sulla base di una considerazione di fondo, ossia che, quale dirigente Enel, aveva goduto di una polizza sulla vita e di invalidità permanente, valevole per i dirigenti di aziende industriali, che successivamente, con effetto dal 1° gennaio 1986, era stata convertita in trattamento di previdenza integrativa aziendale, cd. P.I.A. La natura assicurativa del fondo consentiva di applicare l’art. 6 l. n. 482 del 1985, fattispecie preservata anche dopo l’intervento delle Sez. U, per la diversità sostanziale delle “fattispecie Fondenel e PIA”, solo alla prima delle quali la sentenza n. 13642 cit. avrebbe fatto riferimento, trattando del “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Invece la fattispecie PIA riguarderebbe <<il caso del mero rendimento di polizza così come individuato dall’art. 6 della legge 26 settembre 1985. >>.
Fatta questa distinzione, il ricorso prosegue nella “sua” ricostruzione ermeneutica della vicenda giuridica e nella stessa “interpretazione” del principio somministrato dalle Sez. U. del 2011, assumendo che, distinto Fondenel -fondo previdenziale complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente- dalla fattispecie PIA, al “rendimento di polizza” di quest’ultima debba applicarsi l’aliquota prevista dall’art. 6, l. n. 482 del 1985, pari al 12,50%, preservandosene la natura previdenziale-assicurativa propria della PIA. Tale rendimento di polizza sarebbe corrispondente alla differenza tra i contributi versati dalla azienda, e in misura minore dal lavoratore, e le prestazioni maturate sino alla corresponsione della quota del Fondo al momento del pensionamento, differenza appunto corrispondente al “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”. Ma questa “componente” altro non sarebbe che il “rendimento di polizza” da tassare al 12,50%. A tal fine sostiene che, in base all’accordo sindacale (Enel – FNDAI) del 17 aprile 1986, la <<PIA è stata tenuta ad operare come Fondo a prestazione predefinita>> (pag. 15 del ricorso) con dotazione <<da subito, in misura adeguata, delle cosiddette Riserve Matematiche ossia della disponibilità liquida che gravava sull’Enel in conformità agli obblighi derivanti dall’accordo del 1986.>> (pag. 10 del ricorso) sicché, come illustrato dai periti attuariali incaricati di realizzare un elaborato individuale, <<la redditività degli accantonamenti effettuati a bilancio dall’Enel per il finanziamento delle prestazioni garantite dalla P.I.A. è stata considerata pari a quella ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’Enel nel corso dell’attività operativa svolta dalla società.>> (pag. 10 del ricorso). In altri termini <<la gestione delle risorse poteva essere affidata al datore di lavoro il quale era quindi legittimato a investire tali fondi all’interno della propria attività economica con il vincolo della erogazione della prestazione, realizzandosi quindi un investimento interno all’azienda.>> (pagg. 15/16).
Sulla base di questa ricostruzione si fondano le censure alla decisione del giudice del rinvio, ora al vaglio della Corte.
Esse non trovano fondamento perché la ricostruzione proposta dalla difesa del ricorrente, pur suggestiva, non risponde al principio somministrato dalle Sez. U con la sentenza n. 13642 del 2011, come peraltro reiteratamente riaffermato e chiarito nelle successive decisioni del giudice di legittimità, che questo collegio condivide e a cui intende dare continuità.
Quella sentenza infatti è riferita al fondo per i dirigenti Enel, e “denominato Fondenel (in precedenza denominato PIA)” -pag. 2, righi 11/12 della decisione a Sez. U- sicché tale automatica successione, secondo la stessa ricostruzione offerta dal Collegio di legittimità nella composizione più autorevole, rende di per sé problematica la pretesa distinzione tra l’uno e l’altro dei fondi, come invece pretende parte ricorrente. Per maggior chiarezza, la PIA era la struttura di gestione previdenziale dismessa nel 1998, i cui fondi, accumulati negli anni, furono trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una tipologia di previdenza complementare a capitalizzazione individuale. Trattasi pertanto di un fenomeno successorio che, nell’evoluzione normativa e delle finalità stesse dei Fondi di gestione per la previdenza complementare, non trova, per le ragioni appresso accennate, una netta separazione circa le regole fiscali applicabili.
La sentenza delle Sez. U in particolare, dopo aver dato conto della evoluzione normativa, avverte il <<difficile approccio del legislatore italiano con la previdenza complementare, che ha delineato un percorso incerto della disciplina di queste forme integrative trasformate nel tempo da ”tutela assicurativa”, rispondente al principio del risparmio finanziario (che trova la propria garanzia costituzionale nell’art. 47 della Carta fondamentale), a “tutela previdenziale”, rispondente al principio del risparmio previdenziale (che trova la propria garanzia costituzionale nell’art. 38 della Carta fondamentale): la differenza principale tra le due forme di risparmio sta nel fatto che, nel primo caso l’investimento concerne una somma che è già patrimonio del soggetto, mentre nel secondo caso, l’investimento concerne una somma che origina da redditi di lavoro.>> (pag 8 della sentenza a Sez. U). Nel prosieguo la sentenza ha registrato che la scelta per una tassazione netta tout court analoga a quella applicata ai redditi di lavoro è intervenuta solo a partire con il d.lgs. n. 124 del 1993 (art. 13 co. 9 introdotto dall’art. 11, l. n. 335 del 1995) e solo relativamente alle prestazioni erogate in forma di capitale a favore di soggetti iscritti ad enti di previdenza complementare in epoca successiva all’entrata in vigore del suddetto decreto. Invece per gli iscritti in data anteriore ha ritenuto che il sistema dovesse contemplare un doppio binario di trattamento fiscale, non potendo ignorarsi la “composizione strutturale delle prestazioni stesse”. Ciò perché <<…nel caso concreto, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione di mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Sicché possono essere tassate in modo analogo al TFR esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie PIA), si applica la tassazione nella misura del 12,50% ai sensi dell’art. 6, della legge 26 settembre 1985, n. 482….>> (pag. 9 della sentenza).
La piana lettura del passaggio motivazionale delle Sez. U esclude dunque, e innanzitutto, una distinzione tra Fondenel e PIA, come invece pretende la difesa del ricorrente. Per maggior chiarezza, collegando questa affermazione con quanto precisato a pag. 2 cit., Fondenel è la denominazione del fondo, prima denominato PIA, sicché alcun pregio ha la pretesa diversità dei fondi in essa contenuti.
Va esclusa dunque la diversità delle fattispecie e la circostanza che si faccia riferimento alla “fattispecie Pia” -collocata tra parentesi- vuol significare solo che si sta analizzando il caso concreto e va letta in stretto collegamento con quanto si afferma nel precedente passaggio argomentativo, costituente l’affermazione del principio generale, che distingue la “sorte capitale” dal “rendimento netto imputabile (solo quest’ultimo) alla gestione sul mercato da parte del Fondo del “capitale accantonato”. Rispetto al principio generale affermato a pag. 9, la circostanza che il principio di diritto, formulato a pag. 10, menzioni il solo sintagma “rendimento” non svilisce il riferimento alla composizione complessiva, costituita da “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”.
L’interpretazione della decisione n. 13642 del 2011 ha d’altronde conferme, con significative precisazioni nei successivi arresti della Cassazione, che non ne scalfiscono l’impianto.
In particolare la successiva giurisprudenza di legittimità si è attestata su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rinvenienti dall’effettivo investimento del capitale accantonato da parte del fondo sul mercato finanziario, costituendone il rendimento (tra le tante, cfr. Cass. n. 29583/2011; 280/2012; n. 7724-7728/2013; n. 3136/2014; n. 1977/2015; n. 720/2017).
Si è infatti sostenuto che l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo ex art. 6, l. n. 482 del 1985 si giustifica in ragione della equiparazione tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e quelli corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione, posta dagli artt. 41 (ora 44), co. 1, lett. g- quater), e 42 (ora 45), co. 4, del TUIR. È stato anzi evidenziato che l’applicazione non è dunque direttamente riconducibile all’art. 6 della l. 482 del 1985 (espressamente riferita solo ai capitali corrisposti da «imprese di assicurazione» in dipendenza di «contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato»), ma solo in via analogica ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione; analogia a sua volta giustificata dalla comune considerazione delle due fattispecie nel TUIR quali ipotesi omogenee dì redditi di capitale. Non si è mai dubitato dunque che la ragione della eventuale assoggettabilità a detto meccanismo dei capitali corrisposti ai dirigenti Enel aderenti al descritto fondo di previdenza integrativa non vada ricercata -neppure con riferimento a quelli riferibili agli accantonamenti operati in regime di P.I.A. prima del 1998- nella natura assicurativa della prestazione, né tanto meno del soggetto erogante, quanto piuttosto nella possibilità di ravvisare in quelle prestazioni redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione.
Solo se e in quanto nei capitali corrisposti possano identificarsi «redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione» è giustificabile l’applicazione del meccanismo impositivo previsto dall’art. 6 legge n. 482 cit., dovendosi pertanto escludere la possibilità di distinguere tra P.I.A. e Fondenel -ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato P.I.A. e rendimenti riferibili invece alla gestione Fondenel del periodo successivo- e considerare i primi comunque assoggettabili al detto meccanismo in ragione di una presunta (ma insussistente) natura assicurativa delle prestazioni (cfr. Cass., sent. n. 24525 del 2017).
Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50% ex art. 6 della l. n. 482 del 1985 i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto conseguito dalla gestione sul mercato -da parte del fondo- del capitale accantonato.
Se da un lato, per quanto detto, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, dall’altro però si è detto che non v’è ragione di ulteriormente circoscrivere tale requisito ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario, secondo l’indicazione contenuta nella Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’Agenzia delle entrate e avallata da diverse sentenze successive alla pronuncia delle Sezioni Unite (cfr. le citate Cass. nn. 7724-7728 del 2013; n. 3136 del 2014; n. 1977 del 2015), ma invece non contenuta in quest’ultima che, del tutto condivisibilmente, parla soltanto di «gestione sul mercato», senza alcuna aggettivazione. Il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla «gestione sul mercato» del capitale accantonato identifica invero la ragione stessa della più favorevole tassazione di tale reddito rappresentata dall’essere questo il risultato degli investimenti effettuati dall’ente di gestione della somma versata, investimenti che, se certamente saranno per lo più indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), nulla esclude possano esserlo anche verso altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).
Si è peraltro precisato che <<deve però di certo escludersi che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito). Tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel) costituisce infatti comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale>> (sempre la citata Cass., 24525 del 2017).
La ricostruzione ermeneutica della disciplina dunque, come già rappresentato nella pronuncia n. 13642 cit., distingue in modo inequivocabile il trattamento fiscale di quanto corrispondente al capitale accantonato (secondo le regole della tassazione separata propria della struttura previdenziale dei redditi di lavoro) e del rendimento netto imputabile alla gestione di mercato (secondo le regole fissate nell’art. 6 cit., analogicamente applicabili per certa ricostruzione della vicenda giuridica, al 12,50%). Quest’ultimo trattamento, in conclusione va applicato solo al rendimento di gestione del capitale sul mercato, anche finanziario ma non solo, se e nella misura conseguita e, sul piano processuale, se e nella misura provata.
Ciò chiarito, è infondato il primo motivo perché le argomentazioni della decisione ora al vaglio della Corte sono coerenti con il principio di diritto prescritto nella fase rescindente di legittimità, cui il giudice del rinvio doveva adeguarsi, senza che possa farsi questione di distinzione di trattamento dei fondi accumulati in PIA e in Fondenel.
Sono infondati i motivi secondo e terzo, con i quali la sentenza del giudice regionale è criticata con riguardo alle valutazioni espresse in ordine alla carenza di prova offerta dai contribuenti relativamente al rendimento conseguito. Per quanto infatti chiarito, a parte l’inammissibilità del secondo motivo, che, nel sostenere che l’Agenzia non aveva neppure contestato i conteggi e le risultanze peritali allegate nel processo dal M., dimentica, così non osservando il principio di autosufficienza, di riprodurre gli atti di controparte omissivi di ogni contestazione, nel merito la difesa non coglie nel segno. La decisione del giudice regionale non aveva necessità di contestazioni, perché è proprio la pretesa prova del rendimento allegata dai contribuente a rivelarsi del tutto inadeguata, alla luce del significato attribuito dal giudice del giudizio rescindente, e dunque della giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto sin dal 2011, a dimostrare che il rendimento del capitale fosse proprio quello raccolto con investimenti sul mercato finanziario, o comunque almeno, per quanto già chiarito, sul mercato tout cour (anche immobiliare). A tal fine è sufficiente evidenziare che pacificamente è la stessa difesa del ricorrente a riferire che era stata prodotta una perizia documentante l’ammontare delle somme versate dal lavoratore-dirigente e quelle a carico della Società ed a precisare che entrambe le somme sono state investite nella struttura aziendale dell’ENEL anziché sui mercati finanziari, così determinandosi il rendimento senza ricorso all’investimento sui mercati finanziari. E questo fenomeno è ampiamente descritto e reiteratamente giustificato in tutto il percorso argomentativo del ricorso.
Null’altro a questo punto doveva aggiungere il giudice del rinvio a fronte di una dichiarazione così inequivoca e, a prescindere dalla meritevolezza o meno delle ragioni esplicitate, in contrasto con i principi enucleati dal giudice di legittimità.
Infondati sono i motivi quarto e quinto, perché, proprio per quanto chiarito nelle argomentazioni addotte dal giudice regionale, non emergono vizi motivazionali per omesso esame su questioni controverse e decisive. La sentenza infatti registra che solo sui rendimenti originati da impieghi del capitale accumulato nel fondo sul mercato finanziario era possibile applicare il trattamento fiscale agevolato, laddove le difese del contribuente ammettevano che non vi era stato alcun impiego sui mercati (di qualunque genere).
È anche del tutto irrilevante che la perizia attuariale fosse stata prodotta solo in sede di rinvio e non in precedenza, poiché trattasi del documento che, in qualunque momento fosse stato allegato al processo, costituiva la più limpida conferma della assenza di qualunque impiego di somme sul mercato, in contrasto con le emergenze richieste dai principi di diritto elaborati dal giudice di legittimità, da applicare nel giudizio di rinvio.
Infondato infine è il sesto motivo, perché la motivazione del giudice del rinvio è tutt’altro che apparente, dando atto al contrario delle ragioni della decisione, coerente con il principio di diritto applicabile.
In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato.
Ritenuto che
Al rigetto del ricorso segue la soccombenza del ricorrente anche nelle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
Sussistono inoltre i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, previsto dall’art. 13 co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1- bis del medesimo articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore della Agenzia delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Si da atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.