CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2019, n. 24321
Tributi – Dirigente ENEL – Cessazione rapporto di lavoro – Prestazioni erogate in forma capitale da fondi previdenziali integrativi – Regime di tassazione applicabile
Ritenuto in fatto
1. Va innanzitutto premesso che la controversia trae origine dall’impugnazione, da parte di M.F., del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso delle ritenute operate dal fondo previdenziale denominato F., in precedenza P., nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro come dirigente ENEL, il fondo predetto aveva corrisposto al contribuente una somma di denaro, in luogo del trattamento di pensione integrativa. La somma corrisposta era frutto della trasformazione, avvenuta nel 1986, di un trattamento assicurativo in base a polizza attivata dall’azienda per i propri dirigenti, in un rapporto previdenziale, che al momento della cessazione del rapporto di lavoro prevedeva la corresponsione di una rendita previdenziale o, in alternativa, come avvenuto nel caso di specie, di un capitale. Ad avviso del contribuente, la somma percepita era assoggettabile solo alla ritenuta del 12,50%, come i redditi di capitale, la cui base imponibile era determinabile secondo le disposizioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, (nel testo vigente precedentemente alla riforma del 2004, ora art. 44).
2. La tesi del M. era stata accolta sia dalla C.T.P. che dalla C.T.R. la quale aveva ritenuto corretto l’assoggettamento della prestazione erogata al più favorevole regime di tassazione, in quanto l’istituito fondo PIA, poi denominato F., non si poneva con finalità di integrazione del TFR, ma in soluzione di continuità con la Polizza assicurativa precedentemente stipulata dal contribuente, trovando la sua causa giuridica nel contratto di assicurazione, del tutto indipendente dal contratto di lavoro subordinato.
3. La controversia era poi pervenuta all’esame delle Sezioni Unite della Suprema Corte che con sentenza n. 13664/2011 aveva enunciato il principio secondo cui: «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette a seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 (TUIR), solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta dei 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6».
4. Con la stessa sentenza n. 13664/2011 del 24 maggio 2011 (depositata il 22 giugno successivo), le Sezioni unite civili, pronunciando sul ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate contro il M. avverso la sentenza della C.T.R. per il Lazio del 19 febbraio 2009, depositata il 24 marzo 2009, decidendo nel merito, aveva accolto parzialmente il ricorso originario del contribuente, dichiarando il diritto di quest’ultimo al rimborso della differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta e quanto dovuto a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% alle sole somme per il rendimento, compensando le spese dell’intero giudizio.
5. In data 8 novembre 2013 il M. ricorreva per l’ottemperanza al giudicato di cui all’anzidetta sentenza della Cassazione, lamentando la mancata erogazione del rimborso da parte dell’Ufficio, nonostante lo stesso risultasse disposto da sentenza definitiva munita di formula esecutiva; quindi, perdurando l’inerzia dell’amministrazione finanziaria, dopo lo spirare del termine previsto dall’art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, chiedeva, ai sensi dello stesso art. 70 citato, l’ottemperanza al giudicato di cui alla richiamata sentenza definitiva della Cassazione n. 13664/2011, con l’emanazione dei conseguenti provvedimenti, fino all’integrale rimborso della somma di euro 119.542,68, oltre agli interessi legali e la condanna dell’Ufficio al rimborso delle spese del giudizio per l’ottemperanza.
6. L’Agenzia delle entrate, si costituiva in giudizio chiedendo che la C.T.R., in assenza dei presupposti di legge, in riforma della sentenza impugnata, dichiarasse l’illegittimità del rimborso richiesto, con la condanna del contribuente al pagamento delle spese di giudizio.
7. La C.T.R. adita, con sentenza n. 2329/01/2014, pronunciata il 25/3/2014 e depositata il 10/4/2014, accoglieva il ricorso per ottemperanza e nominava commissario ad acta il direttore regionale delle entrate per il Lazio per l’esecuzione del giudicato.
8. Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo, cui resiste il M. con controricorso.
9. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. Con unico motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente deduce “violazione degli artt. 70 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4 c.p.c.”.
2. Assume in particolare l’Ufficio che per apprezzare la concreta portata della decisione e accertare, di conseguenza, la sussistenza e la misura del diritto al rimborso invocato dal contribuente, occorre prendere in esame il fulcro dell’impianto argomentativo della sentenza da ottemperare n. 13664/2011 della Suprema Corte, che si rinviene nel seguente passaggio della motivazione: «una scelta netta per una tassazione tout court analoga a quella applicata sui redditi di lavoro è operata solo con il D.Lgs. n. 124 del 1993, in particolare con l’art. 13, comma 9, introdotto dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 11, (la c. d. riforma Fini), riservandone però l’applicazione alle sole prestazioni erogate in forma capitale a favore di soggetti iscritti ad enti di previdenza complementare in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto. Per gli iscritti in epoca precedente, il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse, che, nel caso concreto, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte da una “sorte capitale” costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore dì lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato».
3. Ad avviso della ricorrente la C.T.R., quale giudice dell’ottemperanza, era tenuta tuttavia, a «verificare se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo, sul mercato, del capitale accantonato, e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego» in quanto solo in relazione a siffatto rendimento si giustifica l’applicabilità dell’aliquota del 12,50%.
4. In sostanza, la C.T.R. era tenuta previa disamina dei meccanismi di funzionamento del fondo F. nel corso degli anni – ad accertare se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali; sulla scorta di tale indagine, avrebbe poi potuto quantificare la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrispondesse al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro procedendo, quindi, al calcolo dell’imposta dovuta dal contribuente.
5. Il ricorso appare meritevole di accoglimento.
6. In accoglimento parziale del ricorso dell’Agenzia delle Entrate le Sezioni Unite hanno stabilito che, con riferimento agli importi versati sino al 31.12.2000, il diritto al rimborso della eccedenza di imposta versata rispetto alla aliquota del 12,50 % non doveva riguardare tutti gli importi erogati sino a tale data (come ritenuto nella sentenza impugnata), ma doveva essere limitato “alle somme liquidate per il rendimento”, ossia alle somme rinvenienti dall’investimento sul mercato del capitale accantonato, alle quali soltanto è applicabile l’aliquota del 12,50% propria dei redditi di capitale (S.U. n. 13642 del 2011).
7. Il giudizio di ottemperanza previsto dall’art. 70 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 doveva, quindi, constare nella interpretazione – integrazione del dictum rilevabile dalla sentenza passata in giudicato, la quale non contiene una diretta condanna della Amministrazione al rimborso di una somma prestabilita, ma afferma la regola iuris secondo cui il diritto al rimborso sussiste se e nella misura in cui nell’ambito degli importi maturati sino al 31.12.2000 sia individuabile e quantificabile una quota di somme costituenti provento dell’investimento del capitale accantonato sul mercato finanziario. In proposito deve essere ribadito il principio che l’art. 70 del d.lgs. citato – a mente del quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – deve essere interpretato nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, ma anche ogni altro “error in procedendo” nel quale sia incorso il giudice dell’ottemperanza ed, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere-dovere di interpretare ed eventualmente integrare il ”dictum” costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata o l’omesso esame di una pretesa che avrebbe dovuto trovare ingresso in quella sede (Sez. 5, Ordinanza n. 23487 del 28/09/2018, Rv. 650511 – 01).
8. Nello svolgimento del proprio dovere di interpretazione normativa rilevabile dal giudicato, ai fini della individuazione delle eventuali somme costituenti provento dell’investimento sul mercato finanziario alle quali soltanto – come stabilito dalla sentenza delle S.U. di cui si chiede l’ottemperanza – si applica la minore aliquota del 12,50 %, il giudice dell’ottemperanza dovrà attenersi all’ulteriore regola di diritto stabilita da questa Corte, con la sentenza n. 10285 del 26.4.2017, la quale ha ulteriormente specificato la nozione di somme rinvenienti dal “rendimento netto” imputabile alla gestione degli accantonamenti sul libero mercato di cui alla sentenza S.U. n. 13642 del 2011, escludendo che il suddetto rendimento da investimenti sul mercato sia “corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’Enel” e possa corrispondere agli importi “calcolati attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate”.
9. In conclusione, sentenza va cassata con conseguente rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, per il riesame in relazione alle censure accolte, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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