CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2019, n. 24370
Rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno – Regolarizzazione della posizione contributiva – Differenze retributive
Rilevato che
La Corte d’Appello di Bari, con sentenza resa pubblica in data 7/4/2017, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, accertava che tra F. D’A. e la CAA CAF UIMEC s.r.l. era intercorso dal 1° marzo al 20 dicembre 2007 un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, e condannava la società al pagamento, in favore della lavoratrice, della somma di euro 8.048,61 a titolo di differenze retributive spettanti in relazione all’ordinario orario di lavoro prestato, nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva in relazione al periodo considerato.
La Corte distrettuale, in estrema sintesi, perveniva a tali approdi sull’essenziale rilievo della carenza di prova in ordine all’esistenza fra le parti di un contratto di lavoro a tempo parziale, come prospettato da parte appellata, ed in applicazione della tutela approntata ex art.8 d. Igs. n.61 del 2000.
Avverso l’anzidetta pronuncia interpone ricorso per cassazione la CAA CAF UIMEC s.r.l. affidato a due motivi, successivamente illustrati da memoria, ai quali resiste con controricorso la parte intimata.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 8 legge n. 61 del 2000 in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c.. Ci si duole che la Corte di merito abbia disposto un non corretto scrutinio delle acquisizioni probatorie relative alla stipula di un contratto di lavoro a tempo parziale.
Si deduce che la comunicazione di assunzione del 1/3/2007, pur se sottoscritta dalla sola parte datoriale, costituiva formale proposta cui le parti avevano dato esecuzione, ed in cui l’accettazione era stata resa per facta concludentia. Inoltre le risultanze istruttorie avevano fatto emergere chiaramente l’orario ed i giorni di lavoro effettivamente prestati dalla lavoratrice, come desumibile dalle deposizioni rese dai testi L. e V.. Ci si duole altresì che il giudice del gravame non abbia tenuto conto della circostanza incontroversa, secondo cui la D’A. aveva intrattenuto due distinti rapporti di lavoro: con la CAA CAF UIMEC s.rj. al mattino, e con la Camera Sindacale UIL, al pomeriggio. Si deduce che tale esegesi dei dati istruttori ridondava in termini di erronea applicazione dei dettami di cui alle disposizioni richiamate, in tema di riconoscimento delle differenze retributive relative ad un rapporto di lavoro full-time.
2. La seconda critica prospetta vizio di motivazione ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.
Si lamenta che la Corte di merito non abbia valutato la comunicazione di assunzione in data 1/3/2007 allegata alla memoria difensiva di costituzione, la mancata contestazione della documentazione prodotta nonché le deposizioni testimoniali concernenti i giorni ed all’orario di lavoro prestato dalla D’A. “che avevano resa manifeste le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa”, avvalorate dalle dichiarazioni rese dalla medesima ricorrente in sede di interrogatorio formale.
3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.
Si impone innanzitutto l’evidenza del difetto di specificità che li connota, non risultando conformati al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, secondo i precetti impartiti ex art. 366 comma primo nn. 3, 4 e 6 c.p.c.
In base alle richiamate disposizioni, il ricorrente deve infatti specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, al fine di consentire alla Corte di legittimità – che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino – di verificare ex actis, se quanto lo stesso afferma, trovi effettivo riscontro (vedi per tutte Cass. 4/10/2018 n. 24340, Cass. 13/11/2018 n. 29093).
Nello specifico, non viene riportato il tenore degli atti ai quali le censure fanno esplicito richiamo (comunicazione di assunzione del 1/3/2007, pag. 7 ricorso; ammissione da parte della lavoratrice, di svolgimento di attività lavorativa presso la UIL di Conversano di cui al verbale di udienza 29/11/2012, pagg. 9 e 13 ricorso), così non sottraendosi la formulata critica ad un giudizio di inammissibilità per le generiche modalità della tecnica redazionale adottata.
Né la carenza strutturale del ricorso qui rimarcata, può ritenersi suscettibile di sanatoria all’esito della produzione nel contesto della memoria illustrativa, della comunicazione di assunzione datata 1/3/2007 – che si ribadisce accettata implicitamente con l’esecuzione del contratto – e di alcune buste paga attinenti al periodo controverso.
Nel nuovo rito camerale di legittimità “non partecipato” che conserva la facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni già contemplata dall’art. 378 c.p.c., l’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di “ratio” – è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (vedi sul punto Cass. 28/11/2018 n. 30760, Cass. 23/8/2011 n. 17603 e Cass. 29/3/2006 n. 7237). L’applicazione dell’indicato consolidato indirizzo giurisprudenziale non può subire limitazioni di alcun genere con riferimento anche al rito camerale “non partecipato”, atteso che detto rito per la sua natura e le sue finalità osta a che si introducano nel giudizio elementi che ne impediscano la concentrazione e la speditezza disattendendo il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) attraverso l’allungamento del giudizio di legittimità (cfr. per quanto attiene al rito camerale in genere ex plurimis: Cass. 23/8/2007 n.17937; Cass. 19/8/2003 n. 12158; e specificamente per il nuovo rito camerale non partecipato Cass. 9/3/2018 n. 5665 e Cass. 2/3/2017 n. 5371).
3. Inoltre, non può sottacersi che le doglianze, anche ove recano la denuncia del vizio di violazione di legge, mirano a pervenire sostanzialmente, ad una rinnovata valutazione del compendio probatorio acquisito, non consentita nella presente sede.
In particolare, con il primo motivo, dopo aver ribadito che la comunicazione di assunzione seppur sottoscritta dalla sola parte datoriale, costituiva formale proposta alla quale le parti avevano di fatto dato esecuzione per facta concludenza, la società lamenta un erroneo scrutinio., da parte della Corte territoriale, del quadro istruttorio delineato in prime cure e dal quale sarebbero,a suo dire, desumibili chiaramente, l’orario ed i giorni di lavoro svolti dalla D’A.
Lamenta poi, che la Corte, oltre a non aver tenuto conto dell’esistenza della prova scritta del contratto a tempo parziale, abbia del tutto trascurato di considerare “la circostanza pacifica che la sig. D’A. aveva due distinti rapporti di lavoro:uno con la CAA CAF UIMEC s.r.l. e l’altro con la Camera Sindacale UIL nel pomeriggio…”; ed in tal senso si duole che la Corte sia pervenuta al riconoscimento pieno delle differenze retributive in favore della lavoratrice, nonostante i diversi approdi ai quali erano pervenute le risultanze istruttorie.
Ma la doglianza non può essere condivisa, ove si consideri che il giudice del gravame ha disposto corretta applicazione della disposizione invocata, argomentando con affermazione non censurabile in questa sede, ed ai sensi dell’art. 8 1.61/2000 che in mancanza di prova scritta – che nella materia delibata è richiesta ad probationem nei rigorosi limiti di cui all’art. 2725 c.c. – su richiesta del lavoratore potrà essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata, fermo restando il diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese prima di quella data.
Sulla base della specialità della materia giuslavoristica la normativa del d. Igs. n. 61 del 2000 va interpretata in senso favorevole al lavoratore – parte debole del rapporto negoziale – trovando decisivo supporto nel principio disposto dall’art. 2126 c.c., la cui ratio è stata ravvisata da autorevole dottrina nella volontà di dare riconoscimento ad attività lavorative che, anche se eseguite sine causa, appaiono meritevoli di tutela per la subordinazione che le caratterizzano. Ragione questa che contrariamente a quanto avviene per il lavoro autonomo sta alla base dell’efficacia estensiva del citato art. 2126 c.c. in materia di lavoro subordinato (cfr. per l’applicazione estensiva dell’art. 2126 c.c. ex plurimis: Cass. 5/2/2019 n. 3314; Cass. 21 novembre 2016 n. 23645).
In tal senso non appaiono decisive le considerazioni espresse da parte ricorrente, che intende inferire dalle dichiarazioni testimoniali rese in prime cure in ordine allo svolgimento della attività lavorativa da parte della D’A., nel periodo che qui interessa, lo svolgimento di prestazioni di lavoro in orario pomeridiano, in favore della diversa società UIL, circostanze queste già escluse dal giudice del gravame, all’esito del vaglio della articolata attività istruttoria esperita in primo grado.
In definitiva, alla stregua delle sinora esposte argomentazioni, il ricorso è respinto.
Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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