CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20918
Mobilità del personale – Diritto a conservare il trattamento giuridico ed economico in godimento al momento del passaggio – Inquadramento nei ruoli del Ministero
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Roma, adita dal Ministero delle Infrastrutture, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso proposto da M.A. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe ed aveva: dichiarato il diritto dei ricorrenti a mantenere l’indennità di specificità organizzativa e la polizza sanitaria integrativa di cui al C.C.I. della Presidenza del Consiglio dei Ministri; accertato il diritto degli appellati a partecipare alle procedure di riqualificazione del personale previste dagli accordi sindacali del 13 giugno 2007 e 9 aprile 2008; condannato il Ministero al pagamento delle differenze retributive, alla riattivazione della polizza e ad avviare le procedure sopra indicate;
2. la Corte territoriale ha rilevato che, a seguito della soppressione del R.I.D. – e del trasferimento delle funzioni al Ministero delle Infrastrutture, i dipendenti avevano continuato a svolgere le medesime mansioni e pertanto, in virtù dei principi affermati da questa Corte in tema di mobilità del personale, avevano diritto a conservare il trattamento giuridico ed economico in godimento al momento del passaggio, che andava garantito mediante l’attribuzione di un assegno ad personam pari all’ammontare dell’indennità di specificità organizzativa, da corrispondere a far data dal 30 aprile 2008 sino al riassorbimento nei miglioramenti contrattuali successivi;
3. il giudice d’appello ha, invece, escluso che gli originari ricorrenti potessero pretendere la conservazione della polizza sanitaria integrativa e l’attivazione delle procedure di riqualificazione previste per il personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ha rilevato che, a seguito dell’inquadramento nei ruoli del Ministero, la disciplina contrattuale del rapporto doveva essere quella prevista per i dipendenti del Comparto Ministeri;
4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.A. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., ai quali ha opposto difese il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha notificato controricorso con ricorso incidentale, affidato ad un’unica censura;
5. con atto depositato il 2 marzo 2020 il Procuratore Generale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità di entrambe le impugnazioni ed ha svolto in via subordinata, considerazioni in merito all’infondatezza del ricorso principale.
Considerato che
1. con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano, ex art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 175, del d.l. n. 262/2006 e degli artt. 30, 31, 2, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 nonché «carente motivazione in ordine al concetto di status giuridico» e addebitano alla Corte territoriale di non avere considerato che la disciplina generale dettata dal d.lgs. n. 165/2001 può essere derogata da disposizioni speciali, nel caso di specie dettate dal legislatore che con l’art. 2 del d.l. n. 262/2006 aveva assicurato ai dipendenti del soppresso R.I.D. la conservazione, non solo del trattamento economico in godimento, ma anche dello stato giuridico ed aveva in tal modo garantito al personale dell’ente tutti i diritti, le facoltà e le posizioni di vantaggio possedute al momento del passaggio;
1.1. attraverso il rinvio alla motivazione di precedenti di merito, i ricorrenti principali sostengono, in sintesi, che lo “status giuridico” non si esaurisce nel trattamento economico e, quindi, la norma speciale era evidentemente tesa ad assicurare la conservazione di tutti gli istituti previsti dal CCNL per il personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che continuava a disciplinare i rapporti in luogo di quello applicabile ai dipendenti dell’amministrazione di destinazione;
2. la seconda censura del ricorso principale, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., denuncia «omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 3 comma 53 L. 537/93 sulla non riassorbibilità dell’assegno ad personam»;
3. infine con la terza critica, rubricata «art. 360 comma 1 n. 3 violazione dell’art. 3 L. 357/93 nonché dell’art. 2 comma 175 d.l. 262/06; mancata considerazione di tutte le voci continuative nel calcolo della retribuzione di fatto concorrente alla determinazione dell’assegno ad personam; computabilità della polizza quanto meno del suo valore economico; art. 360 comma 1 n. 4 omessa motivazione», i ricorrenti principali sostengono che, poiché l’accensione della polizza è configurabile come un beneficio accessorio del rapporto di lavoro e costituisce una forma di retribuzione indiretta, la stessa doveva essere monetizzata ed il suo valore doveva essere apprezzato ai fini della quantificazione dell’assegno personale;
4. il ricorso incidentale, con l’unico motivo formulato ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., denuncia «insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che il Ministero non avesse contestato l’identità delle mansioni svolte prima e dopo il passaggio;
4.1. al contrario l’appellante aveva dedotto che l’indennità di specificità organizzativa è legata all’effettuazione di specifiche prestazioni proprie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non previste dalla contrattazione integrativa del Ministero dei Trasporti, ed aveva aggiunto che dopo il trasferimento il personale del soppresso R.I.D. era stato inserito in una diversa organizzazione e, quindi, non poteva pretendere l’erogazione di indennità legate alla particolarità del lavoro in precedenza svolto;
5. il primo motivo del ricorso principale è ammissibile nella parte in cui, addebitando alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 175, del d.l. n. 262/2006, denuncia un vizio, riconducibile alla previsione di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., in relazione al quale la contrattazione integrativa della quale si invoca l’applicazione rileva solo in via mediata, perché la doglianza si incentra sull’interpretazione non del contratto, bensì della fonte normativa;
5.1. il motivo, peraltro, è infondato in quanto non è condivisibile l’esegesi del richiamato art. 2 che i ricorrenti prospettano per sostenere che, anche dopo il trasferimento dal R.I.D. al Ministero delle Infrastrutture, il rapporto doveva rimanere disciplinato dalla contrattazione applicabile al personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
5.2. con l’art. 9 della legge n. 183/1989 il legislatore istituì presso la Presidenza i Servizi Tecnici Nazionali, dotati di autonomia scientifica, tecnica, organizzativa ed operativa, nei quali confluirono le analoghe strutture già esistenti presso i ministeri dei lavori pubblici e dell’ambiente e si previde che il relativo personale dovesse essere inquadrato dapprima in ruoli transitori e successivamente in quelli del nuovo ordinamento «fatti salvi lo stato giuridico ed il trattamento economico comunque posseduti»;
5.3. l’art. 91 del d.lgs. n. 112/1998 soppresse il Servizio Nazionale D. trasformandolo in Registro Italiano D., ente pubblico non economico del quale il regolamento approvato con d.P.R. n. 136/2003 dettò la specifica disciplina quanto all’organizzazione, ai compiti ed al funzionamento, prevedendo anche, all’art. 14, che «ferma restando l’applicazione dell’art. 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165» sarebbe stato trasferito al R.I.D. il personale appartenente al ruolo del Servizio Nazionale D. nonché, su domanda, quello comandato da altra amministrazione presso il servizio medesimo;
5.4. il richiamato art. 14, sul presupposto della complessità delle procedure di nuovo inquadramento, stabilì, al comma 7, che fino al completamento delle stesse «ed alla stipulazione del primo contratto integrativo collettivo del RID, al personale trasferito al RID di cui al comma 5 è mantenuto il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti attali e loro rinnovi applicati presso gli enti, le amministrazioni ed organismi di provenienza al momento dell’inquadramento»;
5.5. è per effetto di quest’ultima disposizione che ai dipendenti del R.I.D. provenienti dal soppresso Servizio, nonostante l’avvenuto trasferimento in altro comparto, l’ente ha continuato ad applicare gli istituti economici e normativi previsti dalla contrattazione nazionale ed integrativa applicabile al personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
5.6. l’evento che, ai sensi dell’art. 14, avrebbe dovuto segnare il passaggio dal regime transitorio a quello definitivo, ossia la stipulazione del contratto integrativo del RID, non si è mai verificato, perché il legislatore con l’art. 2 del d.l. n. 262/2006, convertito dalla legge n. 286/2006, ha soppresso il Registro Italiano ( comma 170), ne ha trasferito le competenze al Ministero delle Infrastrutture ( comma 171), e, quanto al personale, ha previsto che lo stesso dovesse conservare «lo stato giuridico ed economico in godimento» ( comma 175);
5.7. per effetto del richiamato art. 2 si è dunque verificato un passaggio di personale riconducibile alla previsione dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 che, a sua volta, rinvia all’art. 2112 cod. civ., e che questa Corte, quanto all’individuazione della contrattazione collettiva applicabile all’esito del trasferimento, ha interpretato affermando che il passaggio di personale comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa ed in un mutato contesto di regole normative e retributive, immediatamente applicabili al rapporto, perché la momentanea ultrattività della contrattazione collettiva applicata dal cedente è limitata, dal terzo comma dell’art. 2112 cod. civ., alla sola ipotesi in cui il cessionario non abbia recepito alcun contratto, evenienza, questa, esclusa nell’impiego pubblico contrattualizzato dall’operatività della disciplina dettata, quanto alla contrattazione, dal d.lgs. n. 165/2001 (cfr. fra le più recenti per l’impiego pubblico Cass. n. 6756/2020 e per l’impiego privato Cass. n. 19303/2015);
5.8. si tratta di principi conformi a quelli affermati dalla Corte di Giustizia che, nell’interpretare la direttiva 2001/23, applicabile anche agli enti pubblici, ha sottolineato che quest’ultima mira ad assicurare, in caso di trasferimento d’impresa, il giusto equilibrio fra gli interessi dei lavoratori e quelli del cessionario, il quale non può essere vincolato da «una clausola di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e stipulati dopo la data del trasferimento» se non «abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti» (Corte di Giustizia 18.7.2013 in causa C- 426/11 Alemo Herron e Corte di Giustizia 27.4.2017 in cause riunite C- 680/15 e C-681/15 Asklepios);
5.9. la pretesa dei ricorrenti, a detta dei quali il rapporto di impiego doveva continuare ad essere disciplinato dalla contrattazione per il personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pur dopo il passaggio alle dipendenze del Ministero delle Infrastrutture, è quindi destituita di fondamento, perché contrasta con i principi di diritto sopra richiamati, principi che non sono stati derogati dalla previsione della conservazione dello “stato giuridico ed economico in godimento”;
5.10. con detta espressione il legislatore non ha certo inteso cristallizzare la disciplina dei rapporti del personale trasferito né prevedere un regime speciale rispetto a quello generale dettato dall’art. 31 d.lgs. n. 165/2001, avendo solo perseguito l’obiettivo di ribadire la continuità dei rapporti, che comporta il mantenimento del livello retributivo raggiunto e dello “status”, ossia dell’anzianità e della qualifica, al fine di salvaguardare la posizione già acquisita e di scongiurare mutamenti in peius del trattamento economico e della professionalità;
5.11. la pretesa ultrattività della contrattazione relativa ad altro comparto, che contrasta con tutti i principi sui quali si fonda il d.lgs. n. 165/2001, ivi compreso quello della parità di trattamento di cui all’art. 45, comma 2, proprio per il suo carattere del tutto eccezionale, avrebbe richiesto una specifica e chiara affermazione, come avvenuto in passato con la disposizione dettata dall’art. 14 del d.P.R. n. 136/2003, che, appunto, aveva mantenuto il trattamento giuridico ed economico previsto dai CCNL applicati al momento del passaggio, ma ciò aveva fatto solo in via transitoria ed al fine di evitare che nelle more delle procedure di nuovo inquadramento si verificasse un vuoto quanto agli istituti disciplinati dalla contrattazione integrativa;
5.12. si deve poi aggiungere che l’esegesi prospettata dai ricorrenti, una volta soppresso il RID e divenuta impossibile la sottoscrizione del contratto integrativo di ente, renderebbe definitivo un regime che in sede regolamentare era stato previsto, in via eccezionale, solo come temporaneo, il che dovrebbe poi indurre ad interrogarsi sulla conformità della norma, così interpretata, oltre che al diritto eurounitario, ai canoni di imparzialità, economicità e buon andamento fissati dall’art. 97 Cost., posto che non si ravvisano ragioni idonee a giustificare il regime di favore rispetto alla disciplina riservata agli altri rapporti di impiego;
6. le censure sviluppate nel primo e nel secondo motivo quanto al preteso vizio motivazionale sono inammissibili alla luce dell’orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ed al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui « la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta» (Cass. S.U. n. 2731/2017);
6.1. la sentenza impugnata, che ha ritenuto inapplicabile il contratto integrativo invocato dagli appellati, ed ha ritenuto fondata l’originaria domanda solo limitatamente all’inclusione dell’indennità di specificità organizzativa nell’assegno personale, espressamente dichiarato riassorbibile, è corretta, quanto al primo aspetto, per le ragioni indicate nei punti che precedono e, quanto alla riassorbibilità, perché la pronuncia è conforme al principio di diritto secondo cui, in caso di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra, ai dipendenti «sono garantiti la continuità giuridica del rapporto di lavoro e il mantenimento del trattamento economico per il quale, ove risulti superiore a quello spettante presso l’ente di destinazione, opera la regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti per effetto del trasferimento, secondo il principio generale di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendosi contemperare, in assenza di una specifica previsione normativa, il principio di irriducibilità della retribuzione, con quello di parità di trattamento dei dipendenti pubblici stabilito dall’art. 45 del medesimo d.lgs. » (Cass. n. 4193/2020 e la giurisprudenza ivi richiamata);
6.2. è stato affermato anche che il dipendente che transiti, come nella fattispecie, da un ente pubblico allo Stato o viceversa non ha diritto a percepire l’assegno ad personam previsto dall’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957, innovato dall’art.3, comma 57, della legge n. 537 del 1993 atteso che detta norma non esprime un principio di carattere generale e si riferisce esclusivamente ai casi di passaggio di carriera da parte dei dipendenti statali (Cass. n. 17645/2009 e Cass. n. 19437/2018);
7. infine è inammissibile il terzo motivo, con il quale si censura il capo della sentenza impugnata che non ha incluso nell’assegno personale il valore economico della polizza sanitaria integrativa, perché la critica è tutta incentrata sulla natura retributiva della polizza in questione, e, pertanto, al di là della formulazione della rubrica, finisce per addebitare alla Corte territoriale un errore commesso nell’interpretazione della contrattazione integrativa e nella comparazione fra il beneficio in questione ed il trattamento assicurato ai dipendenti ministeriali dall’iscrizione alla Cassa di Previdenza ed Assistenza;
7.1. il motivo nella sostanza si fonda sulle previsioni della contrattazione integrativa e non è scrutinabile, sia perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., sia perché non indica i criteri di ermeneutica contrattuale che la Corte territoriale avrebbe violato;
7.2 i contratti integrativi attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001;
7.3. in relazione a detti contratti, pertanto, valgono gli oneri sopra indicati, sicché il ricorrente è tenuto al deposito degli stessi, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole che si assumono erroneamente interpretate dalle Corte territoriale ( si rimanda, fra le tante, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 20872, 2709, 95 del 2018);
7.4. i ricorrenti non hanno riportato nel ricorso il contenuto delle clausole contrattuali rilevanti e non hanno fornito indicazioni in merito al tempo ed al luogo di produzione del C.C.I.;
7.4. va precisato al riguardo che l’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto e tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., per cui si può ritenere soddisfatta, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante il deposito di quest’ultimo, ma a condizione che nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato depositato e si indichi la sede in cui il documento è rinvenibile (Cass. n. 27475/2017);
8. sulla base dei principi richiamati nei punti che precedono deve essere dichiarato inammissibile anche il ricorso incidentale, perché la valutazione sulla fondatezza o meno della censura, quanto alla natura dell’indennità di specificità organizzativa, presuppone l’esame della disciplina dettata dalla contrattazione integrativa;
8.1. il motivo è parimenti inammissibile nella parte in cui tende a sostenere che doveva essere esclusa l’asserita identità delle mansioni, che la Corte territoriale ha ritenuto provata valorizzando il principio di non contestazione;
8.2. questa Corte ha già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte ( Cass. n. 3680/2019);
8.3. la censura, inoltre, non è riconducibile al vizio di cui al riformulato art. 360 n. 5 cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie ratione temporis, che consente di denunciare in sede di legittimità, nei modi indicati da Cass. S.U. n. 8053/2014, solo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di contestazione fra le parti;
9. in via conclusiva deve essere rigettato il ricorso principale mentre va dichiarato inammissibile quello incidentale, sicché la soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio di legittimità;
9.1. ai fini e per gli effetti indicati da Cass. S.U. n. 4315/2020 si deve dare atto della sussistenza, quanto al ricorso principale, delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002;
9.2. le richiamate condizioni non ricorrono quanto all’impugnazione incidentale perché la norma non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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