CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2021, n. 26603

Attività libero professionale – Iscrizione alla Gestione separata di cui all’art. 2, co. 26, L. n. 335/1995 – Accertamento del requisito di abitualità

Rilevato che

1. la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello dell’INPS, confermando, con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda di A. M. e dichiarata l’insussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, L. n. 335/1995, in relazione all’attività libero professionale svolta dal predetto (dipendente di società privata) nell’anno 2009 quale ingegnere;

2. la Corte d’appello ha rilevato: “non vi è in causa alcuna prova che l’appellato, nel periodo in contestazione (2009), abbia esercitato abitualmente l’attività di ingegnere e risulta che il reddito imponibile per l’anno in questione, derivante dalla libera professione, fosse nettamente al di sotto della soglia…” di euro 5.000,00 annui, di cui all’art. 44, comma 2, d.l. 269/2003;

3. ha aggiunto che “escluso il carattere continuativo (o abituale …) dell’esercizio della libera professione, l’obbligo dell’ing. A. di iscrizione alla gestione separata neppure poteva seguire al compimento occasionale di atti per i quali l’iscrizione all’albo è obbligatoria, per essere comunque il reddito da lui conseguito ben inferiore alla soglia di euro 5.000,00 annui, di cui all’art. 44, comma 2, d.l. 269/2003 nell’anno in contestazione”;

4. avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; M. A. ha resistito con controricorso;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Considerato che

6. con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 26 -31, della legge n. 335/1995, dell’art. 18, commi 1 e 2, d.l. n. 98/2011, conv. con mod. dalla legge n. 111/2011, dell’art. 21, comma 8, della legge n. 247/2012, dell’art. 44, comma 2, dl. 269/2003, conv. con mod. dalla I. 326/2003, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.;

7. ha ribadito l’obbligo di iscrizione alla gestione separata per coloro che svolgono in modo abituale l’attività professionale, in base al disposto dell’art. 2, comma 26, I. 335 del 1995 cit., come interpretato autenticamente dall’art. 18, comma 12, d.l. 98 del 2011 cit., non venendo in considerazione l’art. 44, comma 2, d.l. 269 del 2003 cit., che disciplina la diversa ipotesi del lavoro occasionale;

8. ha censurato la sentenza d’appello per aver trascurato due circostanze incontestate: il mancato inserimento del reddito da lavoro autonomo tra i redditi diversi nel modello Unico e la titolarità della partita IVA che, ai sensi dell’art. 1, DPR 633/72, si applica alle operazioni effettuate nell’esercizio di arti e professioni da intendere, in base all’art. 5 del citato decreto come “esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo”;

9. il ricorso non può trovare accoglimento;

10. questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. n. 4419 del 2021; n. 12419 del 2021; n. 12358 del 2021);

11. dirimente, ai fini dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, deve considerarsi, secondo le sentenze richiamate, il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno; con la precisazione che nell’accertamento in fatto del requisito di abitualità possono rilevare “le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività” oppure, in senso contrario, “la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad euro 5.000,00”, senza  che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo;

12. nel caso di specie, la sentenza impugnata ha  valorizzato, quale indice negativo di abitualità, la percezione da parte dell’ingegnere nell’anno in contestazione di un reddito inferiore al limite dei 5.000,00 euro, nonché l’assenza di elementi probatori di segno diverso della cui deduzione era onerato l’INPS;

13. il motivo di ricorso dell’INPS è inammissibile perché denuncia un errore di diritto, con specifico riferimento alle disposizioni che disciplinano l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, là dove l’accertamento della abitualità pone una questione di fatto, veicolabile nei ristretti limiti tracciati da questa S.C. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ. (v. Cass., S.U. n. 5083 del 2014); le censure  mosse investono invece la valutazione degli indici di abitualità come eseguita dalla Corte di merito e così come formulate non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità;

14. le considerazioni esposte conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso;

15. la novità della questione oggetto di causa, affrontata solo di recente dalla giurisprudenza di legittimità, giustifica la compensazione delle spese di lite;

16. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,  pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.