CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 agosto 2021, n. 23635
Contratto di agenzia – Riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro – Indici della subordinazione – Prova
Rilevato che
1. Con la sentenza n. 1992/2019 la Corte di appello di Roma ha rigettato il gravame proposto avverso la pronuncia n. 5376/2015, emessa dal Tribunale della stessa sede, con la quale erano state respinte le domande proposte da C.N., nei confronti della S.E.L. spa, con cui era intercorso un contratto di agenzia, dirette al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, con ogni conseguenza economica derivante da tale individuazione.
2. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, hanno rilevato che le allegazioni e le deduzioni del lavoratore non consentivano di ravvisare gli indici della subordinazione nel rapporto intercorso tra le parti e che le prove articolate erano inidonee a dimostrare i relativi presupposti.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione C.N. affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la S.E.L. con controricorso.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
5. C.N. ha depositato memoria.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o comunque la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 2094 c.c., all’art. 421 c.p.c., nonché all’art. 2697 c.c., per avere errato la Corte territoriale nel non avere ritenuto chiariti gli elementi della subordinazione -che erano, invece, stati dettagliatamente indicati negli atti introduttivi- e per non avere ritenuto idonee le prove offerte, senza acquisire, eventualmente anche di ufficio, quelle ritenute necessarie.
3. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c., con riferimento alla mancata ammissione delle istanze istruttorie richieste da esso ricorrente e, in particolare, delle prove testimoniali appositamente e specificamente dedotte, tese alla dimostrazione della sussistenza degli elementi della subordinazione.
4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e/o comunque della falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 24 Cost. perché, con la decisione adottata dalla Corte di merito, era stato leso il diritto di difesa di esso attore.
5. Preliminarmente deve darsi atto che, in considerazione della sospensione dei termini processuali disposta dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020, in virtù degli artt. 83 D.l. n. 18/2020 e 36 D.l. n. 23/2020, entrambi convertiti in legge, l’attività di costituzione (notifica del controricorso e relativo deposito) della controricorrente è stata rite et recte espletata, per cui va dichiarato il non luogo a provvedere in ordine alla istanza di rimessione in termini presentata dalla società solo in via cautelativa.
6. Ciò premesso, il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
7. E’ infondato relativamente alla individuazione degli elementi della subordinazione (denunciata violazione, da parte del ricorrente, dell’art. 2094 c.c.), che sono stati, in pratica, correttamente riscontrati dai giudici di seconde cure nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro: requisiti che consentono di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo (in ordine ai principi di diritto, cfr. Cass. n. 13858/2009; Cass. n. 5645/2009).
8. E’, invece, inammissibile nella parte in cui vengono censurati l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
9. Inammissibile è anche la dedotta violazione dell’art. 421 c.p.c. (mancato esercizio dei poteri officiosi da parte del giudice) perché occorreva che la parte avesse investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori e sollecitandone l’esercizio (Cass. n. 22534/2014; Cass n. 25374/2017).
10. Infine, inammissibile è pure la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 17313/2020).
11. Anche il secondo motivo è inammissibile.
12. L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
13. Con riguardo ai suddetti motivi è opportuno, inoltre, ribadire che, in materia di procedimento civile, il controllo di legittimità sulle pronunzie dei giudici di merito demandato alla Corte Suprema di Cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è preordinato all’annullamento delle pronunzie viziate da violazione di norme sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero viziate da omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, e che le parti procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. (per tutte Cass. n. 1317/2004).
14. Il terzo motivo è, infine, infondato alla luce di un risalente ma pur sempre valido precedente di legittimità secondo cui le limitazioni di mezzi di prova stabilite per legge, con parità per tutti i cittadini e per finalità di interessi generali non costituiscono violazione dell’art 24 Costituzione, in quanto non escludono la tutela giudiziaria dei diritti, ma disciplinano soltanto l’accertamento della esistenza del diritto, con le garanzie di formalità fissate per legge. (Cass. n. 3708/1968).
15. In ogni caso, deve precisarsi che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. n. 25573/2020).
16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
17. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
18. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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