CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 dicembre 2018, n. 33678
Contratto di formazione e lavoro – Inefficacia – Conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
Rilevato
che la Corte d’appello confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dalla lavoratrice in epigrafe nei confronti di Riscossione Sicilia s.p.a., volta alla declaratoria di invalidità ed inefficacia del contratto di formazione e lavoro stipulato in data 15 marzo 2002 con la società, con conseguente conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e statuizioni consequenziali;
che la Corte territoriale riteneva sussistente in capo al dott. F. la legittimazione a stare in giudizio per la società, in ragione della procura concernente l’esercizio in via ordinaria dei poteri relativi alla gestione tecnico amministrativa della medesima – tra i quali rientrava specificamente il potere di rappresentare la società in giudizio – al predetto rilasciata dal Presidente della Società (a sua volta titolare dei poteri di gestione tecnico amministrativa, comprensivi della rappresentanza in giudizio, con facoltà di delega); riteneva la validità del contratto di formazione e lavoro per esistenza di un valido progetto formativo e per l’infondatezza del dedotto difetto di rappresentanza in capo al dott. C., che aveva sottoscritto per conto della società la lettera di assunzione, tenuto conto che in ogni caso il 16 febbraio 2009 la società aveva proceduto a ratificare ai sensi dell’art. 1399 c.c., con efficacia ex tunc, tutti i contratti di formazione-lavoro stipulati in esecuzione di delibera del Consiglio di amministrazione e sottoscritti da funzionari cui non era stato conferito appositamente il potere di rappresentanza della società; escludeva la sussistenza di un inadempimento rispetto agli obblighi formativi di rilevanza tale da determinare la conversione del contratto di formazione e lavoro in contratto di lavoro a tempo indeterminato;
che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la lavoratrice sulla base di tre motivi, illustrati mediante memoria;
che la società ha resistito con controricorso;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Considerato
che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, ex art. 360 punto 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 2384 c.c. e 75 e 77 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto e dichiarato la legittimazione processuale del soggetto costituitosi in nome e per conto della Riscossione Sicilia s.p.a., tale dott. F., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva che, in base alle norme citate, in una società di capitali la rappresentanza processuale spetta agli amministratori o ad altri soggetti cui sia stata conferita dallo Statuto o dal Consiglio di Amministrazione, purché detto conferimento avvenga unitamente a quello dei poteri di rappresentanza sostanziale, ciò in correlazione con il principio di ineludibile necessità di collegamento tra diritto alla tutela giurisdizionale e affermazione della titolarità del diritto sostanziale (artt. 75 e 77 c.p.c.). Rileva che il dott. F., in persona del quale ha agito Riscossione Sicilia, non era investito dei necessari poteri di rappresentanza processuale e sostanziale, mancando una valida procura institoria, tale non potendo essere ritenuta la procura speciale richiamata nella sentenza, la quale non conferiva poteri sostanziali in ordine al rapporto oggetto del giudizio ma solo “poteri relativi alla gestione tecnico – amministrativa”, ad essi in alcun modo assimilabili;
che, premesso che difetta la prospettazione di un vizio di motivazione a termini della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., come risultante dall’interpretazione di Cass. SU n. 8053 del 07/04/2014, con conseguente inammissibilità della relativa censura, deve rilevarsi l’infondatezza del residuo profilo di critica prospettato con il motivo di ricorso, attinente a violazione di legge, poiché dalla sentenza della Corte d’appello si evince che il potere di rappresentanza era stato conferito al Finanze dal Presidente della società, cui erano stati attribuiti i poteri anche sostanziali di gestione, a ciò abilitato dal Consiglio di Amministrazione “con facoltà di delega”. E poiché la delega conferita dal Presidente al Finanze mediante procura riguardava anche l’esercizio “in via ordinaria dei poteri relativi alla gestione tecnico-amministrativa della società”, è dato ravvisare quella coincidenza del potere rappresentativo di natura sostanziale (tale essendo quello amplissimo di gestione amministrativa della società) con quello di natura processuale richiesto per la sussistenza di valida procura (in tal senso Cass. n. 24179 del 16/11/2009 e, analogamente Cass. n. 16274 del 31/07/2015: <In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della “legitimatio ad processum” del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo. (Nella specie è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un istituto di credito tramite un difensore munito di procura rilasciata non già dal legale rappresentante dell’istituto medesimo, ma dal funzionario responsabile del recupero crediti per due sole Regioni e delegato a compiere “la cura diretta di quanto occorre in ordine alla difesa del Banco nel primo grado di giudizio“)>;
che con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, ex art. 360 punto 3 c.p.c., dell’art. 8 c. 7 I. 407 del 29/12/1990, avendo la Corte d’appello ritenuto e dichiarato soddisfatto il requisito della forma scritta ad substantiam del contratto di formazione e lavoro, conseguentemente rigettando la dedotta conversione dello stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Osserva che il predetto requisito di forma non poteva ritenersi rispettato, essendo il contratto in argomento privo di valida sottoscrizione in quanto siglato da soggetto, il dott. C., in capo al quale non era stata documentata l’esistenza dei necessari poteri di firma e rappresentanza contrattuale della società;
che con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, ex art. 360 punto 3 c.p.c., dell’art. 8 c. 7 I. 470 del 29/12/1990 e all’art. 1399 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile l’istituto della ratifica ad una fattispecie di invalidità ex lege non suscettibile di sanatoria. Osserva che la Corte d’appello aveva erroneamente inquadrato la fattispecie contrattuale oggetto di contestazione qualificandola come ipotesi di contratto concluso dal falsus procurator, come tale non nullo ma inefficace e suscettibile di essere ratificato, purché nel rispetto dell’onere della forma scritta, laddove il contratto era in primo luogo invalido per violazione dell’onere della forma imposto dall’art. 8 I. 407/1990, norma introdotta dal legislatore al fine di tutelare il lavoratore attraverso la garanzia della forma scritta e la specifica sanzione, in caso di inosservanza, della conversione del contratto di formazione e lavoro in contratto di lavoro a tempo indeterminato;
che il secondo e il terzo motivo, da esaminare unitariamente per l’intima connessione, sono infondati;
che sul punto va richiamato preliminarmente il principio enunciato da Cass. n. 17895 del 22/08/2007, in forza del quale <L’onere della forma scritta “ad substantiam”, previsto ora espressamente dall’art. 8, comma 7, della legge 29 dicembre 1990 n. 407, per la stipulazione del contratto di formazione e lavoro di cui all’art. 3 del d.l. 30 ottobre 1984 n. 726 (convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984 n. 863), la cui inosservanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, è richiesto soltanto per il profilo di specialità che connota e qualifica detto contratto rispetto all’ordinario contratto di lavoro subordinato e cioè per la clausola concernente il progetto formativo e non già per l’insorgenza stessa del vincolo contrattuale in virtù dell’incontro delle volontà negoziali. Ne consegue che l’esigenza di protezione che è sottesa alla prescrizione di forma (e cioè di fissare in un documento scritto – e dunque ben riconoscibile – il progetto formativo, così da rendere pienamente consapevole il lavoratore interessato del sottotipo contrattuale che si trova a stipulare) è soddisfatta ove l’assunzione, contenente appunto il progetto formativo, sia effettuata per iscritto e la lettera di assunzione sia consegnata al dipendente, non potendo però reputarsi che detto onere di forma, seppur così circoscritto, possa essere surrogabile (come invece erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata) dalla mera comunicazione dell’assunzione del lavoratore all’ufficio del collocamento. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito (Cass. n. 18817 del 07/08/2013) che il requisito della forma scritta, previsto “ad substantiam” dall’art.8, comma 7, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, è correlato alla enunciazione per iscritto del progetto formativo, così da rendere il dipendente pienamente consapevole del sottotipo contrattuale che si trova a stipulare;
che ciò premesso, va rilevato che nel caso in disamina non è in discussione la redazione per iscritto del progetto formativo allegato al contratto, per essere controverso esclusivamente l’aspetto attinente alla validità della sottoscrizione di un contratto pacificamente redatto in forma scritta, anche per quanto attiene al progetto formativo, sicché il dedotto vizio di forma non si rivela in alcun modo correlato alla peculiare esigenza di tutela presa in considerazione dall’art.8, comma 7, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 e alla sanzione prevista dalla legge speciale;
che, pertanto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto risolutiva l’intervenuta ratifica del contratto da parte della società, avvenuta il 16 febbraio 2009 ai sensi dell’art. 1399 c.c., ritenuta valida in quanto intervenuta mediante atto dotato della medesima forma richiesta ad substantiam per il contratto cui accede (in tal senso Cass. n. 21844 del 25/10/2010: <La ratifica di un contratto soggetto alla forma scritta “ad substantiam”, stipulato da “falsus procurator”, non richiede che il “dominus” manifesti per iscritto espressamente la volontà di far proprio quel contratto, potendo la ratifica essere anche implicita – purché sia rispettata l’esigenza della forma scritta – e risultare da un atto che, redatto per fini che sono conseguenziali alla stipulazione del negozio, manifesti in modo inequivoco la volontà del “dominus” incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere>);
che, per altro verso, va osservato che a pg. 13 della sentenza impugnata si legge che <non vi è dubbio che la società abbia pienamente accettato l’operato del dott. C., come dimostrato anche dai successivi atti in forma scritta (ivi comprese le buste paga rilasciate alla lavoratrice nel corso del rapporto e la stessa lettera con la quale si comunicava la cessazione del rapporto per scadenza del termine naturale apposto al contratto) provenienti dalla datrice di lavoro>. La Corte, pertanto, ha dato atto dell’intervenuta ratifica implicita del contratto di cui si discute e tale affermazione non risulta specificamente censurata da parte ricorrente;
che, infine, infondato si appalesa il quarto motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione, ex art. 360 punto 3 c.p.c., con riferimento all’art. 91 c.p.c., in relazione alla condanna della parte medesima al pagamento delle spese di lite, poiché la liquidazione delle spese è avvenuta correttamente secondo il criterio della soccombenza;
che, pertanto, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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