CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 dicembre 2020, n. 30053
Rivalsa ritenuta d’imposta su risarcimento danni per occupazione usurpativa – Giurisdizione competente – Termine di impugnazione
Fatti di causa
Con sentenza non definitiva del 2011, il Tribunale di Taranto dichiarava sussistere la giurisdizione del giudice ordinario in ordine ad opposizione proposta da P.M.C. avverso il decreto n. 209/2009, col quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di € 12.224,31, in favore del Comune di Taranto, a titolo di rivalsa di imposta da quest’ultimo erogata quale sostituto, in relazione ad una transazione del 21/12/2007 relativa a risarcimento danni per occupazione usurpativa.
Con sentenza n. 3203/2014, il Tribunale rigettava l’opposizione, ritenendo che, in applicazione dell’art. 11 legge 413/1991 riguardante l’obbligo di operare la ritenuta di imposta nella misura del 20% sulle plusvalenze afferenti ad indennità concernenti acquisizioni coattive di immobili, la pretesa monitoria era fondata.
Avverso queste sentenze, proponeva appello la sig.ra P.M.C., osservando che: la materia era devoluta alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie; il Comune non aveva provato il proprio credito, non avendo allegato il fascicolo di parte del procedimento monitorio; solo le plusvalenze erano assoggettabili a ritenuta fiscale, ossia la rivalutazione e gli interessi sulla somma erogata a titolo risarcitorio; nessun inadempimento le poteva essere contestato così da legittimare l’emanazione di un decreto ingiuntivo; la Carta Europea dei diritti dell’Uomo escludeva l’assoggettabilità ad imposta del risarcimento dovuto ai proprietari colpiti da espropriazione; il fatto giuridico generatore dell’obbligazione risarcitoria si era verificato nel 1978, molto tempo prima dell’entrata in vigore della legge n. 413/1991. Il Comune di Taranto contestava i motivi di gravame, eccependone in via preliminare la tardività.
La Corte di Appello di Taranto, con la sentenza n. 84/2018, depositata il 26/2/2018, dichiarava inammissibile l’appello, per tardività, essendo stata la sentenza definitiva di primo grado pubblicata il 3 novembre 2014 ed essendo stato successivamente notificato l’appello in data 16 dicembre 2015, ossia oltre il termine di un anno al tempo vigente per la proposizione dell’appello, termine maggiorato della sospensione feriale (1 agosto – 31 agosto, come riformato dal d.l. 132/2014).
Avverso la suddetta sentenza la sig.ra P.M.C. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/7/2018, affidato a sei motivi, nei confronti del Comune di Taranto, che non svolge difese.
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. La ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione ed errata applicazione dell’art. 1 della legge n. 742 del 1969, in relazione all’art. 11 e 12 delle preleggi, per aver la Corte d’Appello applicato il d.l. 132/2014, che ha acquistato efficacia solo dal 1° Gennaio 2015, retroattivamente ad un procedimento già in corso alla data di entrata in vigore ed in assenza di una disciplina transitoria, conteggiando così 30 giorni di sospensione feriale e non 45 giorni; 2) con il secondo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. in relazione agli artt. 1 e 5 c.p.c. ed all’art. 12 delle legge n. 448 del 2001, per aver errato il Tribunale, con la sentenza non definitiva, ad affermare la giurisdizione del Giudice Ordinario invece di quella della Commissione Tributaria; con il terzo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere il Tribunale omesso di esaminare la legittimità dell’obbligo di prelievo fiscale, considerando che il titolo del pagamento era ormai divenuta la transazione e non più la legge; con il quarto motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 633 e ss. c.p.c. e 645 c.p.c. in relazione agli art. 115 e 116 c.p.c. per non aver il primo Giudice correttamente applicato il principio dell’onere della prova; con il quinto motivo, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità del procedimento per ingiunzione di cui all’art. 633 c.p.c., per non essere la odierna ricorrente inadempiente in quanto l’unico obbligo esistente era in capo al Comune in virtù dell’Atto di Transazione; con il sesto motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione della normativa della CEDU per non avere il primo Giudice incluso, nell’importo dovuto a titolo di risarcimento del proprietario colpito da espropriazione indiretta, tutte le imposte dovute sulla stessa somma così come da principio sancito dalla Grand Chambre della Corte Europea.
2. Il primo motivo è infondato, con assorbimento delle restanti censure, concernenti il merito della lite.
La ricorrente sostiene che debba applicarsi il periodo di sospensione feriale di 46 giorni ai sensi della L. n. 741 del 1969, così come risultante dalla versione precedente alla modifica legislativa intervenuta con D.l. n. 142 del 2014 e convertito con L. n. 162 del 2014. Ciò in ragione del fatto che la suddetta Novella in tema di riduzione del periodo feriale non potrebbe essere applicata all’impugnazione di provvedimenti depositati prima della sua entrata in vigore, avvenuta il 1 Gennaio 2015.
In realtà, la giurisprudenza della Cassazione ha più volte affermato, a partire dal 2017, che la sospensione feriale nella versione introdotta dalla novella deve essere applicata naturalmente a partire dalla sospensione relativa all’anno 2015 indipendentemente dal momento in cui era stato pubblicato il provvedimento impugnato.
Questa Corte ha infatti affermato che «la riduzione della durata del periodo di sospensione feriale – attualmente decorrente dal 1 al 31 agosto di ogni anno ai sensi dell’art. 1 della l. n. 741 del 1969, nel testo modificato dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, conv. con modif. dalla l. n. 162 del 2014 – è immediatamente applicabile con decorrenza dall’anno 2015, in forza dell’art. 16, comma 1, dello stesso d. l., a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio, in attuazione, peraltro, del principio «tempus regit actum»» (Cass. n. 20866 del 2017; conf. Cass. 21674/2017) ovvero «la data di pubblicazione della sentenza» (11758/20167). Non vi è il denunciato contrasto (in particolare, Cass. n. 11226/2016, citata dalla ricorrente, si è occupata di declaratoria di inammissibilità di appello, in contenzioso tributario, proposto nel 2014, con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del 2014, anteriormente dunque all’entrata in vigore della Novella in oggetto).
3.Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il primo motivo di ricorso, con assorbimento delle restanti censure. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
respinge il primo motivo di ricorso, assorbite le restanti censure.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello clavuta per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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