CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 gennaio 2019, n. 2860
Tributi doganali – Introduzione irregolare di merce nel territorio doganale o sottrazione al controllo doganale – Finanziere addetto al controllo delle merci, autore di infedeli attestazioni – Concorrenza nel reato di contrabbando – Responsabilità solidale per il pagamento dei tributi evasi
Rilevato che
F. De C., finanziere addetto al controllo presso la dogana del Porto di Napoli, veniva indagato, insieme ad altri, per il reato di contrabbando di merce varia (videoregistratori, televisori e altro), risalente al 1992, per aver falsamente attestato il riscontro della merce giacente a bordo delle navi. Il giudizio penale si concludeva nel 2004 con la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
L’Agenzia delle dogane, pertanto, notificava in data 24 agosto 2007 invito di pagamento per il pagamento dei relativi tributi evasi, che veniva impugnato dal contribuente.
La Commissione tributaria provinciale di Napoli rigettava il ricorso; la sentenza era confermata dal giudice d’appello.
Il contribuente ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso.
Considerato che
1. Va disattesa, preliminarmente, l’eccepita inammissibilità del ricorso perché non notificato all’Avvocatura dello Stato ma direttamente all’Ufficio: l’Agenzia delle dogane, infatti, nel giudizio di merito era costituita in proprio, né risulta che sia stato conferito specifico incarico con la notifica della sentenza della CTR.
2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 24 I. n. 4 del 1929, 323 d.P.R. n. 43 del 1973 nonché illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Con la censura, infatti, il contribuente prospetta, al contempo, vizi motivazionali in ordine ai fatti asseritamente acquisiti al giudizio e alla loro ricostruzione (la conoscenza del pvc da parte del contribuente perché ricompreso nel fascicolo del processo penale), sia asserite violazioni di legge (il mancato rispetto della sequenza procedimentale per la formazione della pretesa tributaria), prospettazioni che ripete, promiscuamente, per tutte le argomentazioni che la caratterizzano senza che risulti possibile isolare parti specificamente riferite all’uno o all’altro dei profili sollevati.
Trova dunque applicazione l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (di recente, tra le altre, Cass. n. 18021 del 14/09/2016 e Cass. n. 10239 del 27/04/2018) secondo cui «nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure».
È poi inammissibile – e a maggior ragione – il motivo di ricorso nel cui contesto, come nella specie, trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione atteso che, oltre alle ragioni sopra evidenziate, il vizio di falsa applicazione della legge (che si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico) e il vizio per insufficienza e incongruenza della motivazione (che comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante) sono caratterizzate da «irridemibile eterogeneità» (v. Sez. U, n. 26242 del 12/12/2014) senza che vi possano essere alcuna giustapposizione.
2.3. Né ad esito diverso si perviene ove si voglia operare uno sforzo assegnando rilevanza al periodo con cui si chiude il motivo di ricorso («la mancata predisposizione del processo verbale di constatazione […] investe la legittimità del provvedimento in questione poiché emanato in violazione delle norme procedurali che regolano la materia dell’accertamento»), sia perché la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento, atteso che è in esso che si esterna ciò che si è constatato, sia perché, in realtà, tale censura (mancata esistenza del processo verbale di constatazione) risulta inammissibilmente nuova.
Quanto al dedotto vizio di motivazione, la doglianza, in ogni caso, neppure coglie la ratio della decisione della CTR, che non si è soffermata su aspetti meramente formali ma ha considerato che il contribuente aveva effettiva e concreta conoscenza dell’atto in quanto facente parte del fascicolo penale del processo cui era stato sottoposto.
3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 3 L. n. 241 del 1990, 7, L. n. 212 del 2000 per aver ritenuto legittima la motivazione per relationem dell’avviso notificato, nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto caratterizzato dalle stesse carenze sopra individuate.
3.2. La censura è comunque travolta dall’inammissibilità del primo motivo atteso che, acclarato che il contribuente avesse contezza del processo verbale, è legittima la motivazione per relationem all’atto medesimo (v. Cass. n. 30560 del 20/12/2017) e corretta la motivazione della CTR secondo la quale «l’atto impugnato è sufficientemente motivato ponendo il ricorrente nelle condizioni di conoscere la pretesa dell’Ufficio sia per quanto riguarda l’an che per quanto riguarda il quantum».
4. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sulla censurata “legittimità del provvedimento per violazione dell’art. 2697 c.c. derivante da mancanza di elementi di prova in ordine alla sussistenza del fatto ed alla propria responsabilità personale”.
4.1. Il motivo è infondato ed ai limiti dell’inammissibilità.
4.2. Va rilevato, in primo luogo, che non è chiaro l’oggetto della lamentata omessa pronuncia: se, in particolare, venga in rilievo una contestazione sulla legittimità dell’invito al pagamento (“legittimità del provvedimento”) perché mancante degli elementi di prova ovvero, come parrebbe desumibile dai passaggi dell’atto di gravame riprodotti, se la doglianza investa la prova della pretesa tributaria, asseritamente non fornita dall’erario.
Nel primo caso, invero, la deduzione ridonda, ulteriormente, quale lamentato vizio di motivazione dell’invito di pagamento (e con una equivoca commistione tra onere probatorio e onere di motivazione dell’invito stesso).
Nel secondo, invece, la censura, già rivolta contro la decisione di primo grado, riguarderebbe indistintamente la pretesa tributaria, sicché non si pone un profilo di omessa pronuncia ma, in ipotesi, di contestazione sul merito del giudizio.
In entrambi i casi, quindi, non vi è omessa pronuncia. La CTR ha, in termini espliciti, ritenuto correttamente motivato l’atto e, sulla base delle sentenze penali «utilizzate ed utilizzabili per l’individuazione della materialità dei fatti», fondata la pretesa fiscale attesa l’irregolare immissione in consumo della merce «indebitamente sottratta ai vincoli doganali».
4.3. Non sussiste, dunque, il lamentato vizio, ponendosi, eventualmente, quanto alla prova della pretesa tributaria, un profilo di sufficienza ed adeguatezza della motivazione della decisione, censura, peraltro, non proposta.
5. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 41 e 56 d.P.R. n. 43 del 1973, nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.
5.1. La doglianza, pur contestando sia la violazione di legge che il vizio di motivazione, è ammissibile perché, in concreto, incentrata solo sulla violazione di legge (anche sotto il versante della inesatta sussunzione della condotta nella fattispecie astratta di cui all’art. 38 d.P.R. n. 43 del 1973): il contribuente, infatti, lamenta, in sostanza, di esser stato ritenuto dalla CTR soggetto passivo dell’obbligazione tributaria in relazione al ruolo ricoperto nella vicenda (ossia quale finanziere addetto al controllo delle merci, autore di infedeli attestazioni e, dunque, concorrente nel reato di contrabbando), pur in assenza di una norma che prevedesse e regolasse una simile evenienza.
5.2. Il motivo è infondato, ancorché la motivazione debba essere corretta ex art. 384, secondo comma, c.p.c.
5.3. La vicenda in esame, anteriore al Regolamento n. 2913/1992/CEE, con cui è stato istituito il Codice Doganale Comunitario, trova la sua disciplina nei precedenti Regolamenti n. 2144/1987/CEE del 13 luglio 1987 e n. 1031/1988/CEE del 18 aprile 1988.
L’art. 1 del Regolamento n. 2144/1987/CEE individua le ipotesi in cui sorge l’obbligazione doganale; il paragrafo 1, lett. b, in particolare, regola il caso di irregolare introduzione nel territorio doganale della Comunità, mentre alla successiva lett. c, disciplina l’ipotesi di sottrazione della merce al controllo doganale.
La norma, specificamente, prevede:
«1. L’obbligazione doganale all’importazione sorge per:
a) l’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione o il vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea in esonero parziale dai dazi all’importazione;
b) l’introduzione irregolare nel territorio doganale delle Comunità di una merce soggetta a dazi all’importazione.
Quando una merce soggetta a dazi all’importazione, che si trova in una zona franca situata nel territorio doganale della Comunità, forma oggetto di introduzione irregolare in un’altra parte di tale territorio, tale introduzione è considerata una introduzione irregolare nel territorio doganale della Comunità.
Ai sensi della presente lettera, si intende per introduzione irregolare qualsiasi introduzione in violazione delle disposizioni prese in applicazione dell’articolo 2 della direttiva 68/312/CEE del Consiglio, del 30 luglio 1968, relativa all’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti la presentazione in dogana delle merci che arrivano nel territorio doganale della Comunità e la custodia temporanea di tali merci, modificata da ultimo dall’atto di adesione della Spagna e del Portogallo;
c) la sottrazione di una merce soggetta a dazi all’importazione al controllo doganale che deriva dalla sua immissione in custodia temporanea o dal suo assoggettamento ad un regime doganale che preveda un controllo doganale».
Va precisato, per quanto qui rileva, che l’art. 2 della citata direttiva prevede che «1. Tutte le merci che arrivano nel territorio doganale della comunità o che provengono da una zona franca situata sul territorio della comunità sono soggette al controllo doganale.
2. Esse devono essere immediatamente trasportate, percorrendo le vie designate dalle competenti autorità nazionali, a un ufficio di dogana o ad altro luogo designato da dette autorità e sorvegliato da un servizio doganale».
L’art. 3 del Regolamento n. 1031/1988/CEE, applicabile dal 1° gennaio 1989, ha poi completato la disciplina del precedente regolamento del 1987 quanto alla determinazione dei soggetti responsabili dell’obbligazione doganale in caso di introduzione irregolare; analoga disposizione è stata poi adottata con l’art. 4 quanto alla sottrazione al controllo doganale. Le citate disposizioni prevedono:
«Articolo 3. 1. Quando un’obbligazione doganale sorge ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b) del regolamento (CEE) n. 2144/87, la persona tenuta all’adempimento di tale obbligazione è quella che ha introdotto irregolarmente la merce nel territorio doganale della Comunità.
Conformemente alle disposizioni vigenti negli Stati membri, sono egualmente tenute all’adempimento di detta obbligazione, a titolo solidale:
a) le persone che hanno partecipato all’introduzione irregolare della merce nonché quelle che hanno acquistato o detenuto la merce in causa;
b) qualsiasi altra persona la cui responsabilità è coinvolta per l’introduzione irregolare della merce nel territorio doganale della Comunità.»
«Articolo 4. 1 . Quando un’obbligazione doganale sorge ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1 , lettera c) del regolamento (CEE) n. 2144/87, la persona tenuta all’adempimento di tale obbligazione è la persona che ha sottratto la merce al controllo doganale.
Conformemente alle disposizioni vigenti negli Stati membri, sono egualmente tenute all’adempimento di detta obbligazione, a titolo solidale:
a) le persone che hanno partecipato alla sottrazione della merce al controllo doganale nonché le persone che hanno acquistato o detenuto la merce in questione;
b) qualsiasi altra persona la cui responsabilità è coinvolta per detta sottrazione».
5.4. Si tratta, invero, di formulazione omologa a quella poi recepita negli artt. 201, comma 3, e 202, comma 3, CDC, e che risponde, in evidenza, alla medesima ratio di ampliare il novero dei responsabili a tutti coloro che hanno fornito un contributo causale all’evasione del tributo.
Ciò emerge, in termini univoci, dal 5° “considerando” del Regolamento n. 1031/1988/CEE secondo cui «nel caso di un’obbligazione doganale derivante dall’introduzione irregolare di una merce nel territorio doganale della Comunità o dalla sua sottrazione al controllo doganale oppure dall’uscita irregolare di una merce dal territorio doganale della Comunità, occorre ritenere come tenute all’adempimento di detta obbligazione la persona autrice dell’atto che ha comportato l’insorgere della obbligazione doganale e qualsiasi altra persona la cui responsabilità è ugualmente coinvolta».
5.5. Tale disposto normativo, dunque, fonda la responsabilità solidale al soddisfacimento dell’obbligazione tributaria con riguardo al concorrente nel reato di contrabbando, la cui condotta risulti diretta, come accertato dalla CTR, a rendere materialmente possibile l’evasione d’imposta.
6. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle dogane, che liquida in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
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