CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 gennaio 2019, n. 3046
Imposte indirette – IVA – Accertamento a tavolino – Contenzioso tributario – Tributi armonizzati e non armonizzati
Ragioni della decisione
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016,
osserva quanto segue:
Con sentenza n. 193/30/2017, depositata il 26 gennaio 2017, non notificata, la CTR della Toscana, in parziale riforma della decisione di primo grado resa dalla CTP di Pistoia, pronunciando sugli appelli, principale del contribuente ed incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, dichiarò non dovuta l’IVA accertata a carico del sig. L.C., facendo nel resto salva la legittimità dell’avviso di accertamento da quest’ultimo impugnato riferito anche alle imposte dirette e relative sanzioni per l’anno 2010.
Avverso la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 della l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui la decisione impugnata ha ritenuto l’inapplicabilità della citata disposizione dello statuto dei diritti del contribuente all’accertamento in oggetto con riferimento ai tributi non armonizzati, essendo l’emanazione dell’atto impositivo scaturita da accertamento a tavolino.
Laddove la Corte adita ritenga che debba essere data continuità ai principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, parte ricorrente deduce questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 alla stregua dell’interpretazione datane dalla Corte, per violazione degli artt. 3, 53 111 e 117, comma 1, Cost.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , con riferimento alla dichiarazione resa dal sig. N.R., che ha dichiarato che i tre bonifici indirizzati da società allo stesso facenti capo per l’anno 2010 al sig. C., svolgente attività di consulenza amministrativa in area mediorientale, erano riferibili a prestiti personali per esigenze riferite alla casa di abitazione di quest’ultimo.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973, nonché degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che le somme versate al C. fossero state erogate a titolo di prestito, ma costituissero ricavi derivanti dall’esercizio di attività professionale da assoggettare a tassazione.
4. Il primo motivo è inammissibile, in relazione all’art. 360 bis c.p.c. (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155) avendo fatto la sentenza impugnata corretta applicazione in materia dei principi affermati dalla succitata pronuncia Cass. sez. unite n. 24823/15 e della successiva giurisprudenza conforme.
4.1. Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), premesso che l’art. 12, comma 7 della l. n. 212/2000 si applica ai soli casi di accesso ed ispezioni e verifiche nei locali del contribuente, hanno, infatti, posto la basilare distinzione, riguardo al tema del contraddittorio endoprocedimentale, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione europea, chiarendo che «in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943; Cass. sez. 6-5, ord. 13 giugno 2018, n. 15562).
4.2. Nel caso di specie è pacifico che si sia trattato di c.d. accertamento a tavolino, con invito al contribuente a rendere chiarimenti sulle causali dei tre bonifici oggetto di verifica, per cui, relativamente alle imposte dirette, si esula dall’invocata applicazione dell’art. 12, comma 7 della l. n. 212/2000, mentre, relativamente all’IVA, la doglianza del contribuente ha trovato accoglimento nel merito in relazione alla ritenuta applicabilità, da parte della CTR, nella fattispecie in esame, dell’art. 7 septies, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 633/1972.
4.3. Ritiene inoltre la Corte che la questione di legittimità costituzionale, così come subordinatamente proposta dal ricorrente nell’ambito del primo motivo di ricorso, sia da considerare manifestamente infondata alla stregua degli stessi rilievi già contenuti nella citata sentenza n. 24823/15 di questa Corte nel quadro della verifica della compatibilità dell’interpretazione adottata con i principi costituzionali in materia (si veda, in particolare, il par. 4 della citata pronuncia le cui considerazioni il collegio fa proprie).
5. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Pur non nominandola espressamente, non vi è dubbio, dal contesto espositivo della decisione impugnata, che la CTR abbia tenuto in conto la dichiarazione resa dal cittadino libanese N.R., riguardo alla causale dei bonifici indirizzati al C. per l’anno 2010.
Peraltro, attesa la natura meramente indiziaria della dichiarazione di terzo nell’ambito del processo tributario (cfr., più di recente, Cass. sez. 6-5, ord. 16 marzo 2018, n. 6618) è da escludere che l’omesso esame di essa possa concretizzare omesso esame di fatto storico decisivo per il giudizio.
6. Infine è inammissibile il terzo motivo, col quale, in realtà il ricorrente, pur formulando la censura come violazione di norme o falsa applicazione di norme di diritto, tende ad ottenere un riesame degli elementi istruttori quale operato dal giudice di merito, ciò che è precluso in sede di legittimità (cfr., tra le molte, Cass. sez. lav. 15 gennaio 2018, n. 745; Cass. sez. 6-5, ord. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. sez. 6-5, ord. 7 aprile 2017, n. 9097).
Il ricorso del contribuente va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.
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