CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2018, n. 20295
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento di maggiori ricavi derivanti dalla vendita di immobili – Presunzioni gravi, precisi, e concordanti – Mancata esibizione dei preliminari – Dichiarazioni degli acquirenti di aver pagato un prezzo maggiore – Sproporzione del prezzo di acquisto di unità abitative del tutto simili
Rilevato che
1. la società R. s.r.l. in liquidazione ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 96 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione XXIX, emessa il 23/5/2011, depositata il 23/9/2011 e non notificata, che, in sede di giudizio di rinvio, ha solo parzialmente accolto l’appello della contribuente, in controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento n. 4653009470 per maggiori IRPEG ed ILOR relative all’anno d’imposta 1994;
2. in particolare, con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia riteneva sussistente l’omessa contabilizzazione dei ricavi relativi alla vendita di numerose unità immobiliari nel fabbricato sito in Costa Masnaga, determinando in lire 1.269.197.241 il reddito della società contribuente per l’anno 1994;
3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 14 giugno 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;
4. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo con controricorso;
Considerato che
1.1. preliminarmente, deve rilevarsi che il ricorso è limitato alla questione relativa all’omessa contabilizzazione dei ricavi provenienti dalla vendita di numerose unità immobiliari nel fabbricato sito in Costa Masnaga;
con l’unico motivo di ricorso, la società contribuente denunzia la violazione falsa applicazione degli artt. 2697, comma 1, 2727, 2729, comma 1, e 2730 c.c., in relazione all’art. 39, comma 1, lett. d), ultimo periodo, d.p.r. n. 600/73, nonché l’omessa o insufficiente motivazione di un fatto decisivo e controverso, in relazione agli artt. 62 d.lgs. n. 546/92 e 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.;
secondo la ricorrente la C.T.R. della Lombardia, in sede di giudizio di rinvio, non avrebbe correttamente applicato le norme sull’onere probatorio e la prova presuntiva, avendo posto a base della prova indiziaria elementi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, avendo contraddittoriamente motivato in ordine alla prevalenza, sul piano probatorio, delle dichiarazioni rilasciate da cinque acquirenti (che hanno ammesso di aver pagato un prezzo maggiore di quello indicato nell’atto di compravendita) rispetto alle dichiarazione di altri venti acquirenti, che avrebbero confermato il corrispettivo indicato nell’atto,
1.2. il motivo è infondato;
1.3. invero, incombe all’Amministrazione finanziaria, la quale adduca l’esistenza di maggiori ricavi, l’onere della prova degli stessi, che può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti;
nel contenzioso tributario, lo schema logico della presunzione semplice offre all’interprete uno strumento di accertamento dei fatti che consente di risalire dal fatto noto (elemento certo) a quello ignoto secondo un giudizio probabilistico, basato sull’id quod plerumque accidit, senza che le conclusioni debbano essere legate alle premesse da un nesso di consequenzialità necessaria, ferma restando per il contribuente la possibilità della prova contraria;
in tema di imposizione diretta e di IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – prevede che l’accertamento possa basarsi su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”; “pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2, c.c.” (Cass. ord. n. 14237 del 07/06/2017);
nel caso di specie, la C.T.R. della Lombardia ha evidenziato, con motivazione adeguata e logicamente coerente, le ragioni della legittimità dell’accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, perché fondato su elementi gravi, precisi, e concordanti, quali la mancata esibizione (a seguito della richiesta dell’Agenzia delle Entrate) dei preliminari degli atti di acquisto da parte delle società contribuente, le dichiarazioni rilasciate dagli acquirenti di cinque unità abitative (cha hanno detto di aver pagato un prezzo superiore rispetto a quello indicato nell’atto di compravendita), la maggiore attendibilità di tali dichiarazioni rispetto a quelle degli altri acquirenti, che hanno confermato di aver pagato il prezzo indicato nell’atto, non solo perché sfavorevoli ai dichiaranti, ma anche per la mancata dimostrazione di ogni plausibile spiegazione della sproporzione del prezzo di acquisto di unità abitative del tutto simili;
il ragionamento del giudice di rinvio appare logico e coerente, non evidenzia alcuna contraddittorietà e fa corretta applicazione dei principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio e della prova per presunzioni;
2.1. atteso il rigetto del ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza di parte ricorrente secondo la liquidazione effettuata in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.
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