CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2019, n. 20629
Tributi – Accise – Consumo di gas naturale – Eccedenza di versamento in acconto – Credito – Utilizzo in compensaizone – Termine di prescrizione biennale – Decorrenza dall’ultima dichiarazione di consumo
Rilevato che
E.S. Spa (ora E. Spa) impugnava gli avvisi di accertamento, e i conseguenti atti di irrogazione delle sanzioni emessi dall’Agenzia delle dogane per l’omesso versamento dei ratei d’acconto dovuti per i mesi da aprile 2012 ad aprile 2013, nonché dell’importo dovuto a conguaglio in sede di dichiarazione di consumo per il gas naturale per l’anno 2013, avendo la società utilizzato in compensazione crediti prescritti in quanto risalenti alla dichiarazione per l’anno 2009.
La contribuente deduceva l’inapplicabilità dell’art. 14, comma 2, TUA, trattandosi di credito d’imposta esposto nella dichiarazione derivante dal meccanismo di applicazione del tributo e portato in detrazione nei successivi ratei e nelle dichiarazioni d’imposta fino al 2013 senza essere esaurito, da cui l’applicazione del termine di prescrizione decennale.
L’impugnazione, accolta dalla CTP di Roma, era rigettata dal giudice d’appello.
E. Spa propone ricorso per cassazione con tre articolati motivi; resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso. La contribuente deposita altresì memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c.
Considerato che
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 14, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1995 (Testo Unico Accise – TUA).
1.1. La ricorrente lamenta che la CTR abbia ritenuta indebito il credito maturato e posto in compensazione nonostante il peculiare meccanismo di versamento dell’imposta, caratterizzato dal pagamento di acconti in base al consumo dell’anno precedente, con compensazione delle eccedenze nei ratei successivi, in quanto tale, dunque, soggetto al termine di prescrizione decennale. Deduce, inoltre, la sufficienza dell’indicazione del credito nella dichiarazione annuale di consumo ai fini della sussistenza della manifestazione di volontà del contribuente di ottenere il rimborso.
In subordine eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 TUA per violazione dell’art. 3 Cost. e del par. 1, art. 1, CEDU.
2. Il motivo è, nei termini che seguono, fondato.
2.1. La problematica, invero, è già stata oggetto di disamina con riguardo a fattispecie in parte sovrapponibili (Cass. n. 9283 del 17/04/2013, Cass. n. 3051 del 01/02/2019, nonché, da ultimo, Cass. n. 16264 del 18/06/2019), che hanno dato risalto al particolare meccanismo di pagamento dell’accisa in relazione al termine previsto dall’art. 14 TUA.
Appare opportuno, dunque, meglio precisare i termini della questione.
2.2. L’art. 14, comma 2, TUA, nel testo applicabile ratione temporis, nel disporre che «L’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata», non distingue tra le cause per le quali il pagamento non è dovuto, perché il loro carattere indebito è considerato rilevante in sé, nella sua oggettività.
L’unica fonte del complesso dei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, infatti, va individuata nell’originaria operazione e, dunque, il momento del pagamento dell’imposta integra il fatto iniziale da cui decorre la possibilità per il contribuente di far valere eventuali indebiti od eventi modificativi, anche sopravvenuti. Esigenze di certezza del rapporto giuridico sono poi alla base della fissazione di un termine, rigido, di due anni da tale fatto iniziale per far valere l’eventuale pretesa. Coerente con questa impostazione è il consolidato orientamento della Corte che reputa privo di rilievo, ai fini della tempestività dell’istanza di rimborso, la sopravvenuta statuizione della Corte di Giustizia sull’incompatibilità del tributo ovvero l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionale (v. in particolare Sez. U, n. 13676 del 16/06/2014, per cui «il termine di decadenza … opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza»; v. anche Cass. n. 2468 del 08/02/2016; Cass. n. 19606 del 24/07/2018).
2.3. Si sottrae a questa prospettiva l’ipotesi in cui la richiesta del contribuente tragga fondamento non tanto dalla primitiva operazione ma da un ulteriore fatto, di rilevanza costitutiva, che dà origine ad una nuova obbligazione.
È il caso, ad esempio, del diritto all’agevolazione o di altro beneficio (e alla corrispondente restituzione d’imposta) che sia condizionato alla effettiva destinazione d’uso del bene.
In questa evenienza non si pone una questione di limiti, fattuali o giuridici, alla possibilità di esercitare un diritto ma di momento di insorgenza del diritto stesso.
Non è assimilabile l’intervenuto perfezionamento dei requisiti per l’attribuzione del diritto di esenzione ad una causa sopravvenuta di indebito: l’originaria obbligazione resta inalterata ed è compiutamente definita, neppure essendo posta in dubbio la sua consistenza; la nuova obbligazione, invece, ha presupposti autonomi anche se trova il suo necessario antecedente giuridico nella precedente obbligazione, cui si correla limitatamente alla determinazione dell’importo.
In queste ipotesi, lo stesso rinvio, ex art. 26 TUA, all’art. 14 TUA va inteso come limitato alla «procedura di accredito» e non può ritenersi esteso, almeno con riguardo alla formulazione della norma anteriore al d.l. n. 193 del 2016, anche all’indicazione, per la decorrenza del termine, della «data del pagamento», che costituisce il riferimento proprio solamente della precedente obbligazione e non della nuova.
2.4. Più articolata è la valutazione con riguardo alle richieste – di fruire della compensazione ovvero di accedere al rimborso dell’eccedenza d’accisa – in relazione alla disciplina di versamento dell’imposta per i prodotti E..
Il modello privilegiato dal legislatore per il versamento dell’accise per i prodotti E., sostanzialmente similari per il gas naturale (art. 26) e per l’energia elettrica (art. 56), è, infatti, informato al meccanismo del pagamento frazionato degli importi dovuti (mese per mese ovvero secondo le specifiche rateizzazioni prescritte dall’Amministrazione in relazione ai dati tecnici e contabili) che «sono calcolate [le rate] sulla base dei consumi dell’anno precedente». Lo stesso schema, inoltre, è impiegato per il versamento dell’ecotassa di cui all’art. 17, comma 31, I. n. 449 del 1997.
L’art. 26, comma 13, TUA, ratione temporis applicabile, dispone che «Il pagamento dell’accisa deve essere effettuato in rate di acconto mensili entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente».
Tale meccanismo, poi, trova il suo naturale correttivo nella previsione dell’eventuale conguaglio nella fase di successiva dichiarazione di consumo.
Con questa si consolida la situazione dell’intera annualità ed emerge se, dal complesso dei precedenti pagamenti, vi sia un debito o un credito.
La sorte di questo credito, peraltro, è oggetto di specifica considerazione dall’art. 26, comma 13, che, in caso di eccedenza prevede che «Le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto».
Il meccanismo, dunque, è chiaro:
– l’imposta è versata in acconti mensili parametrati in base al consumo dell’anno precedente;
– con la dichiarazione annuale viene determinato, a consuntivo, il consumo effettivo dell’intera annualità e si procede a conguaglio tra quanto versato e quanto effettivamente dovuto;
– in caso di pagamenti in misura inferiore, occorre procedere al pagamento della maggiore somma;
– in caso di pagamenti in misura superiore, sorge un credito;
– questo credito può essere detratto dal versamento (o dai versamenti) successivi.
Il credito, in realtà, poiché sta solo ad indicare che gli acconti versati sono stati maggiori rispetto a quanto effettivamente consumato (e, quindi, ha, in sé natura “indebita”), non costituisce una autonoma obbligazione rispetto a quella originaria.
Il descritto meccanismo trova il suo limite nella circostanza che i versamenti in acconto per l’anno (o gli anni) successivo non siano tali da esaurire l’intero importo, sicché, al momento della presentazione della successiva dichiarazione annuale di consumo, il credito è ancora esistente o, addirittura, è aumentato (ad esempio per l’eccessività degli acconti rispetto al consumo effettivo via via decrescente).
In questa peculiare evenienza, alla chiusura annuale del periodo (anzi, di ciascun periodo) si determina un nuovo saldo creditorio o debitorio che va a costituire un nuovo credito o debito rispetto a quelli precedentemente maturati, che si protrae o fino all’esaurimento del credito ovvero fino alla definizione del rapporto tributario (v. amplius Cass. n. 16264 del 18/06/2019) e, dunque, fino alla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo, da cui decorre il termine biennale per la presentazione dell’istanza di rimborso poiché identifica il momento di definitivo consolidamento del credito sorto per effetto dei maggiori pregressi pagamenti.
2.5. Ne deriva che la richiesta di compensazione non è, di per sé, soggetta ad alcun limite ulteriore alla regolare e continuativa presentazione della dichiarazione di consumo poiché è connaturata al meccanismo di versamento delle accise.
La richiesta di rimborso delle eccedenze, per contro, postula, in mancanza di una specifica indicazione che ne consenta l’erogazione nel corso del rapporto tributario, la definizione dello specifico rapporto ed è soggetta al termine biennale di decadenza ex art. 14 TUA, decorrente dalla data di presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo.
3. Nella vicenda in esame, è incontroverso che la società aveva maturato il credito con la dichiarazione di consumo del 2009 e che, come riconosce lo stesso Ufficio (controricorso, pag. 4), lo stesso «era stato utilizzato in detrazione con le rate mensili degli anni 2009-2010 e fino al marzo 2011», mentre per il periodo successivo l’Ufficio aveva escluso la rilevanza del credito residuo (fino ad eliderne la persistenza dal mese di aprile 2012) solo per aver ritenuto incorsa la contribuente nella decadenza biennale. Si tratta, dunque, della medesima fattispecie sopra delineata:
la società ha provveduto a riportare il credito via via maturato, in ragione dei versamenti degli acconti fino alla dichiarazione di consumo relativa all’anno 2012 e poiché nella dichiarazione di consumo presentata nel febbraio 2013 e relativa all’anno 2012 erano stati riportati i crediti relativi alle precedenti dichiarazioni, non poteva dirsi decorso (ed, anzi, neppure iniziato, e ciò anche con riguardo alle compensazioni operate fino ad aprile 2013), ad onta di quanto diversamente affermato dalla CTR, il termine biennale di decadenza.
4. Il secondo e il terzo motivo, afferenti alle sanzioni, restano assorbiti.
5. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, vanno accolti gli originari ricorsi della contribuente.
Attesa la peculiarità della vicenda e il solo recente consolidarsi della giurisprudenza le spese vanno integralmente compensate per l’intero giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie gli originari ricorsi della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.
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