CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2020, n. 16492
Accertamento – Riscossione – Credito IVA – Conferimento azienda
Rilevato che
C.I. Srl impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate, con cui recuperava a tassazione due crediti per l’anno 2007, indebitamente detratti dalla contribuente in quanto relativi a crediti Iva (rispettivamente del 2006 e del 2003) acquisiti a seguito del conferimento dell’azienda C.E. Spa, e, dunque, afferenti alla posizione di un diverso contribuente, come tali insuscettibili di detrazione da parte di terzi.
L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Napoli. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.
C.I. Srl propone ricorso per cassazione con un motivo. L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
Considerato che
1. L’unico motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 4 ter, d.l. n. 70 del 1988, conv. nella I. n. 154 del 1988, 30 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2559 c.c. per aver la CTR escluso la detraibilità del credito Iva in caso di conferimento d’azienda, essendo ammissibile solo la richiesta di rimborso.
Rileva che la tesi seguita dalla CTR, in adesione della sentenza della Suprema Corte n. 9961 del 2008, non era conferente alla vicenda in esame, non venendo qui in rilievo un’ipotesi di cessione di ramo d’azienda ma l’integrale conferimento dell’intero complesso dei beni aziendali mediante aumento di capitale della società cessionaria, e, comunque, era stata superata dalla successiva giurisprudenza della Corte.
2. Il motivo è fondato.
2.1. Un primo, più risalente, orientamento ritiene, invero, che l’art. 30 d.P.R. n. 633 del 1972, nel prevedere che, di regola, il credito Iva sia detratto, nell’anno successivo, dal debito risultante dalla dichiarazione relativa a tale anno, «comporta che esso si colleghi inscindibilmente alla posizione fiscale del contribuente che lo ha maturato», da cui l’impossibilità «che i crediti Iva di un contribuente possano concorrere alla commisurazione delle detrazioni spettanti, per l’anno successivo, ad un contribuente diverso e, dunque, della cessione del credito Iva, tanto più, che la previsione, di cui al secondo comma della norma, di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione dell’anno successivo assolve alla funzione di rendere «riconoscibile e controllabile da parte dell’ufficio la complessiva posizione del contribuente nell’arco del biennio di riferimento» (v. Cass. n. 9661 del 16/04/2008, seguita da Cass. n. 1441 del 22/01/2013).
2.2. Il prevalente orientamento, che qui si condivide e a cui si intende dare continuità, sottolinea, peraltro, che nel sistema normativo vigente non è ravvisabile alcun impedimento giuridico alla trasmissibilità del credito Iva, emergendo, anzi, indicazioni di segno contrario poiché l’art. 5, comma 4 ter, d.l. n. n. 70 del 1988, conv. nella I. n. 154 del 1988 contempla come possibile l’eventualità di una cessione del credito Iva risultante dalla dichiarazione annuale («… in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate …»), senza che sia necessario, in alcun modo, che esso si fosse già consolidato in una richiesta di rimborso (v. Cass. n. 6578 del 12/03/2008; Cass. n. 8644 del 09/04/2009; Cass. n. 23044 del 14/12/2012; Cass. n. 20415 del 01/08/2018).
2.3. Va inoltre rilevato che la cessione di un’azienda (o di un ramo d’azienda) comporta per legge (art. 2558 c.c.) la cessione dei rapporti e (art. 2559 c.c.) dei crediti relativi al suo esercizio, ivi compresi i crediti d’imposta vantati dal cedente nei confronti dell’erario.
2.4. Ne deriva che rispetto all’originario credito Iva il cedente perde, per effetto del conferimento d’azienda, ogni legittimazione, mentre l’intera posizione resta traslata sul cessionario, che, dunque, può utilizzare il credito in detrazione ovvero chiederne il rimborso, non assumendo alcun rilievo ostativo – atteso l’avvenuto trasferimento dell’intera posizione – la diversità dei contribuenti. Tale conclusione vale, a maggior ragione, nel caso, come quello in giudizio, in cui l’intero complesso aziendale risulti conferito, sì da determinare la sostanziale incorporazione dell’azienda nella società contribuente.
3. La sentenza va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.
Attesa l’evoluzione della giurisprudenza sulla questione, solo recentemente consolidata, le spese vanno compensate per ogni fase e grado.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.
Compensa integralmente le spese per ogni fase e grado.
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