CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2020, n. 16504
Accertamento – Indagini bancarie su c/c – Compensi per prestazioni lavorative non contabilizzati – Prova
Fatti di causa
1. Il contribuente era attinto da avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004, scaturito da indagini bancarie autorizzate sui suoi conti correnti, all’esito delle quali ed in contraddittorio con il medesimo contribuente emergevano compensi per prestazioni lavorative svolte nei confronti della L. Managment srl -di cui non vi era traccia nella contabilità della predetta società- risultando compensi ricevuti in contanti per delle sue apparizioni in discoteca.
Il reddito da lavoro autonomo era così rideterminato in €.590.318,00 rispetto agli €.92.612,00 dichiarati.
Il primo marzo 2010, il contribuente proponeva ricorso avverso l’atto impositivo, avanzando l’unico motivo del ritardo nella notifica del provvedimento, da lui ricevuto il 4 gennaio 2010. Con scritto del 11 giugno 2010 proponeva motivi aggiunti spiegando difese nel merito della controversia e dichiarando di essere venuto a conoscenza solo con l’avviso di garanzia notificatogli il 12 aprile 2010 e con la costituzione dell’Ufficio del 30 aprile 2010 dell’esistenza dell’illecito penale di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000, con conseguente raddoppio dei termini di notifica dell’avviso di accertamento. Nel costituirsi l’Ufficio precisava di aver adempiuto le formalità di notifica a suo carico entro il 30 dicembre 2009, non potendo essergli imputato il diverso momento di perfezionamento della notifica per il contribuente destinatario, secondo la scissione fra termine di notifica per il notificante ed il destinatario, introdotto con la sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010.
Soccombente nei gradi di merito, il contribuente propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre articolati motivi, cui replica con tempestivo controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.
Costituitosi il nuovo difensore del contribuente, ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
Ragioni della decisione
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo si prospetta il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione di norma di diritto e nullità della sentenza impugnata per evidente erroneità e contraddittorietà della motivazione assunta in ordine agli effetti della notifica ex art. 140 c.p.c. suoi termini per l’accertamento ex art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, nella sostanza affermando aver errato il collegio di secondo grado nel ritenere perfezionata la notificazione dell’avviso di accertamento entro il 31 dicembre 2009, poiché non vi sarebbe prova -ma solo accenno in sede di controdeduzioni in primo gradoche sia stata inviata la raccomandata a seguito del mancato buon esito del primo accesso (c.d. notifica al relativamente irreperibile).
Non è controverso in atti che la notifica sia stata portata dall’Ufficio ai messi notificatori in data 14 dicembre 2009 e con tale adempimento si completa quanto grava sul notificante, spettando all’incarico della notifica di accedere al domicilio indicato ed assumere i provvedimenti conseguenti, fra cui la spedizione della lettera raccomandata di cui si controverte. Ed infatti, in ossequio alla pronuncia della Consulta n. 3/2010, questa Corte ha più volte sancito che la notifica si ritiene perfezionata per il notificante quanto entro il termine di legge egli abbia fatto tutto quanto è a suo carico, irrilevante essendo il momento delle ulteriori operazioni che l’ufficiale giudiziario o il messo notificatore sono tenuti a svolgere in ragione delle diverse eventualità in sede di consegna, mentre la notifica si perfeziona per il destinatario quando l’atto è entrato ex lege nella sua sfera di conoscibilità o nel più breve termine in cui ne ha avuto materiale possesso (cfr. Cass. V, n. 7324/2012; n. 25079/2014; n. 27479/2014; n. 2868/2017; n. 8293/2018, n. 14580/2019; Cass. VI – 5 n. 33277/2019). In ogni caso, il termine per la notifica doveva ritenersi raddoppiato per il solo fatto che l’ammontare sottratto a tassazione superasse congiuntamente i due parametri indicati dall’art. 4 d.lgs n. 74/2000, integrando quindi il reato ivi previsto e punito.
Il motivo è dunque infondato e va disatteso.
2. Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione norme di diritto per nullità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 24, secondo comma, d.lgs. n. 546/1992 in ordine all’individuazione dei fatti non conosciuti dal contribuente ed alla conseguente legittimità dell’atto di integrazione dei motivi, nella sostanza dolendosi che siano stati ritenuti inammissibili i motivi aggiunti proposti con scritto del giugno 2010, ove sono state spiegate difese nel merito della pretesa fiscale, in ragione della venuta conoscenza del reato e del raddoppio del termine per la notifica dell’atto impositivo. La disposizione processuale citata costituisce eccezione alla regola generale della completezza e non eterointegrabilità del ricorso, quale conseguenza della natura impugnatoria/accertativa della giurisdizione tributaria: solo quando l’Amministrazione produce un atto integrativo o accessorio al provvedimento lesivo già impugnato, ampliando il thema decidendum, per ricostituire il contraddittorio (e mantenere la concentrazione unitaria del processo, prevendendo plurimi ricorsi autonomi di atti collegati) è consentito al contribuente leso di impugnare con motivi aggiunti (impropri) i nuovi atti, ovvero spiegare ulteriori difese con motivi aggiunti (propri) derivanti dalla conoscenza di profili nuovi all’esito della produzione documentale dell’Ufficio. Trattandosi di norma eccezionale, sconta la stretta interpretazione di cui all’art. 14 disp. prel. al codice civile, donde ne è inibita l’applicazione analogica ai casi in cui non ci sia produzione documentale, esclusa restando l’introduzione di motivi od argomenti nuovi specie se in conseguenza (non di atti, ma di meri) fatti e circostanze che erano o dovevano essere noti in quanto conseguenza di previsione di legge, peraltro non nuova.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
3. Con il terzo motivo si profilano le censure art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per nullità della sentenza impugnata in ordine alle eccezioni di merito relative all’avviso di accertamento introdotte ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 542/1992, con conseguente violazione degli art. 32, secondo comma, n. 2 d.P.R. n. 600/1973 e art. 51, secondo comma, n. 2 d.P.R. n. 633/1972, nella sostanza lamentando violazione delle norme sull’accertamento e non sia stata data adeguata motivazione alle doglianze introdotte con i precitati motivi aggiunti del 1 giugno 2010. Il motivo è infondato ove si duole che il giudice dell’appello non abbia preso in considerazione le doglianze introdotte con una memoria che ha giudicato inammissibile. Il motivo è invece inammissibile ove pretende di introdurre in questa sede (pag. 13, quartultima riga) doglianze di merito circa il potere impositivo dell’Ufficio. Il motivo è quindi infondato e va disatteso. In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio che liquida in €.diecimila/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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