CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13885
Tributi – Accertamento – Riscossione – Violazioni – Omessa regolarizzazione scritture contabili – Sanzioni
Fatti di causa
Emerge dalla narrativa della sentenza impugnata che nel corso di una verifica svolta presso la s.r.l. M. Impianti i verificatori rinvennero documentazione extracontabile che dava conto di attività d’intermediazione nelle vendite immobiliari riferibili alla M. immobiliare, il rappresentante legale della quale era il medesimo della M. Impianti assoggettata a verifica. In particolare, si rinvennero un prospetto denominato “confidenziale 23.10.2003”, un libro di cassa e quarantuno assegni emessi da clienti di M. Immobiliare e intestati all’amministratore.
Ne scaturirono due avvisi di accertamento con i quali, per gli anni d’imposta 2003 e 2004, l’Agenzia delle entrate recuperò nei confronti di quest’ultima società maggiore materia imponibile ai fini delle imposte dirette, dell’iva e dell’irap, che la contribuente, la quale nel frattempo aveva aderito al concordato fiscale biennale previsto dall’art. 33 del d.l. n. 269/03, come convertito, impugnò, ottenendone il parziale annullamento dalla Commissione tributaria provinciale. Il giudice di primo grado difatti confermò le sanzioni per omessa regolarizzazione degli acquisti, ma ridusse la materia imponibile facendo leva sugli importi degli assegni dati come caparra dagli interessati e non contabilizzati, riconoscendo i relativi costi; sicché, in virtù della riduzione dell’imponibile, applicò l’ulteriore effetto preclusivo stabilito dal comma 8-bis dell’art. 33 del d.l. n. 269/03, come convertito.
La Commissione tributaria regionale ha respinto l’appello dell’Ufficio, confermando la legittimità della ricostruzione operata dal giudice di primo grado, il quale aveva riconosciuto i maggiori redditi e il conseguente maggiore volume di affari soltanto al cospetto dei riscontri da parte degli acquirenti degli immobili e aveva ravvisato la deducibilità dei costi documentati rispetto ai maggiori ricavi accertati.
E ciò ha fatto, affermando l’applicabilità della preclusione degli accertamenti disposta dai commi 8 e 8-bis dell’art. 33 del d.l. n. 269/03, come convertito.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui la società replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in un unico mezzo.
Interpellate le parti su questioni rilevate d’ufficio, mediante assegnazione di termine per presentare osservazioni, ha provveduto a depositare memoria la sola società.
Ragioni della decisione
1. – Va premesso che, sebbene l’intestazione della sentenza impugnata si riferisca anche all’irap, l’impugnazione, che riguarda la disciplina del concordato fiscale biennale, introdotto in via sperimentale dall’art. 33 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326, non investe quell’imposta: significativa è la narrativa del ricorso, dove si legge che <<…che il verbale e i conseguenti avvisi di accertamento recuperavano a tassazione per il 2003 ricavi non dichiarati per euro 830.535,00 e Iva conseguentemente evasa per euro 41.840,50; nonché Iva su acquisti senza fattura non regolarizzati per euro 41.840,50. Per il 2004, ricavi non dichiarati per euro 505.797,00; Iva conseguentemente evasa per euro 20.831,88; nonché Iva su acquisti senza fattura non regolarizzati per euro 15.303,00″.
Non c’è quindi spazio per l’applicazione dell’indirizzo di questa Corte, secondo cui, in tema di condono fiscale, il concordato preventivo biennale introdotto dall’art. 33 del d.l. n. 269 del 2003, convertito con l. n. 326 del 2003, concerne essenzialmente le imposte sui redditi con limitati effetti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, mentre da esso esula l’imposta regionale sulle attività produttive, atteso il tenore testuale della disposizione, che, tra l’altro, rinvia, per la determinazione del significato dei termini “ricavi” e “compensi”, alle disposizioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; sicché l’adesione al concordato non comporta effetti preclusivi ai fini del diritto al rimborso dell’imposta regionale in questione (Cass. 13 luglio 2016, n. 14266 e 13 luglio 2012, n. 11947).
2. – Inammissibili sono il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, da esaminare congiuntamente, perché connessi, e per primi, per priorità logica, con i quali sotto diversi profili, della violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 1° comma, lett. d), primo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., e dell’omissione o dell’insufficienza di motivazione, l’Agenzia si duole della valutazione degli elementi istruttori concernenti l’affermata sottofatturazione delle vendite ulteriori rispetto a quelle considerate dal giudice d’appello.
Sostiene difatti la ricorrente di aver <<dedotto in giudizio valide prove della sottofatturazione anche delle restanti vendite e -che- la società non aveva invece fornito alcuna controprova al riguardo>>, poco oltre ribadendo che <<il punto decisivo della controversia…era la portata probatoria dei documenti reperiti dai verificatori> >.
2.1. – La complessiva censura si traduce in un tentativo di ottenere la rilettura delle risultanze processuali, inibita a questa Corte.
Ciò perché con la proposizione del ricorso per cassazione il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili e in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di esso, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, al quale resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra varie, Cass., ord. 7 aprile 2017, n. 9097 e 7 dicembre 2017, n. 29404).
3. – Col quarto motivo del ricorso principale, anch’esso di rilievo prodromico rispetto all’esame del primo motivo, l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, 4° comma, del d.P.R. n. 917/86 e dell’art. 2608 c.c. (recte, dell’art. 2697 c.c.), là dove il giudice d’appello ha riconosciuto la fondatezza della richiesta della società di dedurre dal maggior imponibile accertato quali costi certi ed inerenti le uscite annotate nel libro cassa.
3.1. – Nessuna violazione del riparto degli oneri probatori è ravvisabile a opera della sentenza impugnata, in cui si legge che sono stati riconosciuti i soli costi documentati, che, quindi, il giudice d’appello ha reputato provati.
3.2. – Né è configurabile la violazione di legge prospettata, giacché l’Amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche dei componenti negativi del reddito, purché emergenti dagli accertamenti o dimostrati dal contribuente (tra varie, Cass., ord. 29 settembre 2017, n. 22868).
3.3. – In realtà, la censura maschera dietro la deduzione del vizio di violazione di legge quella di vizio di motivazione sulla documentazione dei costi, che risulta, quindi, inammissibilmente proposta, anche perché generica.
4. – Col primo motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 8-bis, del d.l. n. 269/03, come convertito, là dove la Commissione tributaria regionale ha annullato completamente l’accertamento reputando che il maggior reddito da confermare rispetto a quello inizialmente accertato dall’amministrazione non superasse il 50% del dichiarato.
Pacifico è che la società abbia aderito al condono fiscale biennale sperimentale introdotto dall’art. 33 del d.l. n. 269/03, come convertito, per gli anni d’imposta 2003 e 2004.
La stessa Agenzia espone al riguardo in ricorso che, in applicazione di quel condono, il contribuente che avesse concordato con l’Amministrazione ricavi dichiarati pari almeno alle percentuali indicate nel 4° comma della norma, per incremento dei ricavi dichiarati nel 2001, tra gli altri benefici avrebbe ottenuto la limitazione dei poteri di accertamento dell’Amministrazione con riguardo ai due anni d’imposta coperti dal concordato: <<tale limitazione veniva precisata nel comma 8 – dell’art. 33 del d.l. n. 269/03- come esclusione dell’accertamento induttivo (salve le ipotesi dell’art. 39 c. 2 lett. b) e c) dpr 600/73) e dell’accertamento analitico basato su presunzioni, anche se gravi, precise e concordanti>> (così a pag. 18 del ricorso principale).
4.1. – Stabilisce in effetti la disposizione in questione che “8. Per i periodi d’imposta soggetti a concordato preventivo, relativamente al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, sono inibiti i poteri spettanti all’amministrazione finanziaria in base alle disposizioni di cui: a) al primo comma, lettera d), secondo periodo, e secondo comma, lettere a), d) e d-b\s), dell’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; b) all’articolo 54, secondo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni; c) all’articolo 55, secondo comma, numero 3), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni”.
Il successivo comma prevede poi che
“8-bis. Per i medesimi periodi d’imposta di cui al comma 8, relativamente al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, sono preclusi gli atti di accertamento qualora il maggiore reddito accertabile sia inferiore o pari al 50 per cento di quello dichiarato”.
Tra le due disposizioni esiste un rapporto di complementarità e non già di specialità, come parrebbe evincersi dalle difese dell’Agenzia, secondo cui l’adesione al concordato preventivo determina le limitazioni dei poteri di accertamento fissate dall’8° comma, mentre la preclusione assoluta all’esercizio del potere di accertamento stabilita dal comma 8-bis scatterebbe <<nella sola ipotesi in cui all’Ufficio apparisse accertabile, sulla base delle verifiche effettuate, un maggiore imponibile non superiore al 50% di quello dichiarato>>.
4.2. – Le due disposizioni sono infatti collegate.
La prima inibisce, a monte, l’esercizio di alcuni poteri (in termini, Cass. n. 11947/12, cit.), laddove la seconda preclude, a valle, nei limiti previsti, gli atti di accertamento, i quali postulano l’avvenuto esercizio del relativo potere.
Il comma 8-bis, in particolare, fissa la soglia di preclusione degli atti di accertamento ragguagliandola al <<maggiore reddito accertabile>> e non già a quello accertato. Il reddito accertabile è quello che l’Amministrazione può accertare, in caso di adesione del contribuente al condono fiscale del quale si discute e, quindi, non già quello che all’Amministrazione “appaia” accertabile, sibbene quello che risulti dall’esercizio dei soli poteri di accertamento non inibiti dall’8° comma.
In definitiva, il comma 8-bis non può che operare nell’ambito non precluso dal comma che lo precede, che è quello segnato dall’esercizio dei poteri di accertamento che l’8° comma non inibisce.
Il collegamento delle disposizioni si riverbera sul contenuto del controllo giurisdizionale.
Sicché, a fronte di contestazione, la verifica giudiziale riguarda dapprima la corretta determinazione di quest’ambito, ossia che l’Agenzia abbia accertato la maggiore materia imponibile ricorrendo ai soli poteri consentiti dall’80 comma dell’art. 33 del d. l. n. 269/03, poi, entro quest’ambito, secondo le regole generali, che la maggiore materia imponibile sia adeguatamente provata e non contrastata da Idonea controprova, e, infine, che il risultato dell’attività sia, o no, superiore alla soglia del 50% del reddito dichiarato.
Il che evidenzia l’erroneità dell’ulteriore affermazione contenuta in ricorso, secondo cui il testo dell’art. 8-bis <<…mostra -che- la disposizione è diretta esclusivamente all’amministrazione e non anche al giudice>>.
4.2. – La complessiva disciplina non si pone, in relazione all’iva, in frizione col diritto unionale.
Questo perché, ha ripetutamente chiarito la Corte di giustizia (tra l’altro, con le sentenze in causa C-546/14, Degano Trasporti s.a.s., punto 21; in causa C-500/10, Belvedere Costruzioni; in causa C-144/14, punto 22; in causa C-132/06, Commissione c. Italia, punto 39; in causa C-539/09, Commissione c. Germania, punto 74), nell’ambito del sistema comune dell’iva, gli Stati membri sono liberi di utilizzare i mezzi a loro disposizione per garantire il rispetto degli obblighi a carico del soggetti passivi, purché garantiscano una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e non creino differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro.
4.3. – In questo caso, di contro, la -solo- parziale inibizione del poteri di accertamento dell’amministrazione finanziarla, stabilita a fronte del reperimento di risorse ottenute mediante l’adesione al concordato in questione, esclude che i soggetti passivi interessati possano sfuggire a qualsiasi controllo dell’Amministrazione tributaria.
4.4. – Non v’è, in definitiva, come, invece, la Corte europea ha ravvisato nella sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Italia, in causa C-132/06, una rinuncia generale e indifferenziata alla verifica delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta. Il che esclude altresì la sussistenza di differenze significative nel modo di trattare i contribuenti.
5. – In questo contesto normativo, il ragionamento dei giudici di merito si è coerentemente svolto secondo le scansioni dinanzi indicate:
– a monte, si è ridotto l’imponibile, sia mediante il richiamo <<agli importi degli assegni dati quali caparra dagli interessati e non contabilizzati>>…<<…in presenza di una espressa conferma da parte dei soggetti percettori…>>, che evoca l’esercizio del potere di accertamento contemplato rispettivamente dall’art. 39, 1° comma, lett. d), primo periodo del d.P.R. n. 600/73 e dall’art. 54, 2° comma, primo periodo, del d.P.R. n. 633/72, non precluso dall’8° comma dell’art. 33 del d.l. n. 269/03; sia per mezzo della deduzione dei costi che si sono ritenuti documentati;
– a valle, si è rilevata la preclusione degli atti di accertamento, giacché gli atti, in esito alla riduzione dell’imponibile, sono risultati, in base alla ricostruzione offerta in sentenza, inferiori alla soglia rilevante stabilita dal comma 8-bis.
Difatti, a conclusione del ragionamento, il giudice d’appello ha richiamato entrambi i commi a sostegno della valutazione finale di preclusione di ogni attività di accertamento.
6. – Il motivo di ricorso, allora, si rivela in parte infondato e in parte inammissibile.
È infondato, quanto alla pretesa impositiva per le imposte dirette, in quanto è calibrato sulla violazione del solo comma 8-bis dell’art. 33 del d.l. n. 269/03, là dove si assume, si è visto, che in virtù di questa disposizione vi sarebbe una preclusione assoluta dell’attività di accertamento <<nella sola ipotesi in cui all’Ufficio apparisse accertabile un maggiore imponibile non superiore al 50%>>, con valutazione che sarebbe insindacabile dal giudice.
Il fatto che nel caso in esame non sia ormai in contestazione l’accertabilità, in base a poteri non preclusi dall’8° comma, di materia imponibile superiore alla soglia in questione rende irrilevante la censura.
Il motivo si rivela poi inammissibile in relazione alla pretesa per iva, genericamente evocata nella narrativa del ricorso, perché l’intera articolazione del motivo è strutturata sui ricavi e sul maggior reddito, coerentemente con l’impostazione generale impressa dall’Agenzia, che ha puntato sulla violazione del -solo- art. 39 del d.P.R. n. 600/73 (secondo e terzo motivo), nonché sull’illegittima deduzione dei costi (quarto motivo).
7. – Il ricorso principale va quindi respinto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:
“In tema di concordato fiscale biennale introdotto in via sperimentale dall’art. 33 del d.l. n. 269/03, come convertito, i commi 8 e 8- bis dell’art. 33 si pongono in rapporto di complementarità, sicché la soglia prevista dal comma 8-bis al di sotto o al livello della quale sono preclusi gli atti di accertamento va riferita al reddito che può essere accertato in base ai poteri non preclusi dal precedente 8° comma. In caso di contestazione, sono rimesse al sindacato giudiziale le verifiche che l’Amministrazione abbia determinato la maggiore materia imponibile ricorrendo ai soli poteri di accertamento consentiti dall’8° comma della norma, che, entro quest’ambito, l’Ufficio abbia adeguatamente provato la propria pretesa, che non risulti in tutto o in parte contrastata da idonea controprova, e che il risultato dell’attività sia superiore al 50% del reddito dichiarato”.
7.1. – Ne risulta assorbito il ricorso incidentale.
La novità della questione comporta, tuttavia, la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta II ricorso principale, assorbito quello incidentale e compensa le spese.
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