CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13945
Tributi – Accertamento – Riscossione – Cessione quote sociali – Plusvalenza
Ritenuto in fatto
Con avviso di accertamento riferito all’anno 2003, notificato in data 10.11.2006, l’Agenzia delle Entrate intimava a C.A. di pagare €. 48417,84 per il recupero a tassazione, quale plusvalenza da cessione delle quote sociali dell’Hotel G. s.r.l. avvenuta per metà in favore di S.A. e per metà in favore di A. s.p.a.
C.A. proponeva ricorso alla CTP di Latina che lo respingeva.
Il contribuente impugnava la sentenza e la CTR del Lazio, con decisione n. 813/40/09 depositata il 30.12.2009 accoglieva il ricorso, sul presupposto che non vi fosse prova che quanto corrisposto dalla A. s.p.a. fosse superiore al 50% dell’importo complessivo pattuito e non invece, come sostenuto dal ricorrente, che la società avesse pagato il valore della sua quota più la differenza ancora dovuta al venditore dall’acquirente S., salvo poi ricevere da quest’ultimo la differenza così come descritto nell’atto e che quindi non c’era stato alcun occultamento di corrispettivo.
Con ricorso del 14.12.2011 affidato a due mezzi, l’Agenzia delle Entrate ha chiesto la cassazione dell’impugnata sentenza.
C.A. si è costituito con controricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo del suo mezzo l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.;
2. Con il secondo motivo del suo mezzo l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 38 DPR 1973/600, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.
3. I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi.
Le censure sono infondate.
3a. Occorre premettere che le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì quello di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).
Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).
Del resto, esercitandosi l’ufficio motivazionale su un percorso argomentativo che presuppone, in ragione della natura presuntiva dell’accertamento, la selezione del materiale indiziario e quindi la valutazione degli elementi provvisti della necessaria concludenza probatoria, il riesame di essi che si richiede laddove non siano evidenziabili vizi logici, costituisce accertamento di merito che esula notoriamente dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato a questa Corte.
Nel caso che ne occupa dunque la CTR ha dato conto di avere esaminato gli elementi forniti ed ha effettuato una adeguata disamina della realtà fattuale, rendendo, così, possibile il controllo sulla logicità del ragionamento sviluppato per giungere alla rassegnata decisione.
Le censure, così come formulate, si risolvono nella mera prospettazione di un possibile significato alternativo, delle disposizioni negoziali, diverso da quello accolto dalla Corte territoriale, che è inidoneo ad inficiare la corretta applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di merito, atteso che “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che è stata privilegiata l’altra” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 02/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 3644 del 16/02/2007; Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009; Sentenza n. 19044 del 03/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 25/09/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014),In definitiva il ricorrente si duole che la sua tesi non sia stata condivisa Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in €5000,00 oltre accessori.