CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2018, n. 14010
Tributi – Dazi doganali – Accertamento – Riscossione – Contenzioso tributario
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro la sentenza resa dalla CTR Liguria n.43/2013/03, depositata il 25.9.2013, che, in riforma della decisione di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento e rettifica emesso nei confronti della I. srl relativo alla ripresa a tassazione di dazi doganali relativi ad importazioni effettuate fra la fine del 2006 ed il 2007 accertati sulla scorta della risultanze della missione comunitaria svoltasi in India dal 18 giugno al 2 luglio 2008.
Secondo il giudice di appello, applicandosi nell’ordinamento interno i principi espressi in tema di contraddittorio dalla sentenza Sopropè della Corte di Giustizia, l’art. 11 c. 2 d.lgs. n. 374/1990, nella parte in cui consentiva all’ufficio doganale di avvisare il contribuente sulla revisione dell’accertamento, fissando un termine di 15 giorni, faceva nascere un vero e proprio obbligo dell’amministrazione al contraddittorio preventivo e non una mera possibilità. L’atto impugnato era quindi viziato per la violazione di siffatto principio.
La parte intimata si è costituita con controricorso ed ha depositato due memorie.
L’Agenzia ricorrente deduce la violazione dell’art. 11 d.lgs. n. 374/1990. La CTR non avrebbe considerato che il testo ratione temporis vigente di cui alla menzionata disposizione tutelava già il diritto al contraddittorio in modo pieno e anticipato, consentendo l’instaurazione di un contenzioso in sede amministrativa nel quale far valere le proprie ragioni mediante l’istituto della controversia doganale (art. 66, 70, 76 dPR n. 43/73). Peraltro, la sentenza Sopropè non aveva sancito un diritto al contraddittorio astratto, semmai richiedendo l’accertamento in concreto che la mancata concessione di un termine alla parte contribuente abbia inciso sulla possibilità del contribuente di essere concretamente e utilmente sentito dalle autorità doganali.
La società contribuente, costituitasi con controricorso, ha chiesto il rigetto del ricorso rilevando che: a) la sentenza Sopropè aveva sancito l’obbligo di un contradditorio preventivo e non successivo all’emissione del provvedimento impositivo; b) l’lstituto della c.d. controversia doganale non era idoneo a salvaguardare il diritto al contraddittorio riguardando un provvedimento già emesso; c) corretta era quindi l’impostazione assunta da Cass. n. 14105/2010; d) a sostegno dell’illegittimità dell’atto impugnato andavano in ogni caso richiamati altri parametri normativi (art. 52 c. 6 dPR n. 633/1972, art. 12 c. 7 l. n. 212/2000, art. 21 septies l. n. 241/1990 -; e)
l’art. 92 del d.l. n. 1/2012, inserendo il comma 4 bis dell’art. 11 d.lgs. n. 374/1990, non aveva fatto altro che specificare un obbligo generale in precedenza già applicabile in materia sulla base dell’art. 12 c.7 cit., come pure aveva riconosciuto la circolare dell’Agenzia delle dogane n. 40/D del 28.12.2001.
Il ricorso è fondato.
Decisivi per l’esito della controversia appaiono i principi ormai stratificati nella giurisprudenza di questa Corte, sulla scia dei precedenti resi dalla Corte di Giustizia in materia di contraddittorio doganale.
Occorre muovere dall’affermazione, espressa da Cass. n. 6621/13, secondo la quale il rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 (codice doganale comunitario), si evince dalle previsioni espresse dell’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374 e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo. Ne deriva che la denuncia di vizi di attività dell’Amministrazione capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale.
Cass. n. 8399/13 ha quindi chiarito che in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, è inapplicabile l’art. 12, comma 7, della legge 20 luglio 2000, n. 212, operando in tale ambito lo jus speciale di cui all’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, – nel testo utilizzabile ratione temporis – preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del suddetto avviso. Con un ulteriore gruppo di decisioni pubblicate fra il febbraio e il dicembre 2014 – sentt. nn. 10070/14, 9799/14, 9800/14, 9801, 9802/14, 9803/14, 10070/14, 15032/14, 15033/14, 15034/14, 15035/14, 15036/14, 15037/14, 25972/14, 25973/14, 25074/14, 25975/14 – questa Corte, dando continuità ai principi espressi da Cass. n. 8399/2013, ha, tra l’altro, chiarito ulteriormente che l’art. 11 comma 7 ed 8 del D.lgs. n. 374/1990, nel testo vigente “ratione temporis”, prevedeva che, quando dalla revisione eseguita d’ufficio dell’accertamento divenuto definitivo emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato notificando apposito avviso” di rettifica motivato (comma 1, 5 e 6). Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica ed in tal caso viene redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dagli artt. 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con DPR 23 gennaio 1973 n. 43”. I procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, atteso che:a) l’art. 66 TU n. 43/1973 prevede che l’operatore presenti ricorso gerarchico avverso l’avviso di rettifica “producendo i documenti ed indicando i mezzi di prova ritenuti utili”; b) dal combinato disposto degli art. 70 u.c. e 76 c. 1 del TU n. 43/1973 emerge che solo all’esito dell’indicato procedimento amministrativo contenzioso – nel caso di decisione parzialmente o totalmente sfavorevole al ricorrente gerarchico – si determina la “definitività” dell’avviso di accertamento in rettifica ed il contribuente è legittimato ad esperire il ricorso giurisdizionale ex art. 21 D.lgs. n. 546/1992 avverso l’atto impositivo. Il procedimento amministrativo in questione, è preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica.
Nelle medesime circostanze si è ribadita l’inapplicabilità alla materia doganale dell’art.12 c. 7 l.n.212/2000, altresì chiarendo che il sistema del TU n. 43/1973, cui rinviava l’art. 11 D.lgs. n.374/1990 realizzava, attraverso il procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio pieno, che, in seguito, è venuta ad essere sostituita da una diversa modalità di assicurazione della garanzia del contraddittorio “…ma soltanto a far data dalla entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1 (art. 1 comma 1) convertito nella legge 24.3.2012 n. 44 che ha introdotto il comma 4 bis all’articolo 11 D.lgs. n. 374/1990…”- intervento normativo successivamente completato dall’art 12 comma 1 del decreto legge 2.3.2012 n. 16 conv. in legge 26.4.2012 n. 27 (recante “disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficienza e potenziamento delle procedure di accertamento”) con l’abrogazione del comma 7 e parzialmente del comma 6 dell’art. 11 del D.lgs. n. 374/1990 e la conseguente eliminazione del sistema dei ricorsi amministrativi contenziosi in materia doganale.
Va poi aggiunto che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24823/2015, esaminando la questione rimessa da questa sottosezione con ordinanza interlocutoria n. 527/2015, hanno ritenuto che le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni.
Nella medesima occasione le Sezioni Unite hanno per l’un verso desunto anche dall’introduzione in materia doganale di una specifica disposizione-art. 11 c. 4 bis d.lgs. n. 374/1990, come detto inapplicabile ratione temporis alla fattispecie – l’inesistenza di un obbligo generale di contraddittorio e, per altro verso, chiarito che <<…Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.
In definitiva, la giurisprudenza di questa Corte ha disegnato nell’ambito doganale una disciplina speciale che trova fondamento dal combinato disposto delle disposizioni normative specificamente inserite nell’ambito di siffatta materia e dalla matrice eurounitaria della disciplina di settore, per l’appunto emanata dalle Istituzioni dell’Unione europea. Orbene, i superiori principi vanno coordinati con quelli espressi dalla Corte di Giustizia proprio in tema di contraddittorio doganale – Corte giust., sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C – 129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics.
Tale ultima pronunzia ha infatti ricordato che il diritto al contraddittorio si applica quando l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, dovendosi consentire ai destinatari incisi dalle determinazioni amministrative rientranti nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione di essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale diritto sussiste anche quando la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (v. sentenze Sopropé, punto 38; M., punto 86, nonché n. C-383/13, G. e R., PPU, punto 32).
Per quel che qui specificamente rileva, la Corte UE ha ricordato che, quando il diritto dell’Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa né le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività). Siffatta soluzione è applicabile alla materia doganale nella misura in cui l’art. 245 del codice doganale rinvia espressamente al diritto nazionale, precisando che «le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri», fermo restando che i suddetti possono legittimamente consentire l’esercizio dei diritti della difesa secondo le stesse modalità previste per la disciplina delle situazioni interne purché esse siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, non compromettere l’effetto utile del codice doganale (sentenza G. e R.,cit., punto 36).
Più di recente, Corte di giustizia, 20.12.2017, C-276/16, Preqù, ha quindi precisato che le disposizioni del diritto dell’Unione, come quelle del codice doganale, devono essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali e che le disposizioni nazionali di attuazione delle condizioni previste all’articolo 244, secondo comma, del codice doganale per la concessione di una sospensione dell’esecuzione devono, in mancanza di una previa audizione, garantire che tali condizioni non siano applicate o interpretate restrittivamente. Secondo la Corte UE, se il destinatario di avvisi di rettifica dell’accertamento come quelli di cui trattasi nel procedimento principale ha la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione di detti atti fino alla loro eventuale riforma e se il giudice nazionale verifica che nell’ambito del procedimento amministrativo, le condizioni di cui all’articolo 244 del codice doganale non sono applicate in modo restrittivo, non può ritenersi pregiudicato il rispetto dei diritti della difesa del destinatario degli avvisi di rettifica dell’accertamento.
In definitiva, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’articolo 244 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione dell’articolo 244, secondo comma, di detto regolamento da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato.
La Corte UE ha, infine, tenuto a rimarcare che una violazione del diritto di essere ascoltati determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso.
Orbene, sulla base del diritto vivente di questa Corte, come A integrato dalla giurisprudenza della Corte UE, il ricorso dell’Agenzia è fondato, non risultando che la CTR si sia pienamente conformata ai principi sopra ricordati, avendo richiamato solo parzialmente i principi espressi dalla Corte di Giustizia, come si è visto, invece, declinati nel senso di escludere l’incomprimibilità assoluta del diritto al contraddittorio proprio in ambito doganale e di introdurre specifiche limitazioni al suo concreto operare.
Peraltro, è opportuno chiarire che nemmeno plausibili appaiono i dubbi, prospettati dalla controricorrente nelle due memorie agli atti, circa un possibile vulnus dei principi espressi dalla Corte di giustizia rispetto al principio di equivalenza, avuto riguardo al maggior rigore che presenta il regime relativo al contraddittorio doganale rispetto alla disciplina prevista dall’art. 12 c. 7 l. n. 212/2000.
Proprio la sentenza della Corte di giustizia resa in causa Preqù ha messo in evidenza le coordinate del bilanciamento che si realizza a livello UE fra esigenze del contraddittorio e necessità di recuperare prontamente risorse fiscali anche di pertinenza dell’UE (cfr. 51 sent. Preqù, cit.). Siffatta esigenza, di natura fondamentale, non può essere messa in discussione nemmeno evocando la diversità dei principi espressi a livello interno in tema di contraddittorio (art.12 c.7 l. n. 212/2000) per le verifiche compiute con accertamento in loco presso i locali dell’imprenditore – cfr Cass. S.U. n. 24823/2015, proprio in relazione al principio del primato del diritto UE su quello interno.
In questa prospettiva, va infatti ancora una volta ricordato quanto di recente affermato dalla Corte UE – Corte giust., Grande Camera, 5.12.2017, Causa C-42/17, M.A.S. e M.B. – ove si è ribadito, a proposito della possibilità di applicare a materia regolata dal diritto UE una protezione interna superiore rispetto a quella offerta sul piano eurounitario che ‘…resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità o l’effettività del diritto dell’Unione (sentenza del 26 febbraio 2013, Kkerberg Fransson, C-617/10, punto 29). p.47-.
Circostanza che può dirsi pienamente avverata, quanto alle fattispecie disciplinate dall’art. 12 c. 7 l. n. 212/2000, per ciò che riguarda gli accertamenti con verifica in loco presso i locali del contribuente – concernenti tanto i tributi diretti che quelli armonizzati – nei quali non rientra pacificamente, per le considerazioni sopra esposte, quella qui in esame, correlato a verifiche eseguite dal servizio Olaf, per come risulta dall’avviso di rettifica riprodotto nel ricorso per cassazione a pag.2 e ss. Diversamente opinando, verrebbe infatti a prodursi un nocumento a carico delle entrate riservate all’Unione europea per effetto dell’estensione di una disciplina interna che, nel prevedere la nullità dell’atto in caso di mancato rispetto del termine dilatorio fissato dall ‘art. 12 c. 7 l. n. 212/2000, garantisce un livello di protezione del diritto al contraddittorio decisamente superiore a quello offerto sul piano eurounitario ove, per converso, il diritto anzidetto, pur riconosciuto come fondamentale, non integra una prerogativa assoluta, ma può essere soggetto a restrizioni, purché queste rispondano ad obiettivi di interesse generale perseguiti in modo proporzionato -quali sono quelli di recuperare tempestivamente le entrate proprie. Prerogativa, quella di cui si è appena detto che, peraltro, è destinata ad operare, in ogni caso, solo ove vi sia, come già detto, la piena dimostrazione della c.d. prova di resistenza.
Ciò consente di escludere il prospettato deficit di razionalità fra situazioni interne e diritto UE e, conseguentemente, la necessità di sollevare un apposito quesito pregiudiziale alla Corte UE, risultando la giurisprudenza in materia chiara-. Com’è noto, infatti, la Corte di Giustizia UE ha più volte chiarito (v.Corte giust. 6 ottobre 1982, C-283/81, Soc. Cilfit) Corte giust., 20 settembre 2011, Ullens de Schooten e Rezabeck c. Belgio, par. 56) che l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno è tenuta, qualora una questione di diritto dell’Unione europea si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato, alternativamente, che: a) la questione esegetica di diritto dell’Unione europea non è rilevante ai fini della decisione del caso concreto; b) la disposizione di diritto dell’Unione di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte; c) la corretta applicazione del diritto europeo si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.
Orbene, nel caso di specie, per le considerazioni appena dette la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia prospettata non è rilevante rispetto al giudizio.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorso dell’Agenzia va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR Liguria perché faccia applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Giustizia sopra richiamati, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Liguria, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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