CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2019, n. 14946
Tributi – IVA – Condono – Definizione liti potenziali ex art. 15 della legge n. 289 del 2002 – Disapplicazione per contrasto alla normativa europea – Esclusione – Omesso versamento somme del condono – Diniego della definizione – Obbligo di comunicazione al contribuente – Esclusione – Cartella di pagamento – Legittimità
Rilevato che
Con sentenza n. 04/27/2011, depositata il 14 gennaio 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto da I. B. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro-tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro-tempore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Como n. 71/05/08 che aveva rigettato il ricorso proposto dalla detta società avverso la cartella di pagamento n. 0332060002116529, con la quale l’Ufficio aveva iscritto a ruolo l’importo di euro 760.377,43 recuperato con l’avviso di rettifica n. 80035202, a titolo di Iva, sanzioni e interessi, per l’anno 1997;
il giudice di appello, in punto di fatto, ha premesso che:
1) l’Agenzia delle entrate, ufficio di Como, aveva notificato a B. s.r.l. l’avviso di rettifica n. 800352/2002 con il quale aveva recuperato, per l’anno 1997, la somma di euro 760.377,43 a titolo di Iva, interessi e sanzioni;
2) in data 16 maggio 2003, la detta società si era avvalsa della definizione agevolata, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002;
3) in data 4 aprile 2006, l’Ufficio aveva notificato alla medesima società la cartella esattoriale n. 0332060002116529 con la quale era stato iscritto a ruolo l’importo di cui all’avviso di rettifica predetto;
4) avverso la cartella di pagamento, la società aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Como deducendo l’omessa motivazione e la mancata comunicazione, da parte dell’Ufficio, del rigetto della domanda di condono;
5) aveva controdedotto l’Ufficio, rilevando che l’emissione della cartella era conseguita al mancato perfezionamento della definizione, ex art. 15 della legge n. 289/02, e che alcuna comunicazione preventiva del diniego di condono era normativamente prevista, essendo sufficiente, ai fini della validità della cartella, il richiamo esplicito al titolo sul quale si fondava ex art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973;
6) avverso la sentenza n. 194/07/06 del 12 ottobre 2006, con la quale la CTP di Como aveva rigettato il ricorso, aveva proposto gravame la società dinanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza n. 42/35/07 depositata il 17 luglio 2007, aveva dichiarato nulla la sentenza di primo grado – per essere stata disattesa la regolare istanza di discussione in pubblica udienza avanzata dalla contribuente – e rimesso la causa dinanzi ad altra sezione della CTP di Como ex art. 59, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 546 del 1992;
7) la CTP di Como, con sentenza n. 71/05/08, depositata in data 8/10/08, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società;
8) avverso tale sentenza della CTP, la contribuente aveva proposto appello dinanzi alla CTR della Lombardia riproponendo gli stessi motivi del primo grado;
9) aveva controdedotto l’Ufficio, richiamando le difese di primo grado e ribadendo che l’iscrizione a ruolo era conseguita al mancato perfezionamento della definizione ex art. 15 della legge n. 289 del 2002, non essendo state versate le somme dovute, mentre non era previsto l’adempimento preventivo all’emissione della cartella di comunicazione del diniego di condono;
la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha affermato che:
1) non risultava che il diniego all’istanza di definizione ex art. 15 della legge n. 289/02 fosse stato notificato alla società contribuente;
2) l’Ufficio non aveva esplicitato nella cartella i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che ostavano alla definizione del condono in ottemperanza all’art. 7 della legge n. 212 del 2000, non potendo essere la notifica della cartella esattoriale interpretata come un tacito rigetto;
3) tali accertamenti non erano, in ogni caso, più necessari in quanto, alla luce dei principi e dei limiti introdotti in materia di Iva, con riferimento alla legge n. 289/02, dalla Corte di giustizia, con la sentenza del 17 luglio 2008, causa C-132/06, recepita anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 20068/2009), doveva ritenersi che la legge n. 289/02 nella parte in cui introduceva qualsiasi tipologia di condono in materia di Iva, fosse contraria al diritto comunitario e dovesse, quindi, essere disapplicata;
– avverso la sentenza della CTR, la G. R. E. s.r.I., già il B. s.r.l. – incorporata per fusione in forza dell’atto rep. 60955/23980 del notaio M. C. – propone ricorso principale per cassazione, affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia, che articola ricorso incidentale condizionato in un mezzo; la contribuente ha resistito al ricorso incidentale condizionato con controricorso;
la ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., insistendo per l’accoglimento del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale (condizionato);
il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
Con il primo motivo del ricorso principale, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della legge n. 289/02 e del principio di cui alla sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio 2008, causa C-132/06, per avere la CTR – dopo avere correttamente accertato l’illegittimità della cartella di pagamento per mancata esplicitazione delle ragioni del diniego della definizione agevolata ai sensi dell’art. 15 cit. – indebitamente ritenuto di disapplicare in toto la legge n. 289/02, alla luce di una supposta incompatibilità con il diritto UE desunta dalla citata sentenza della Corte di giustizia, ancorché gli artt. 15 e 16 della detta legge non concretassero – come, invece, le definizioni di cui agli artt. 8 e 9 – una “rinuncia all’accertamento”, con conseguente compatibilità con il diritto UE (è richiamata, sul punto, Cass., sez. un., n. 3677 del 2010);
con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del principio generale dell’affidamento e dell’art. 10, comma 1, della legge n. 212 del 2000, per avere la CTR, nel rigettare l’appello della contribuente, erroneamente ritenuto la legittimità della cartella di pagamento in quanto, anche a volere ravvisare una incompatibilità con il diritto comunitario della definizione delle liti potenziali di cui all’art. 15 della legge n. 289 del 2002, la riscossione della pretesa erariale “condonata” da parte dello Stato italiano nei confronti del contribuente in “buona fede” configurava, in ogni caso, una violazione del principio generale dell’affidamento;
con il terzo motivo, la ricorrente – nell’ipotesi di ritenuta rilevanza, ai fini della risoluzione della controversia, della questione della compatibilità dell’art. 15 della legge n. 289/02 con il diritto UE chiede il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE al fine di verificare se il combinato disposto degli artt. 10 del Trattato CE e 2, par. 1, 206, 250, par. 1, 252, par. 1, 273, par. 1, della Direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, debbano essere interpretati nel senso che osti a uno Stato membro di introdurre un istituto straordinario di composizione delle liti potenziali con il Fisco – del tipo di quello previsto dall’art. 15 della legge n. 289/02 – con il quale si consenta al contribuente di definire, eccezionalmente, mediante il pagamento di una somma ragguagliata alla pretesa erariale gli avvisi di accertamento relativi al recupero dell’Iva per i quali alla data di entrata in vigore della detta legge non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale;
con il quarto motivo, la ricorrente in via subordinata – nella denegata ipotesi in cui si ritenesse legittima la riscossione coattiva della pretesa erariale già condonata – denuncia la violazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000 per avere la CTR, nel rigettare l’appello della contribuente, confermando la legittimità della cartella di pagamento, omesso di disapplicare le sanzioni tributarie e gli interessi moratori dell’avviso di rettifica “condonato”, nonostante l’obiettiva incertezza sulla portata dell’art. 15 della legge n. 289/02;
il primo motivo del ricorso principale è fondato;
questa Corte, a sezioni unite, con la sentenza n. 3676 del 2010, ha affermato che “In tema di condono fiscale, l’art. 16 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonché la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di IVA, non può essere disapplicato per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in causa C-132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva cit.) degli artt. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente”; uguale ratio di riduzione del contenzioso potenziale è sottesa all’art. 15 della legge n. 289 del 2002 che regola la definizione delle “liti potenziali” e che, non comportando una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta, non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice nazionale nella parte in cui si riferisce alle liti potenziali in materia di Iva;
nella specie, la CTR non ha fatto buon governo dei suddetti principi, avendo, nel rigettare l’appello della contribuente, disapplicato in toto la legge n. 289/02 nella parte in cui introduce qualsiasi tipologia di condono in materia Iva, in quanto ritenuta incompatibile con il diritto comunitario;
l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione degli altri motivi del ricorso principale, con assorbimento degli stessi;
con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 15 della legge n. 289/2002 e 7 della legge n. 212/00 in relazione al capo della sentenza impugnata in cui la CTR aveva ritenuto erroneamente necessaria la previa comunicazione alla contribuente del diniego di definizione ex art. 15 cit. nonché l’indicazione nella cartella delle ragioni del detto diniego, ancorché tale adempimento non fosse previsto dal legislatore del 2002, né tantomeno dovendo costituire il diniego di condono oggetto di specifica motivazione della cartella ex art. 7 dello Statuto, per essere necessario, ai sensi del comma 3 del detto articolo, solo il richiamo nel titolo esecutivo all’eventuale previo atto di accertamento, il che, nella specie, era stato puntualmente effettuato;
va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla contribuente in quanto, in ossequio a quanto ritenuto da questa Corte secondo cui “il ricorso incidentale (condizionato) presuppone la soccombenza, la quale non sussiste, con conseguente inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, ove lo stesso verta su una parte della motivazione che non abbia dato luogo ad una pronuncia su questione, pregiudiziale di rito o preliminare di merito, sfavorevole alla parte totalmente vittoriosa” (da ultimo, Cass. n. 18648 del 2018), nella specie, le questioni sulla mancata previa comunicazione alla contribuente del diniego di definizione ex art. 15 della legge n. 289/02 e sulla carenza, sotto tale profilo, di motivazione della cartella avevano costituito oggetto di specifici motivi di censura sia in primo che in secondo grado, con una conseguente pronuncia in merito da parte della CTR sfavorevole all’Agenzia;
nel merito, il motivo è fondato;
quanto al primo profilo concernente la ritenuta previa necessità di comunicazione alla contribuente del diniego di definizione ex art. 15 della legge n. 289/02, questa Corte ha già chiarito che, “in tema di condono fiscale, salvo che non sia espressamente previsto, l’Ufficio non è tenuto ad adottare un provvedimento esplicito di diniego qualora ritenga l’istanza invalida ma può procedere, in forza dell’atto impositivo, all’iscrizione a ruolo e alla notifica della relativa cartella di pagamento, da intendersi come implicito diniego di ammissione al beneficio” (Cass. 12787 del 2018; n. 14878 del 2016), con la conseguenza che il contribuente ha l’onere di impugnare tali atti esecutivi, se intendér può sempre far va ere tutte le ragioni per le quali ritenga di avere diritto di accedere al condono (Cass. n. 5934 del 2015; Cass. n. 11458 del 2012; Cass. n. 1610 del 2011; Cass. n. 7454 del 2003);
quanto al secondo profilo concernente la ritenuta necessaria indicazione, sotto il profilo di sufficienza motivazionale della cartella, delle ragioni del diniego di condono, va osservato che il previo diniego implicito di condono – assimilabile ad un silenzio-rifiuto, autonomamente impugnabile dal contribuente senza che ciò possa comportare alcuna lesione del suo diritto di difesa- non comporta un particolare onere di motivazione della cartella esattoriale con il richiamo delle ragioni dello stesso, rimanendo fermo quanto già chiarito da questa Corte secondo cui “la cartella di pagamento, in quanto atto impositivo, deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto e di diritto che hanno originato la pretesa” (Cass. n. 2023 del 2014; n. 24279 del 2018) e secondo cui «la generale portata precettiva dell’obbligo di motivazione va differenziata a seconda del contenuto prescritto dalle norme per ciascun atto impositivo» (Cass. n. 3948 del 2011);
nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto che, a fronte della riscontrata mancata previa comunicazione alla contribuente del diniego di definizione ex art. 15 della legge n. 289/02, la cartella di pagamento difettasse, in violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, della indicazione delle ragioni del detto diniego non potendo essere la notifica della cartella interpretata come un rigetto tacito;
in conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri, nonché va accolto il ricorso incidentale condizionato, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda processuale, alla luce dei suesposti principi.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale proposto dalla G. R. E. s.r.l. (già I. B. s.r.I.), in persona del legale rappresentante pro-tempore; assorbiti gli altri motivi del ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale condizionato dell’Agenzia delle entrate e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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