CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 marzo 2022, n. 10459
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Grave crisi aziendale e rimodulazione organizzativa – Selezione – Lavoratore prossimo al pensionamento – Illegittimità – Reintegro nel posto di lavoro
Rilevato che
1. la Corte di appello di Napoli, pronunziando in sede di rinvio dalla sentenza di questa Corte n. 24882/2017, in riforma della sentenza del Pretore di Napoli, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato a M.S. con effetto dal 27.1.1997, ordinato a I.M. s.p.a. la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato, condannato la società datrice di lavoro al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto percepita dall’epoca del licenziamento fino alla reintegra, oltre accessori, ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
1.1. la Corte distrettuale, richiamato il protratto iter processuale che aveva connotato la vicenda in esame, iter caratterizzato da ripetuti interventi della Corte di legittimità, premesso che in base al dictum della sentenza rescindente era tenuta a verificare se il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo intimato al S. fosse giustificato ai sensi dell’art. 3 l. n. 604/1966 dalla soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto al quale era addetto il lavoratore e se tale soppressione fosse riferibile sul piano causale a progetti o scelte datoriali; ha quindi rilevato che la società datrice sin dalla memoria di costituzione di primo grado si era limitata ad allegare la esistenza di una grave crisi aziendale e la connessa necessità di rimodulazione dell’organizzazione del lavoro evidenziando che tale scelta era stata condivisa con le organizzazioni sindacali con le quali si era stabilito un programma di progressiva riduzione del personale che privilegiava ai fini del licenziamento i lavoratori che potevano godere del trattamento pensionistico, ma non aveva allegato e provato la soppressione del posto di lavoro del S.; ha ritenuto che le circostanze dedotte dalla società ed in particolare la prossimità al pensionamento del lavoratore non erano idonee a giustificarne il licenziamento; a tanto conseguiva, in difetto di prova di una diversa causa di risoluzione del rapporto, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, non ostandovi il raggiungimento da parte di questi dell’età pensionabile, e la condanna della società datrice al risarcimento del danno costituito dalle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino alla reintegra; ha escluso quale aliunde perceptum detraibile dall’importo dell’indennità risarcitoria i proventi dell’attività di scrittore che ha ritenuto non espressione dell’impiego della medesima capacità lavorativa spesa dal Siviera in relazione all’attività di redattore prestata presso la società I.M. s.p.a. (E. s.p.a., all’epoca del licenziamento);
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso I.M. s.p.a. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
2.1. sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 380- bis .1. cod. proc. civ.;
Considerato che
1. la richiesta formulata nella memoria di parte ricorrente, di rinvio a nuovo ruolo della presente causa al fine della trattazione in pubblica udienza, non è meritevole di accoglimento; la non particolare rilevanza delle questioni di diritto poste dalla presenta causa – le quali attengono a profili sui quali si è ripetutamente espresso il giudice di legittimità, privi, pertanto, di specifico interesse nomofilattico – e le esigenze di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., rendono inopportuno una ulteriore dilazione dei tempi di definizione del giudizio, iniziato nell’anno 1998;
2. in relazione ai singoli motivi di ricorso si premette che:
3. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 604/1966 e dell’art. 12 Preleggi, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che ai fini della legittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo fosse necessaria la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato; argomenta che la necessità di tale soppressione non era evincitele dal dato normativo e che la verifica del giustificato motivo oggettivo doveva essere posta in relazione alla specifica causale che poteva integrarne gli estremi, vale a dire, in via esemplificativa, ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro, e al regolare funzionamento dell’ impresa; in questa prospettiva adduce essere sufficiente al fine della legittimità del recesso datoriale la non pretestuosità della riorganizzazione, non pretestuosità che nello specifico era evincibile dalla situazione di crisi aziendale e che la diversa opzione condivisa dalla Corte di merito si poneva in contrasto con la libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.;
4. con il secondo motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dal piano di risanamento gestionale adottato dalla società che prevedeva ben trentacinque esuberi fra i giornalisti; argomenta quindi in ordine alla corretta nozione di soppressione del posto di lavoro;
5. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18 St. lav., degli artt. 116, comma 2, 394, 414, 416, 434, 436, 437 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere respinto la eccezione – formulata nella memoria di costituzione nel giudizio di rinvio – avente ad oggetto l’impossibilità giuridica della reintegrazione del lavoratore per essere il rapporto del S. cessato in conseguenza del raggiungimento dell’età pensionabile; la relativa comunicazione, effettuata con la nota del 1.2.2007, costituiva un nuovo licenziamento, mai impugnato in via giudiziale o stragiudiziale, che aveva determinato la estinzione del rapporto;
6. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2697 cod. civ. censurando la valutazione di genericità riferita alla eccezione di aliunde perceptum ed evidenziando che il requisito dell’impiego della medesima capacità lavorativa al fine della detraibilità dell’aliunde perceputm non si configurava quale requisito normativamente previsto;
7. il primo motivo di ricorso è da respingere;
7.1. occorre premettere che la sentenza rescindente ha accolto il primo motivo del ricorso per cassazione con il quale M. S. aveva dedotto violazione e/o falsa applicazione di varie norme di legge (artt. 111 Cost.; 115, 116, 132, 384 cod. proc. civ.; 118 disp. att. cod. proc. civ.; 1175, 1345, 1375, 2697 cod. civ.; 3 e 5 l. n. 604/1966; 18 l. n. 300/1970), nonché motivazione apparente e nullità della sentenza (art. 360 n. 3 e n. 4 cod. proc. civ.), per avere la Corte di merito – qualificata la fattispecie come licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo – considerato sufficiente, ai fini della legittimità del recesso, la verifica della situazione di crisi aziendale e della necessità di contenimento dei costi attraverso la contrazione del numero dei giornalisti occupati, senza peraltro accertare, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, se il posto occupato dal ricorrente fosse stato realmente soppresso e se sussistesse la possibilità di impiegare altrove il lavoratore licenziato;
7.2. Il giudice di legittimità ha motivato l’accoglimento del primo motivo osservando: <<Peraltro, la fattispecie normativa astratta, di cui all’art. 3, seconda parte, L. n. 604, richiede: (a) che la posizione di lavoro del destinatario del provvedimento datoriale risulti venuta meno, per effetto della soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui il dipendente era stato addetto, non essendo, tuttavia, necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo, che vengano soppresse anche tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, le quali ben possono “essere solo diversamente ripartite ed attribuite” all’interno del nuovo e diverso assetto organizzativo (Cass. n. 21121/2004 e successive numerose conformi); (b) che la soppressione del posto di lavoro sia riferibile, sul piano causale, a progetti o scelte datoriali – non sindacabili in sede giudiziale quanto ai profili di congruità e opportunità, purché connotati da effettività e assenza di simulazione (Cass. n. 17887/2007 e successive numerose conformi) – diretti a incidere sulla struttura e sulla organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, senza che il datore debba necessariamente provare anche un andamento economico negativo dell’azienda, “essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa” (Cass. 25201/2016; conforme Cass. n. 10699/2017); (c) che non sia possibile una diversa collocazione del lavoratore all’interno dell’impresa ristrutturata o rimodulata nei suoi aspetti tecnico-organizzativi, essendo il relativo onere probatorio – al pari di quello avente ad oggetto gli elementi (a) e (b) sopra richiamati – a carico del datore di lavoro (che può assolverlo anche mediante il ricorso a presunzioni: Cass. 3040/2011), escluso peraltro che “sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili” (Cass. n. 5592/2016; conf. Cass. 12101/2016): elemento, questo dell’impossibilità di reimpiego in altre posizioni di lavoro e/o con diverse mansioni, che, se pure normativamente inespresso nella formulazione testuale dell’art. 3 l. n. 604/1966, trova la sua giustificazione sia sul piano dei valori, nella prospettiva del licenziamento come extrema ratio all’interno di un ordinamento che tutela il lavoro già a livello costituzionale, limitando, per converso, l’iniziativa economica privata, ove il suo esercizio risulti in contrasto con la dignità umana (art. 41, comma 2°, Cost.); sia come riflesso logico del carattere effettivo e non pretestuoso che deve accompagnare la scelta tecnico-organizzativa del datore di lavoro, la quale, siccome univocamente diretta al conseguimento delle ragioni proprie dell’impresa, non può riconoscere il condizionamento di finalità espulsive diversamente legate alla persona del lavoratore.>>; la sentenza all’epoca impugnata non si era conformata a tali principi <<avendo la Corte di merito – sulla base di un’erronea equazione tra stato di crisi aziendale e giustificazione del licenziamento – omesso di verificare in concreto quale fosse il posto di lavoro occupato dal ricorrente e se tale posto di lavoro dovesse ritenersi effettivamente e specificamente soppresso in conseguenza dell’attuazione di programmi diretti alla riorganizzazione e al risanamento dell’impresa, trattandosi di elementi qualificanti la fattispecie legale, di cui all’art. 3 l. n. 604/1966, e non superabili, in una corretta interpretazione della norma, attraverso il riferimento alla scelta dimensionale e alla sua ragionevolezza.>>;
7.3. sulla base dei richiamati presupposti in diritto la sentenza rescindente ha demandato alla Corte di rinvio di procedere al riesame della fattispecie, ferma la già operata qualificazione del recesso come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce dei principi indicati;
7.4. l’accertamento effettuato dalla Corte di rinvio è stato contenuto nel perimetro delineato dalla sentenza rescindente e risulta coerente con l’indagine demandata, che implicava la verifica della effettività del mutamento organizzativo e della connessa soppressione del posto di lavoro occupato dal S. quale conseguenza delle circostanze indicate dalla datrice di lavoro a giustificazione dell’intimato licenziamento;
7.5. tanto premesso, secondo la giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte, a norma dell’art. 384, primo comma cod. proc. civ., l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi; la pregnanza di tale vincolo è tale che esso è operante anche se nel frattempo sono intervenuti mutamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità – ipotesi peraltro non ricorrente nel caso di specie – con l’ulteriore corollario rappresentato dal fatto che la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dal medesimo principio di diritto precedentemente enunciato e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte (Cass. n. 27155/2017, Cass. n. 6086/2013, Cass. n. 2095/2007), fatta salva l’ipotesi – non ravvisabile nella presente fattispecie – che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di “jus superveniens”, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale;
7.6. alla stregua dei richiamati arresti si rivela in definitiva inconferente la prospettazione di parte ricorrente, intesa a propugnare una nozione di giustificato motivo oggettivo ex art. 3 l. n. 604/1966 come non implicante o comunque non necessariamente implicante la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato; l’esame nel merito di tale argomentazione risulta infatti sostanzialmente precluso dal fatto che il giudice del rinvio, proprio in ragione del vincolo ex art. 384 cod. proc. civ., non aveva alcuna possibilità di procedere ad una ricostruzione del significato normativo della nozione di giustificato motivo oggettivo – con ricadute sul connesso accertamento fattuale – diversa da quella fatta propria dalla sentenza rescindente ed alla base della cassazione con rinvio della precedente sentenza;
8. quanto ora osservato rende privo di decisività il fatto del quale con il secondo motivo di ricorso si denunzia omesso esame, fatto rappresentato dal piano di risanamento gestionale che prevedeva trentacinque esuberi fra i giornalisti; tale circostanza, infatti, è solo rappresentativa della generica esigenza di riduzione del personale, riduzione che in quanto concordata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori rivelava l’effettività della situazione di crisi economica dell’azienda; essa è, però, priva di decisività in relazione allo specifico accertamento demandato dal giudice di legittimità costituito dalla modifica organizzativa comportante la soppressione del posto di lavoro occupato del Siviere, come richiesto dalla sentenza rescindente;
9. il terzo motivo di ricorso è infondato;
9.1. la eccezione formulata nella memoria di costituzione in sede di rinvio, in merito all’esistenza di una comunicazione, effettuata al S. in data 1 febbraio 2007, di risoluzione del rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età, comunicazione che, non impugnata dal lavoratore, si assume essere ostativa al suo reintegro nel posto di lavoro in relazione al licenziamento del 27 gennaio 1997; tale comunicazione, nei termini in cui è evocata nel ricorso per cassazione, non appare sufficientemente specifica nel chiarire se la lettera in questione avesse un contenuto meramente ricognitivo della (ritenuta) avvenuta cessazione del rapporto di lavoro quale conseguenza automatica del compimento del 65° anno di età – tesi disattesa dalla Corte di merito sulla base di argomentazioni giuridiche condivise da questo Collegio – o era, invece, espressione di una specifica volontà risolutiva della datrice di lavoro, posto che solo in quest’ultimo caso sarebbe stata necessaria la impugnazione stragiudiziale e giudiziale dell’atto (Cass. n. 15130/2004, Cass. n. 10527/2010);
10. il quarto motivo di ricorso deve essere respinto;
10.1. in primo luogo, deve ribadirsi la correttezza del principio affermato dalla Corte di appello, come esplicitato dal riferimento a Cass. n. 6439/1995, principio che ha trovato conferma in pronunzie successive del giudice di legittimità (Cass. 17501/2021, Cass. n. 6453/2005; Cass. n. 18837/2010); in base ad esso, nella vigenza dell’art. 18 St. lav. nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 92/2012, quanto percepito dal lavoratore nell’espletamento di attività di lavoro svolta nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra, non è detraibile se – e nei limiti in cui – quel lavoro risulta comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento; ciò in coerente applicazione del criterio della compensatici lucri cum damno, che trova fondamento normativo nel disposto degli artt. 1223 e 1227 cod. civ., in base ai quali l’ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così che occorre tener conto anche degli elementi idonei a provocare una riduzione del danno, causalmente riferibili al medesimo fatto illecito, i quali, quindi, debbono essere valutati in diminuzione del risarcimento;
10.2. la Corte di merito, con accertamento di fatto ad essa riservato, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, ha ritenuto che i proventi dell’attività di scrittore svolta nelle more dal S. fossero espressione di una capacità di lavoro diversa rispetto a quella impiegata nello svolgimento dell’attività di redattore svolta presso la società datrice, con implicita valutazione, quindi, di non ricollegabilità causale dello svolgimento dell’attività di scrittore, alla perdita del posto di lavoro di giornalista redattore per effetto del licenziamento;
10.3. tanto è sufficiente a sorreggere la statuizione di rigetto della eccezione relativa all’aliunde perceptum, restando assorbite le ulteriori deduzioni della società ricorrente in tema di violazione dell’art. 2697 cod. civ. e di valutazione di genericità delle allegazioni a riguardo formulate dalla società;
11. al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente alle spese di lite;
12. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 7.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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