Corte di Cassazione ordinanza interlocutoria n. 31420 depositata il 2 dicembre 2019
condominio – Parti comuni dell’edificio – Cortile – Contratto – Uso esclusivo – Esclusione – Legittimità – Difforme – Non sussiste
L’obiezione secondo cui i diritti di “uso esclusivo” su porzioni di area condominiale, riconosciuti nella prassi notarile a singoli condomini, non possono essere qualificati come diritti di uso ex artt. 1021 e ss. c.c., solo perché le parti, in realtà, non vogliono sottostare alle ristrettezze soggettive di esercizio, come al divieto di trasferibilità e alla durata propri di tale istituto, andrebbe a sua volta rapportata alla considerazione che l’ordinamento
sentenza
G.B. e P.B. hanno presentato ricorso, articolato in sei motivi, avverso la sentenza n. 1339/2015 della Corte di appello di Bologna, pubblicata in data 23 luglio 2015.
Resistono con controricorso L.R. ed E.O.
Con citazione del 15 febbraio 2002, G.B. e P.B. convennero dinanzi al Tribunale di Rimini L.R. ed E.O. Gli attori esposero di essere proprietari di due unità immobiliari facenti parte dell’edificio condominiale sito in Cattolica, angolo via (omissis) – via (omissis) nel quale i convenuti erano a loro volta proprietari di un appartamento sito al primo piano e di un locale destinato a negozio al piano terreno. G.B. e P.B. dedussero che L.R. ed E.O. avevano realizzato illegittimamente un manufatto destinato a cantina nel cortile comune, nonché abusivamente occupato una porzione di suolo condominiale su via (omissis) e su via (omissis), costruendovi due pensiline poi tamponate con pannelli; gli attori aggiunsero che all’interno del cortile comune esisteva anche un piccolo locale ad uso bagno, costruito sempre in modo abusivo dai precedenti proprietari dell’appartamento di proprietà dei convenuti. Venivano richiesti la rimozione di tutti i manufatti abusivi ed il risarcimento dei danni. L.R. ed E.O. opposero la legittimità delle tettoie costruite, prevedendo sia il titolo intercorso con la dante causa A.B. (atto 14 gennaio 1983), sia l’atto costitutivo del condominio (divisione 3 luglio 1980) l’uso esclusivo della corte antistante il locale adibito a negozio, uso altrimenti acquisito per usucapione. Quanto ai manufatti eretti dalle precedenti proprietarie, i convenuti ne affermarono la natura comune, concludendo, pertanto, per il rigetto delle domande attinenti le verande, previo accertamento del relativo diritto sull’area, e per l’affermazione della comproprietà delle altre opere.
L’adito Tribunale di Rimini, con sentenza del 9 febbraio 2008, rigettò la domanda degli attori, riconoscendo l’avvenuto acquisto in favore dei convenuti del diritto di uso esclusivo dell’area antistante il negozio in forza dell’atto intercorso con A.B. in data 14 gennaio 1983, e comunque escludendo, anche ai sensi dell’art. 1102 c.c., l’illegittimità dell’utilizzo fatto del bene con la costruzione delle verande. Proposti gravami in via principale da G.B. e P.B. ed in via incidentale da L.R. ed E.O., la Corte d’appello di Bologna respinse il primo ed invece accolse il secondo, dichiarando di natura condominiale i manufatti esistenti sulla corte comune nel retro del fabbricato, e perciò ordinando ai signori B. e B. di cessarne l’esclusivo utilizzo.
La Corte di Bologna accertò in fatto che l’edificio, dapprima appartenente in comunione alle sorelle B., era stato diviso in distinte unità immobiliari attribuite in proprietà esclusiva con atto di divisione del 3 luglio 1980. Quanto a L.R. ed E.O., era stato venduto loro l’appartamento sito al primo piano, quindi concesso in comodato il locale a piano terra, ed infine venduta la proprietà del negozio da A.B. con atto del 14 gennaio 1983 con l’”uso esclusivo della corte antistante”. Identica espressione si trovava, per quanto accertato dalla Corte d’appello, nell’atto di divisione del 1980 in favore di A.B. La sentenza impugnata ha dubitato della natura condominiale della corte antistante il locale commerciale, a differenza, invece del cortile retrostante il fabbricato, dove erano stati costruiti i servizi. Secondo la Corte di Bologna, l’espressione “uso esclusivo della corte antistante” potrebbe deporre, piuttosto, per il riconoscimento della natura pertinenziale delle corti antistanti ai singoli negozi. Nello stesso atto di divisione del 1980, le condividenti inclusero fra le parti comuni il terreno sottostante e circostante il fabbricato, aggiungendo tuttavia “salvo gli usi esclusivi delle porzioni di corte antistanti i negozi”, così esprimendo l’intenzione di sottrarre tali aree dalle parti comuni. D’altro canto, avverte la sentenza impugnata, l’uso esclusivo menzionato nei contratti non avrebbe a che fare con il diritto d’uso ex art. 1021 c.c., ma costituirebbe comunque un “uso delle parti condominiali ex artt. 1102 e 1122 c.c.”, ben potendosi contemplare “particolari diritti di utilizzazione” esclusivi dei beni comuni. Concludeva così la Corte di Bologna che “l’utilizzo delle corti, a voler ammettere la loro natura condominiale, anche se preclusivo di analoga possibilità di godimento da parte degli altri comproprietari, è comunque legittimo perché voluto in origine da tutti i condomini”. Infine, circa l’appello incidentale, i giudici di secondo grado, in forza delle stesse previsioni dell’atto di divisione, riconobbero la natura condominiale dei locali siti al piano terra, di uso comune ai tre appartamenti, ordinando a G.B. e P.B. di non impedire il pari godimento agli altri comproprietari.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1, c.p.c.
I. Il primo motivo di ricorso di G.B. e P.B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1117 e 950 c.c., nonché la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. I ricorrenti assumono che, con l’atto di divisione del 3 luglio 1980, A., A. e L.B., originarie comproprietarie pro indiviso del fabbricato in questione sito in Cattolica, divennero ciascuna proprietaria esclusiva dei singoli appartamenti e negozi che componevano il complesso edilizio, lasciando tra le “parti ed enti comuni” il “terreno sottostante e circostante il fabbricato” e facendo salvi gli “usi esclusivi” delle porzioni di corte antistanti i negozi. Ciò, secondo i ricorrenti, non equivaleva affatto ad attribuire la piena ed esclusiva proprietà delle corti antistanti i negozi.
Viene rievocato lo stato dei luoghi dei locali al piano terra all’epoca della divisione.
Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e dell’art. 1122 c.c., come riformulato dalla legge n. 220/2012, avendo la Corte d’appello errato nel motivare la propria sentenza anche sulla scorta del disposto del riformulato art. 1122 c.c., non applicabile al caso di specie, ratione temporis.
Col terzo motivo di ricorso G.B. e P.B. deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., avendo errato la Corte di appello nel fare applicazione dei principi in tema di uso della cosa comune, pur dopo aver negato la configurabilità di un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c.
Il quarto motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 1021 c.c., 1024 c.c. e 112 c.p.c., avendo errato la Corte d’appello nell’escludere che con l’atto di divisione del 3 luglio 1980 le sorelle B. avessero costituito in favore di A.B. un diritto reale di uso, ai sensi dell’art. 1021 c.c., in relazione alla porzione antistante il negozio poi venduto ai convenuti. Venuto ad esistenza il condominio proprio con l’atto di divisione del 1980, l’intera corte circostante al fabbricato acquisì la natura di parte comune di esso, attribuendosi per titolo ad A.B. l’uso esclusivo della porzione antistante il negozio assegnato alla stessa al momento dello scioglimento della comunione. Non essendo stata pattuita l’alienabilità di tale diritto d’uso, per i ricorrenti doveva ravvisarsi la nullità della cessione di tale diritto poi prevista nell’atto di vendita del 14 gennaio 1983 in favore di L.R. ed E.O., stante il disposto dell’art. 1024 c.c.
Il quinto motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’accoglimento dell’appello incidentale. Questa censura sostiene che non era affatto controversa tra le parti la natura condominiale della corte posteriore al fabbricato e dei relativi manufatti ivi realizzati. Del pari, non era controverso che i convenuti avessero l’uso esclusivo di una delle cantine poste sul retro dell’edificio, avendo piuttosto costoro replicato che gli attori avessero a loro volta l’uso esclusivo di altre due cantine. Tale ultima circostanza è stata reputata dalla Corte di Bologna non contestata da G.B. e P.B. con ciò sancendo, ad avviso dei ricorrenti, un onere di contestazione specifica dei fatti di causa non sussistente, in quanto nel processo non trovava applicazione ratione temporis l’art. 115 c.p.c. come novellato dall’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Il sesto motivo di ricorso denuncia, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. avendo la Corte di appello erroneamente onerato i solo attori della somma liquidata del rimborso delle spese legali in favore dei convenuti, senza tener conto della condotta processuale di questi ultimi.
Il ricorso, nelle pagine da 42 a 46, contiene poi dei paragrafi che richiamano alcuni temi di lite, in previsione dell’eventuale giudizio di rinvio e delle difese eventuali degli intimati, senza apparentemente contenere, peraltro, ulteriori specifici motivi di censura riconducibili ad alcuna delle categorie logiche previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c.
II. I primi quattro motivi di ricorso impongono di esaminare una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, o comunque investono questione di massima di particolare importanza.
II.1. La Corte d’appello di Bologna ha premesso che fosse “dubbia” la natura condominiale della corte antistante il locale commerciale di proprietà di L.R. ed E.O., definendo “apodittici e smentiti dalle stesse risultanze documentali” i risultati cui era pervenuto il CTU. Di seguito, la sentenza impugnata ha affermato che l’uso esclusivo delle porzioni di corte antistanti i negozi, contemplato nell’atto di divisione del 1980 (e poi ceduto da A.B. ai compratori R. ed O.), non dovesse ricondursi all’art. 1021 c.c., ma “all’uso delle parti condominiali ex artt. 1102 e 1122 c.c.”, concludendo che “l’utilizzo delle corti, a voler ammettere la loro natura condominiale, anche se preclusivo di analoga possibilità di godimento da parte degli altri comproprietari” fosse comunque “legittimo perché voluto in origine da tutti i condomini”. Da ciò il rigetto della domanda di G.B. e P.B. inerente all’abusiva occupazione ad opera di L.R. ed E.O. della porzione di suolo su via (omissis) e su via (omissis), individuata dagli attori come condominiale, mediante costruzione di due pensiline poi tamponate con pannelli.
II.2. La sentenza impugnata ha così individuato l’atto di frazionamento iniziale, dal quale ebbe origine il condominio delle unità immobiliari dell’edificio sito in Cattolica, angolo via (omissis) – via (omissis) nella divisione del 3 luglio 1980, allorché furono assegnati alle condividenti A., A. e L.B. singoli appartamenti e negozi al piano terra. Operata tale specificazione, potrebbe allora operare la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal primo titolo di frazionamento non risultasse, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12340; Cass. Sez. 2, 07/08/2002, n. 11877). Nella specie, si ha riguardo (per quanto risulterebbe accertato dai giudici di merito) ad area cortilizia antistante “a disposizione dei negozi al piano terra”. Agli effetti dell’art. 1117 c.c., fa parte delle cose comuni, dovendosi qualificarsi come cortile, qualsiasi spazio esterno che abbia la funzione non soltanto di dare aria e luce all’adiacente fabbricato, ma anche di consentirne l’accesso (cfr. Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16070; Cass. Sez. 2, 28/02/2018, n. 4687; Cass. Sez. 6-2, 08/03/2017, n. 5831; Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612; Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241; Cass. Sez. 2, 03/10/1991, n. 10309). Per presumere la natura condominiale di un cortile, si reputa in giurisprudenza sufficiente, del resto, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale (Cass. Sez. 2, 15/11/1978, n. 5267; Cass. Sez. 2, 07/06/1988, n. 3862; Cass. Sez. 2, 01/12/2000, n. 15372; Cass. Sez. 2, 07/05/2010, n. 11195).
La Corte d’appello dubita, tuttavia, della natura condominiale delle corti oggetto di lite, prospettandone in alternativa “la natura pertinenziale … in quanto destinate in modo permanente al servizio di tali locali”.
Peraltro, è stato ancora di recente ribadito come, al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o più condomini, è irrilevante ex se la circostanza che l’area stessa, per la conformazione dei luoghi, venga di fatto goduta più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712). Se, tuttavia, alla previsione dell’uso esclusivo di una parte del complesso immobiliare in favore di una unità di proprietà esclusiva, all’interno del titolo costitutivo del condominio, si intenda riconoscere in via interpretativa l’attitudine ad instaurare un rapporto di natura pertinenziale, posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio prima dell’attribuzione, ai sensi dell’art. 817, comma 2, c.c., siffatto rapporto finirebbe per incidere direttamente sulla consistenza della frazione di proprietà esclusiva, creando eventualmente a monte un titolo contrario alla presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, 04/06/1992, n. 6892).
II.3. E’, peraltro, centrale, nella sentenza della Corte d’appello di Bologna, l’argomentazione secondo cui “l’uso esclusivo della corte antistante” i negozi, riconosciuto nell’atto di divisione del 3 luglio 1980 e poi ceduto da A.B. ai compratori R. ed O. con la compravendita del 14 gennaio 1983, fosse da qualificare come qualcosa di diverso dal diritto di uso ex art. 1021 c.c., trattandosi, piuttosto, di diverso titolo di uso delle parti condominiali.
Non sembra determinante la considerazione circa l’inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie per cui è causa del testo dell’art. 1122 c.c. come riformulato con legge 11 dicembre 2012, n. 220, avendo la Corte d’appello fatto a tale norma un rinvio che rimane ininfluente ai fini delle statuizioni adottate.
II.3.1. E’ stato affermato da questa Corte in alcuni recenti precedenti (a far tempo da Cass. Sez. 2, 16/10/2017, n. 24301; sostanzialmente conformi le successive Cass. Sez. 2, 10/10/2018, n. 24958; Cass. Sez. 2, 31/05/2019, n. 15021; Cass. Sez. 2, 04/07/2019, n. 18024; Cass. Sez. 6-2, 03/09/2019, n. 22059) che non può ricondursi al diritto di uso previsto dall’art. 1021 c.c. il vincolo reale di “uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di una unità immobiliare di proprietà individuale, in maniera da incidere sulla disciplina del godimento della cosa comune, nel senso di precluderne l’uso collettivo mediante attribuzione a taluno dei partecipanti di una facoltà integrale di servirsi della res e di trarne tutte le utilità compatibili con la sua destinazione economica.
II.3.2. Nella specie, come visto, si ha riguardo ad un “uso esclusivo” di porzione del cortile che era stato pattuito all’interno dell’atto di divisione costituente il titolo costitutivo del condominio, e che è poi stato richiamato in un successivo atto di subentro nella titolarità di una delle singole unità immobiliari, supponendo di poter così garantire l’efficacia e la conoscibilità del vincolo reale del rispetto dell’uso esclusivo appunto mediante richiamo nelle provenienze.
II.3.3. L’interpretazione contenuta in Cass. Sez. 2, 16/10/2017, n. 24301, facendo leva sulle nozioni di “uso esclusivo”, contenuta nell’art. 1126 c.c., e di “uso individuale”, prevista dal novellato art. 1122 c.c., ha ritenuto che tali previsioni pattizie, senza escludere del tutto la fruizione “di una qualche utilità sul bene cd. in uso esclusivo altrui” in favore degli altri comproprietari, costituiscono deroghe all’art. 1102 c.c., espressione dell’autonomia privata, che conformano i rispettivi godimenti. La stessa ricostruzione ha affermato che l’uso esclusivo si trasmette, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa dell’unità cui l’uso stesso accede. L’uso esclusivo in ambito condominiale, così come prospettato, sarebbe, quindi, “tendenzialmente perpetuo e trasferibile”, e per niente riconducibile al diritto reale d’uso di cui agli artt. 1021 ss. c.c., sicché non condividerebbe con quest’ultimo istituto né i limiti di durata, né i limiti di trasferibilità, e nemmeno le modalità di estinzione. Neppure vi sarebbe alcun contrasto con il numerus clausus dei diritti reali, in quanto l’uso esclusivo condominiale sarebbe, piuttosto, una “manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni”.
II.3.4. Questa configurazione appaga certamente le diffuse esigenze avvertite dalla pratica notarile di dare al cosiddetto “uso esclusivo” di parti condominiali il rango di un diritto perpetuo e trasmissibile, a contenuto, dunque, non strettamente personale, e cioè stabilito a favore del solo usuario, collegando la facoltà di usare il bene non ad un soggetto, ma ad una porzione in proprietà individuale senza limiti temporali.
II.3.5. Parte della dottrina parla al riguardo di “un nuovo diritto reale di creazione pretoria”, che nulla avrebbe a che fare con il diritto d’uso di cui all’art. 1021 c.c., con esso intendendosi indicare un godimento, nell’ambito di bene comune, di una frazione spazialmente determinata dello stesso «quasi» uti dominus, seppur sempre con il limite di cui all’art. 1102 c.c.
Peraltro, evitandone la qualificazione in termini di diritto reale di godimento su cosa altrui, non viene così risolto il problema della trascrivibilità, e quindi dell’opponibilità, dell’uso esclusivo sulla cosa comune.
II.3.6. Sembrerebbe da negare che il diritto di “uso esclusivo” di un bene condominiale, nella specie di un cortile, riservato soltanto al proprietario di una delle unità immobiliari, possa assimilarsi ad una servitù prediale: e ciò sia perché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, sicché il condomino che si serve del cortile condominiale nel rispetto della sua destinazione, lo fa nell’esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitù (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, 06/03/2019, n. 6458); sia perché, ed ancor prima, la servitù è un diritto reale speciale, il cui contenuto non può consistere in un generico, ed anzi addirittura esclusivo, godimento del fondo servente, né in una generale esclusione di ingerenza altrui, sicché coessenziale all’individuazione di una servitù prediale è la specificazione di date facoltà positive di uso o di date astensioni, dovendo il titolo costitutivo contenere tutti gli elementi atti ad individuare la portata oggettiva del peso imposto sopra un fondo per l’utilità di altro fondo appartenente a diverso proprietario, con la specificazione dell’estensione (arg. da Cass. Sez. 2, 25/10/2012, n. 18349).
La costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa, invero, una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, seppur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente (Cass., Sez. 2, 22/04/1966, n. 1037).
II.3.7. La soluzione secondo cui l’attribuzione di un “uso esclusivo” della parte condominiale ad uno dei condomini costituisce nient’altro che la conformazione di un aspetto strutturale della comunione, sulla base di una deroga convenzionale all’art. 1102 c.c. (si veda Cass. Sez. 2, 27/06/1978, n. 3169), dovrebbe, invece, confrontarsi con la diffusa considerazione che il godimento concreta una facoltà intrinseca del diritto di comunione, sicché la modifica del contenuto essenziale della comproprietà, consistente nella negazione della facoltà di uso del bene comune ad alcuni condomini, può discendere, appunto, soltanto dalla costituzione di un diritto reale in favore dell’usuario.
II.3.8. Si dubita da alcuni studiosi, invero, che il diritto di comproprietà possa modificarsi derogando alla regola dell’uso promiscuo del bene comune senza con ciò alterare l’elemento reale tipico della comunione, e si sostiene che comunque una tale attribuzione di godimento esclusivo potrebbe rendersi opponibile ai terzi soltanto se risultante da atto scritto soggetto a trascrizione.
Di modificazioni del diritto di proprietà, di comunione o di condominio non si parla in alcuno dei primi tredici numeri dell’art. 2643 c.c., né nell’art. 2645 c.c., che prevede la trascrizione di “ogni altro atto o provvedimento che produce … taluni degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643”, e che sono poi i contratti che producono effetti traslativi. Solo il n. 14 dell’art. 2643 c.c. parla di sentenze che operano “la modificazione” di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti.
II.3.9. Anche la qualificazione come obbligazione propter rem troverebbe resistenza nella regola di tipicità delle obbligazioni reali (cfr. Cass. Sez. 2, 26/02/2014, n. 4572; Cass. Sez. 2, 04/12/2007, n. 25289; Cass. Sez. 2, 20/08/1993, n. 8797), nonché complicazione, ai fini della sua opponibilità, nel precetto di tassatività delle previsioni di formalità pubblicitarie tuttora stabilito nell’art. 2645 c.c.
II.3.10. L’obiezione, pure diffusa in dottrina, secondo cui i diritti di “uso esclusivo” su porzioni di area condominiale, riconosciuti nella prassi notarile a singoli condomini, non possono essere qualificati come diritti di uso ex artt. 1021 e ss. c.c., sol perché le parti, in realtà, non vogliono sottostare alle ristrettezze soggettive di esercizio, come al divieto di trasferibilità ed alla durata propri di tale istituto, andrebbe a sua volta rapportata alla considerazione che il nostro ordinamento tuttora non consente all’autonomia privata di scavalcare il principio del numero chiuso dei diritti reali.
Invero, la questione, cui occorre dare soluzione per decidere i primi quattro motivi di ricorso, circa la natura, i limiti e la opponibilità del diritto di uso esclusivo su beni comuni, involge evidentemente il più classico problema della utilizzabilità delle obbligazioni come espressioni di autonomia privata volte a regolare le modalità di esercizio dei diritti reali, opponendosi dai teorici che la libertà negoziale possa conformare unicamente i rapporti di debito, e non anche le situazioni reali: tale severa conclusione trova il suo fondamento sempre nel tradizionale principio del numerus clausus dei diritti reali, il quale si reputa ispirato da una esigenza di ordine pubblico, restando riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i “tipi” reali normativi.
La “conformazione” negoziale della comproprietà, che si avrebbe attribuendo ad un comunista l’uso esclusivo della res comune ed ai restanti utilità minori, o, più probabilmente, nulle, potrebbe postulare – si propone da alcuni – un controllo circa l’esistenza, sotto il profilo causale, di un interesse meritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., in attuazione dell’art. 42, comma 2, e dell’art. 41, comma 2, Cost. Il che sembrerebbe però sostenibile o riconsiderando l’ammissibilità di fattispecie atipiche di obbligazioni propter rem, atteso che una disciplina pattizia che intenda regolare in un certo modo, diverso dal tipo legale, la coesistenza delle attività di utilizzazione dei diversi soggetti di un rapporto reale deve funzionalmente seguire le vicende del bene; oppure negando quella che appare, invece, la ineliminabile differenza tra “tipo contrattuale” e “tipo di diritto reale”, il quale ultimo delinea sempre una relazione di utilità tra soggetto titolare e bene costituita da un nucleo di poteri e di modalità di godimento coessenziali. Di tal che si dovrebbe comunque non procedere ad una valutazione di meritevolezza di tutela della conformazione negoziale atipica del godimento del bene oggetto di (com)proprietà, quanto accertare che la concreta manifestazione della relazione di appartenenza data dalle parti nel regolamento convenzionale sia comunque conforme al modulo di utilizzazione in cui si identifica “quel” tipo di diritto reale.
II.3.11. Proprio, allora, nel diritto d’uso previsto dall’art. 1021 c.c. la facoltà di servirsi della cosa (per quanto necessariamente temporanea: Cass. Sez. 1, 14/09/1991, n. 9593) non è destinata soltanto a soddisfare esigenze di carattere personale, ma si estende a tutte le utilità che la cosa può fornire, riferendosi unicamente alla raccolta dei frutti la limitazione ai bisogni dell’usuario e della sua famiglia (Cass. II, Sez. 3, 13/09/1963, n. 2502).
Tuttavia, alla qualificazione del diritto di uso esclusivo della porzione del cortile comune come uso ex artt. 1021 e ss. c.c., conseguirebbe altresì il divieto di cedere il diritto stesso, in forza dell’art. 1024 c.c., salvo espressa pattuizione di deroga ad opera delle parti (Cass. Sez. 2, 02/03/2006, n. 4599; Cass. Sez. 2, 27/04/2015, n. 8507; Cass. Sez. 2, 31/07/1989, n. 3565).
II.3.11. La potenziale estensione delle facoltà dell’usuario a tutte le possibilità di uso diretto della cosa comune è, dunque, connotato distintivo del diritto reale di uso. Se il titolo costitutivo restringa il contenuto del diritto, con l’esclusione di talune facoltà in esso naturalmente comprese e l’attribuzione al beneficiario di un’utilità del tutto speciale, sia pure estranea alla destinazione fondamentale della cosa, potrebbe, al contrario, ritenersi che si sia dato vita ad un mero rapporto obbligatorio, stante il principio della tipicità dei diritti reali (cfr. Cass. Sez. 2, 12/11/1966, n. 2755; arg. anche da Cass. Sez. 2, 09/12/1989, n. 5456; Cass. Sez. 2, 26/02/2008, n. 5034; Cass. Sez. 2, 15/05/2018, n. 11823).
Ove però il diritto d’uso sulla parte condominiale assuma natura di diritto personale di godimento, esso dovrebbe soggiacere alla regola della relatività degli effetti del contratto, di cui all’art. 1372 c.c., sicché le obbligazioni con esso assunte in favore del proprietario di una determinata unità immobiliare non si trasferirebbero all’acquirente della stessa, se non attraverso uno degli strumenti negoziali all’uopo predisposti dall’ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto) (Cass. Sez. 2, 29/04/1975, n. 1666).
III. Attese, in definitiva, le difformità di pronunce delle sezioni semplici, nonché la particolare importanza della questione di massima da decidere, anche alla luce della diffusa pratica negoziale implicata, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
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