CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 10087 depositata il 14 aprile 2023

Lavoro – Licenziamento collettivo – Violazione dei criteri di scelta – Crisi aziendale – Trasferimento di azienda – Rapporto di lavoro con il cessionario – Inammissibilità – la motivazione per relationem ad un precedente giurisprudenziale esima il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, il percorso argomentativo della decisione deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato

Rilevato che

1. con sentenza 12 febbraio 2021, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento del reclamo principale di C.D.C. ha: a) annullato il licenziamento intimatogli da (…) (C.A.I.) s.p.a., con comunicazione del 4 novembre 2014 in esito a procedura di licenziamento collettivo avviata il 3 ottobre 2014 e dichiarato il suo diritto ad essere reintegrato, con effetti della pronuncia anche nei confronti di A. – (…) (S.A.I.) s.p.a. in amministrazione straordinaria, quale cessionaria dell’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.; b) condannato C.A.I. s.p.a. alla corresponsione, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, oltre accessori di legge e versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione e accertato il medesimo obbligo nei confronti di A. S.A.I. s.p.a. in amministrazione straordinaria, nella detta qualità; c) rigettato i reclami incidentali delle due società;

2. essa ha così riformato la sentenza di primo grado, che, in esito a rito Fornero, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti alla data del licenziamento; condannato C.A.I. s.p.a. al pagamento, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria pari a ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, oltre accessori di legge e dichiarato inammissibile la domanda proposta nei confronti di A. S.A.I. s.p.a. in a.s.;

3. la Corte capitolina ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore per violazione dei criteri di scelta (sulla base della lettera A, punto 8 del verbale del 12 luglio 2018, richiamato dall’accordo sindacale del 24 ottobre 2014), sotto il profilo della loro erronea applicazione, per la mancata attribuzione al predetto (quale operatore di magazzino, penalizzato rispetto ad altri lavoratori della sua stessa posizione lavorativa, con minore anzianità, non licenziati), dell’anzianità maturata anche nel periodo (di trentasei mesi) di prestazione di attività con contratti a tempo determinato alle dipendenze di E. s.p.a. (società del gruppo A. LAI in amministrazione straordinaria), prima della conversione dell’ultimo in un contratto a tempo indeterminato;

4. in considerazione della natura sostanziale della violazione, essa ha ritenuto applicabile la tutela reintegratoria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 5, terzo comma legge n. 223/1991 e 18, quarto comma legge n. 300/1970, nel testo novellato applicabile ratione temporis: non già nei confronti di C.A.I. s.p.a., per impossibilità del suo reimpiego a causa della sopravvenuta definitiva cessazione dell’attività di impresa; bensì di A. S.A.I. s.p.a. in a.s., in applicazione dell’art. 47, comma 4bis legge n. 428/1990, per la natura non liquidativa della procedura concorsuale, attesa la continuità dell’attività d’impresa esercitata quale cessionaria da C.A.I. s.p.a. del ramo d’azienda operativo (relativo al trasporto aereo). E nei suoi confronti ha ritenuto, infine, contrariamente al Tribunale, ben procedibile la domanda del lavoratore, non essendo preclusa dall’instaurazione della procedura concorsuale la cognizione del giudice del lavoro, sull’ormai acquisita ripartizione dell’ambito cognitorio tra questo e il giudice fallimentare, a seconda del tipo di domanda proposto dal lavoratore (se direttamente riguardante la posizione lavorativa e, come nel caso di specie, il suo ripristino; ovvero meramente strumentale alla partecipazione al concorso dei creditori);

5. con atto notificato il 1° aprile 2021, C.A.I. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso;

6. con ricorso notificato il 12 aprile 2021 anche A. S.A.I. s.p.a. in a.s. ha proposto ricorso con quattro motivi, cui ha parimenti resistito il lavoratore con controricorso. Tale ricorso, iscritto allo stesso n. R.G., in quanto successivo, ha evidente natura di ricorso incidentale.

7. nelle more del giudizio, C.A.I. s.p.a. ha notificato il 23 dicembre 2022 la rinuncia al ricorso e il lavoratore non l’ha accettata, insistendo per la condanna alle spese.

8. il lavoratore e A. S.A.I. s.p.a. in a.s. hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

Considerato che

1. la rinuncia della ricorrente principale, non accettata dal controricorrente, che ha insistito per la sua condanna alle spese, comporta il sopravvenuto difetto d’interesse della società al ricorso, che per tale ragione deve essere dichiarato inammissibile, con la sua coerente condanna alle spese del giudizio, da distrarre in favore del difensore del lavoratore, secondo la sua richiesta.

Non si applica invece il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1quater d.p.r. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, diciassettesimo comma legge n. 228/2012, poiché la declaratoria di inammissibilità sopravvenuta del ricorso per cessazione della materia del contendere determina la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, rendendo irrilevante la successiva valutazione della virtuale fondatezza, o meno, del ricorso in quanto avente esclusivo rilievo in merito alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass. 20 luglio 2021, n. 20697);

2. la ricorrente incidentale ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 47, comma 4bis legge n. 428/1990, nonché degli accordi collettivi intervenuti nell’ambito di una situazione di crisi aziendale in deroga all’art. 2112 c.c., sull’erroneo assunto, diffusamente criticato, di operatività dell’art. 2012 anziché di mantenimento dell’occupazione anche parziale, pure nel caso di trasferimento d’azienda in caso di accertamento dello stato di crisi aziendale, come appunto nel caso di specie con i decreti del Ministero del Lavoro dell’8 settembre 2014 (primo motivo);

3. esso è infondato;

4. la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto stabilito da questa Corte, secondo cui: “In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lett. c) legge n. 675/1977, ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del d.lgs. 270/1999, l’accordo sindacale di cui all’art. 47, comma 4bis legge n. 428/1990, inserito dal d.l. 135/2009, conv. in legge n. 166/2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro; fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la locuzione – contenuta del predetto comma 4bis – “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo“, va letta in conformità al diritto dell’Unione europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C-561/07 (all’esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa” (Cass. 1 giugno 2020, n. 10414 e succ.; da ultimo: Cass. 10 novembre 2021, n. 33154);

4.1. qualora invece una procedura di amministrazione straordinaria non realizzi il recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali tramite, come nel caso di specie, la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento (art. 27, secondo comma, lett. b) d.lgs. cit.) per cui continui l’attività d’impresa, ma tramite la cessione dei complessi aziendali (art. 27, secondo comma, lett. a) d.lgs. 270/1999), ad essa, per effetto della cessazione dell’attività di impresa, si applica, ai fini dell’operatività degli effetti previsti dall’art. 47, quinto comma legge n. 428/1990 (che prevede l’esclusione dei lavoratori eccedentari dal passaggio al cessionario), la disciplina propria di una procedura liquidativa quale il fallimento, per cui non occorre il requisito di cessazione dell’attività, in quanto suo costitutivo (Cass. 14 settembre 2021, n. 24691);

5. la ricorrente ha poi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., 118, primo comma disp. att. c.p.c. e degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per genericità della motivazione, anche per relationem in riferimento all’eccezione di decadenza del lavoratore dalla domanda di accertamento del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 32, quarto comma, lett. c) legge n. 183/2010 (secondo motivo);

6. esso è infondato;

7. posto che il mero richiamo a propri precedenti non è di per sé causa di nullità della sentenza, essendo anzi previsto come strumento per il giudice volto ad assicurare che la motivazione sia succinta, come risulta pianamente dal testo vigente dell’art. 118, primo comma disp. att. c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6 settembre 2016, n. 17640) afferma che: «La sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio, in quanto il riferimento ai “precedenti conformi” contenuto nell’art. 118 disp. att. c.p.c. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile; in tal caso, la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione (Cass. 12 giugno 2020, n. 11302);

7.1. sebbene la motivazione per relationem ad un precedente giurisprudenziale esima il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, il percorso argomentativo della decisione deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento (Cass. 9 maggio 2017, n. 11227; Cass. 3 luglio 2018, n. 17403);

7.2. nel caso di specie, la sentenza impugnata consente una chiara comprensione della fattispecie concreta, relativa alla dedotta decadenza da A. S.A.I. s.p.a. in a.s. – cessionaria da C.A.I. s.p.a. del ramo d’azienda operativo – del lavoratore dalla domanda di “accertamento del rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto” (art. 32, quarto comma, lett. d) legge n. 183/2010) nei propri confronti, in quanto subentrata nel rapporto ai sensi dell’art. 2112, secondo comma c.c., in combinata disposizione con l’art. 47, comma 4bis, lett. b) legge n. 428/1990 (p.ti 1 e 6 della sentenza), con esclusivo richiamo del precedente di legittimità per l’argomentazione giuridica (p.to 13 della sentenza);

8. la ricorrente ha inoltre dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 32, quarto comma, lett. d) legge n. 183/2010, per l’erronea esclusione della decadenza del lavoratore, in assenza di manifestazione, “con qualsiasi atto, anche stragiudiziale”, della propria volontà di chiedere l’accertamento del rapporto di lavoro con la cessionaria d’azienda: decorrente, in assenza di alcun atto dell’effettivo datore di lavoro da impugnare, dalla cessazione del rapporto, secondo un’interpretazione estensiva della norma, evidentemente di chiusura (terzo motivo);

9. esso è infondato;

10. in tema di trasferimento di azienda, l’azione del lavoratore per accertare la sussistenza del rapporto di lavoro con il cessionario non è soggetta al termine di decadenza stabilito dall’art. 32, quarto comma, lett. c) legge n. 183/2010 che riguarda i soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità (Cass n. 13648 del 2019; Cass. n. 13179 del 2017; Cass. n. 9469 del 2019; Cass n. 9750 del 2019), né può trovare applicazione la lett. d) della stessa disposizione, trattandosi di norma di chiusura di carattere eccezionale, non suscettibile, pertanto, di disciplinare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. già contemplata dalla lettera precedente (Cass. 7 novembre 2019, n. 28750, in motivazione sub p.ti da 15 a 26; Cass. 24 dicembre 2021, n. 41463);

11. la ricorrente ha infine dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 52 l. fall. in combinato disposto con gli artt. 409, 433 c.p.c., per improcedibilità della domanda di condanna risarcitoria del lavoratore, per effetto dell’ammissione della società cessionaria alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria (quarto motivo);

12. anch’esso è infondato;

13. nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello fallimentare il discrimine va individuato nelle rispettive speciali prerogative, spettando alla cognizione: a) del primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; b) del giudice del fallimento, al fine di garantire la parità tra i creditori, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990; Cass. 28 ottobre 2021, n. 30512);

13.1. nel caso di specie, si verifica l’ipotesi sub a), per la disposta reintegrazione del lavoratore, inapplicabile a C.A.I. s.p.a., per la definitiva cessazione dell’attività d’impresa, proprio nei confronti della ricorrente, quale cessionaria del ramo d’azienda operativo, in continuità dell’attività d’impresa; accedendo ad essa la condanna risarcitoria;

14. dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso principale, per sopravvenuto difetto d’interesse della società ad esso e il rigetto del ricorso incidentale; in entrambi i casi, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e la distrazione delle spese del giudizio, in favore del difensore del controricorrente, secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato per la sola ricorrente incidentale, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale e condanna CAI s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario;

rigetta il ricorso incidentale e condanna A. SAI s.p.a. in a.s. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.