Corte di Cassazione ordinanza n. 10135 depositata il 29 marzo 2022
rimborso – crediti di imposta – contenzioso
Rilevato che:
1. S.M. Srl, svolgente attività industriali e commerciali nel settore dell’elettronica (semiconduttori), impugnò tre dinieghi di rimborso, per le annualità 2007, 2008, 2009, dei crediti d’imposta per attività di ricerca e sviluppo svolte su commissione della casa madre olandese S.M. NV, con sede secondaria a Ginevra;
2. la CTP di Milano accolse il ricorso con sentenza (n. 1199/23/2015) che è stata confermata dalla CTR della Lombardia, la quale ha respinto l’appello dell’ufficio finanziario sul rilievo che, ai sensi dell’art. 17, comma 2, del d.l. n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009, l’agevolazione spetta alle società che svolgono attività di ricerca per conto di imprese committenti che siano residenti o localizzate negli Stati membri della Comunità Europea che consentono un adeguato scambio d’informazioni e che, nella specie, (cfr. 2 della sentenza) «appare pacifico che la committente è una impresa residente nei Paesi Bassi ove essa ha stabilito la sua sede legale. È del tutto irrilevante che la società abbia una sede secondaria in Svizzera e per troncare ogni possibile capziosa diversa interpretazione basta leggere la lettera 25/2/2013 dell’Autorità fiscale olandese con riferimento allo scambio di informazioni alle Autorità fiscali italiane ex art. 27 della Convenzione firmata tra Olanda e Italia l’8/5/1980.»;
3. l’Agenzia delle entrate ricorre con un motivo per la cassazione della sentenza di appello; la contribuente resiste con controricorso, illustrato con una memoria;
Considerato che:
1.con l’unico motivo di ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, commi da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006, oggetto di interpretazione autentica giusta art. 17, comma 2, del d.l. n. 185 del 2008, convertito in legge dalla legge n. 2 del 2009, l’Agenzia assume (cfr. pag. 6 del ricorso per cassazione) che «[l]a
C.T.R. ha […] definito la controversia prendendo le mosse dal fatto, pacifico, che il contratto era stato concluso dalla stabile organizzazione svizzera, “per il tramite” della quale agiva la società dei Paesi Bassi.». Indi, l’ufficio finanziario ascrive alla sentenza impugnata di non avere rilevato che alla contribuente non spettava alcun credito d’imposta per l’attività di ricerca e sviluppo che le era stata commissionata da una società, sì residente in uno Stato membro dell’Unione europea (nella specie, l’Olanda), ma attraverso una stabile organizzazione localizzata in uno Stato (nella specie, la Svizzera) che non ne faceva parte;
1.1 il motivo è inammissibile;
1.2 la doglianza non si confronta con la ratio decidendi della sentenza di merito; anzi, ne fraintende del tutto il Diversamente da quanto adombra l’Agenzia, infatti, come sopra accennato (cfr. p. n. 2. del “Rilevato che”), il giudice d’appello ha sancito che fu la casa madre olandese, e non la sua succursale (branch) svizzera, a commissionare alla compagine italiana l’attività di ricerca e sviluppo da cui scaturiva il credito d’imposta. Il che, per altro, trova riscontro nel contratto inter partes, il cui incipit (riportato a pag. 14 del controricorso) recita: “This sponsored research and Development Contract effective February 1, 2001 […] is entered into by and between S.M. N.V. […] acting through is Swiss Branch […] and S.M. Srl”. La conclusione giuridica che la CTR ha tratto dall’interpretazione dell’accordo negoziale, e cioè che, per le annualità nelle quali aveva svolto attività di ricerca e sviluppo per conto della committente olandese, alla contribuente spettava un credito d’imposta, è la lineare e coerente applicazione dell’art. 17, comma 2, del d.l. n. 185 del 2008, secondo cui «Le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 280 a 283 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modifiche, si interpretano nel senso che il credito d’imposta ivi previsto spetta anche ai soggetti residenti e alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti che eseguono le attività di ricerca e sviluppo nel caso di contratti di commissione stipulati con imprese residenti o localizzate in Stati o territori che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996 […]»;
1.3 da un diverso punto di vista, corrobora il giudizio di inammissibilità della censura l’ulteriore considerazione che l’Agenzia non ha neppure denunciata la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seguenti, cod. civ., che, per pacifica giurisprudenza sezionale (in termini, a titolo di esempio, 19/11/2021, n. 35454), integra un motivo di ricorso per cassazione da formulare attraverso la puntuale e precisa enunciazione delle ragioni per le quali un dato criterio sarebbe stato erroneamente applicato, non assumendo rilievo la circostanza che nella sentenza impugnata risulti omesso l’espresso riferimento ad uno specifico criterio interpretativo legale (Cass. 21/06/2017, n. 15350; conf. ex aliis Cass. 30/06/2020, n. 13115). È stato altresì chiarito (da Cass. 08/06/2021, n. 15838, in connessione con Cass. nn. 31122 del 2017, 19044 del 2010, 5273 e 4178 del 2007), che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata è attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità (oltre che per vizio di motivazione, aspetto, quest’ultimo, nella specie irrilevante, soltanto) per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale. Ai fini della censura di violazione dei canoni esegetici, tuttavia, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei parametri in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione;
2.le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
3. risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e perciò non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, 1778);
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 25.000,00, a titolo di compenso, euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.