Corte di Cassazione ordinanza n . 10268 depositata il 30 marzo 2022

Contenzioso – conferimento di azienda – imposta di registro – qualificazione atti negoziali

Ritenuto che

1.La società F.A.D. snc, A.B. e L.L. impugnavano l’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle entrate riqualificava l’atto di conferimento dell’azienda, denominata “F.A.D. di L.L. dottoressa Lucilla”, da parte della sig.ra L.L. valutato unitamente alle successive operazioni compiute dai soci della società conferitaria, come un unico atto di cessione d’azienda e accertava e liquidava una maggior imposta di registro. I contribuenti contestavano l’intervenuta decadenza dell’Ufficio essendo stato l’atto impositivo notificato oltre i termini fissati dall’art. 76, comma 1-bis, d.P.R. n. 131 del 1986, la carenza di motivazione dell’atto, nonché la violazione dell’art. 20 decreto cit.

La CTP accoglieva il ricorso ritenendo che l’Amministrazione fosse decaduta dal potere di accertamento.

2.L’Agenzia delle entrate interponeva appello avverso tale sentenza avanti alla Commissione tributaria regionale del Veneto che lo accoglieva.

3.I contribuenti hanno proposto ricorso per la cassazione di tale decisione affidata a sei motivi.

L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Considerato che

1. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 76, commi 1-bis e 2 del d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in quanto, nonostante che attraverso l’avviso impugnato l’Ufficio abbia proceduto ad una vera e propria rettifica dei valori dichiarati e non alla mera liquidazione, la CTR avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile il termine di decadenza di due anni, ai fini della notifica dell’avviso di accertamento.

In   ogni    caso,    poiché    l’imposta    accertata            aveva natura complementare il termine di contestazione era comunque di due anni.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. per avere la CTR erroneamente affermato la natura meramente liquidatoria dell’atto impugnato e non già un atto di rettifica dei valori dichiarati.

Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 52, d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. I giudici d’appello avrebbero escluso che l’Agenzia avesse operato una riqualificazione ex art. 20 delle operazioni poste in essere dai contribuenti, ritenendo conseguentemente non applicabile il termine di decadenza dell’azione accertativa fissato dall’art. 76, d.P.R. n. 131 del 1986.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. La CTR avrebbe erroneamente interpretato tale disposizione come avente natura antielusiva e l’avrebbe ritenuta applicabile nonostante che non ne ricorressero nella specie i presupposti e che gli effetti prodotti dagli atti registrati fossero diversi rispetto alla semplice cessione d’azienda.

Con il quinto motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. I giudici d’appello non avrebbero considerato che, pur avendo la L.L. effettuato un conferimento di azienda, essa era rimasta socia della conferitaria sicché non ricorreva alcuna cessione d’azienda.

Con il sesto motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in quanto la sentenza impugnata avrebbe avallato la errata determinazione della base imponibile effettuata dall’Agenzia in violazione della disposizione richiamata.

2. Ritiene il Collegio che occorre esaminare il quarto motivo, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., in forza del quale «la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.» (ex plurimis , sez. 5, n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184 – 01; sez. 5, n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510 – 01; sez. un., n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490 – 01).

3. L’art. 20 citato, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 87, a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, stabiliva che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità tale disposizione, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, attribuiva prevalenza alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale dell’effettiva causa concreta dell’operazione economica rispetto al tipo negoziale cui le parti hanno fatto ricorso e che, a tal fine, i concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria ed è possibile valutare circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069).

Si riteneva, infatti, che la natura di “imposta d’atto” propria dell’imposta di registro, non fosse di ostacolo alla valorizzazione complessiva di elementi interpretativi esterni e di collegamento negoziale, poiché per «atto presentato alla registrazione» doveva intendersi l’insieme delle previsioni negoziali preordinate alla regolazione unitaria degli effetti giuridici derivanti dai vari negozi collegati. Il recupero di elementi negoziali esterni e collegati all’atto presentato alla registrazione era ritenuto rispondente all’esigenza di evidenziare la «causa reale dell’atto non potendo essere lasciata alla discrezionalità delle parti contribuenti né a quello che le parti abbiano dichiarato.

3.1 L’art. 1, comma 87, lett. a), l. n. 205 del 2017 ha modificato l’art. 20 nel senso che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Attraverso tale previsione, il legislatore ha significativamente ristretto l’oggetto della interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (così, Cass., sez. 5, n. 9065 del 01/04/2021, Rv. 661164 – 01; sez. 5, n. 23549 del 23/09/2019).

In talune pronunce successive, la Corte ha negato efficacia retroattiva alla novella, in quanto priva dei connotati della legge interpretativa, poiché, da un lato, introduceva limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie in assenza non previsti e, da un altro, non sussisteva sulla portata della disposizione un contrasto giurisprudenziale. Pertanto, si riteneva che la nuova disciplina fosse applicabile soltanto per gli atti stipulati successivamente alla data in vigore della stessa (Sez. 5, n. 4407 del 23/02/2018, Rv. 647209 – 01).

Il legislatore è quindi nuovamente intervenuto con la legge n. 145 del 2018, che, all’art. 1, comma 1084, ha espressamente qualificato la disposizione del 2017 come norma avente natura di interpretazione autentica dell’art. 20, con conseguente effetto retroattivo delle modifiche introdotte.

3.2 La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tali interventi normativi, con la sentenza 158 del 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 87 della L. n. 205 del 2017, dell’art. 1, comma 1084 della L. n. 145 del 2018, sollevata da questa Corte in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.

Premesso che l’interpretazione evolutiva, cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, la Consulta ha ritenuto che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri invocati. Infatti, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”, salvaguardando “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico“».

Ha aggiunto che gli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» dello stesso testo unico.

Ha inoltre evidenziato che l’interpretazione evolutiva dell’art. 20, incentrata sulla nozione di causa reale, non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento dell’articolo 10 bis della legge 212 del 2000, poiché «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di ‘indebiti’ vantaggi fiscali e di operazioni ‘prive di sostanza economica’, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea)». Ciò non toglie – secondo il Giudice delle leggi – che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possano rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui all’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986.

3.3 Con la successiva sentenza 39 del 2021 la Corte Costituzionale, oltre a ribadire la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084 della l. n. 145 del 2018, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., ha dichiarato infondate le censure concernenti la portata retroattiva imposto da tale disposizione alla modifica dell’art. 20 affermando che «la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore», fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina. Inoltre, la modificazione legislativa non poteva considerarsi a tal punto ‘imprevedibile’ da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata «coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico».

3.4 Alla luce di tali pronunce questa Corte ha affermato che «In tema di imposte di registro, ipotecaria e catastale, il criterio interpretativo fissato dal P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, a cui della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva, deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, fatte salve le diverse ipotesi espressamente regolate» (Sez. 5, n. 2677 del 28/01/2022, Rv. 663752 – 01; n. 9065 del 01/04/2021, Rv. 661164 – 01; sez. 5, n. 10688 del 22/04/2021, Rv. 661130 – 01).

4. Nella specie, la CTR, nel condividere la tesi dell’Ufficio e ritenere applicabile l’imposta di registro agli atti unitariamente considerati, non ha fatto corretta applicazione dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 così come modificato dall’art. 1, comma 87, l. n. 205 del 2017 in quanto fondata su elementi interpretativi extratestuali rispetto all’atto presentato alla registrazione e, segnatamente, riconducibili ad un’ipotesi tipica di finalizzazione mediante collegamento

A quanto esposto consegue l’accoglimento del quarto motivo di ricorso con assorbimento dei restanti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario della contribuente.

Il recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità rende opportuno disporre la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario.

Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.