Corte di Cassazione ordinanza n. 10269 depositata il 30 marzo 2022
conferimento – cessione partecipazione – qualificazione atti negoziali – esclusione se basata su elementi extratestuali e degli atti collegati
Ritenuto che
1. La società V. spa impugnava l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle entrate, riqualificato, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, il contratto di cessione delle quote della società J.I. in una cessione d’azienda, liquidava l’imposta di registro in misura proporzionale. A tanto l’Ufficio addiveniva sulla considerazione della tempistica ravvicinata di tale contratto con altri atti posti in essere dalla contribuente. In particolare, la V. in data 29 settembre 2011 aveva acquistato le quote della società J.I. srl che deteneva il ramo d’azienda inerente la produzione, distribuzione e vendita sul mercato italiano dei prodotti a marchio “Santa Rosa”. La J.I. era stata costituita mediante conferimento da parte della società U.I. MKT Operations srl del predetto ramo d’azienda. Successivamente, la V. acquistava il cento per cento delle quote J.I. e, dopo sei mesi, incorporava detta società.
La contribuente contestava che la vicinanza temporale degli atti posti in essere fosse idonea a riqualificare i contratti secondo uno schema negoziale diverso da quello da essa invocato, non essendovi la prova del collegamento funzionale tra detti contratti. Avversava, inoltre, la tesi della portata antielusiva dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 sostenuta dall’Ufficio sostenendo, comunque, il carattere non elusivo dell’operazione posta in essere.
La Commissione tributaria provinciale di Milano annullava l’avviso impugnato accogliendo le doglianze della contribuente.
2. Tale decisione veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, in accoglimento del gravame proposto dall’Agenzia delle entrate, affermava la natura antielusiva dell’art. 20 il quale consentirebbe all’Ufficio di riqualificare il negozio giuridico sulla base dell’effetto finale dello
3. Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi e assistito da
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo, si lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2560 civ. nonché dell’art. 14, d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in quanto l’effetto finale delle fattispecie negoziali poste in essere dalla contribuente non sarebbe assimilabile alla cessione di ramo d’azienda dal momento che diversi sono gli effetti giuridici della compravendita di azienda rispetto a quella di una partecipazione sociale.
Con il secondo motivo si denuncia la nullità/illegittimità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la CTR ritenuto che la citata disposizione avesse finalità antielusive e per non aver correttamente applicato i principi giurisprudenziali sanciti in materia di abuso del diritto. Sostenendo che il disposto dell’art. 20 cit. non ha valenza antielusiva bensì sistematica, disciplinando una imposta d’atto e che erroneamente la CTR ha interpretato la disposizione quale “norma antielusiva”, ricomprendendo nel potere di sindacato dell’Agenzia anche le operazioni che sia pure in modo frazionato consentano di raggiungere una identità di effetti economici.
Si precisa altresì che gli atti considerati, vale a dire il conferimento del ramo d’azienda e la successiva vendita della partecipazione nella conferitaria ad altra società, non concorrono alla formazione progressiva di una unica fattispecie identificabile attraverso un determinato effetto giuridico finale corrispondente a quello di una cessione di azienda, sia perché diversi sono gli effetti che si producono con la cessione del ramo d’azienda, sia perché il soggetto che trasferisce il corrispettivo nell’ambito del secondo atto è diverso da quello che ha emesso la partecipazione nell’ambito del primo.
In ogni caso, l’art. 176, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 riconoscerebbe espressamente le operazioni di conferimento seguite dalla vendita di partecipazione nella società conferitaria, sicché esse sfuggirebbero al sindacato di elusività.
Con il terzo motivo si prospetta la nullità della sentenza per violazione del combinato disposto dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp att. cod. proc. civ., nonché dell’art. dell’art. 111 Cost, sesto comma, e 24 Cost., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di appello aderito acriticamente alla tesi prospettata dall’Agenzia in merito alla pretesa elusività della fattispecie, assumendo che i giudici regionali non hanno esplicitato alcun autonomo percorso argomentativo tale da consentire di rilevare che il Collegio del gravame abbia compiuto un effettivo vaglio degli elementi prospettati dalle parti.
Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5, cod. proc. civ., in quanto la CTR avrebbe omesso di esaminare le ragioni economiche sottese alle operazioni poste in essere dalla ricorrente al fine di procedere alla riorganizzazione del business dei prodotti a marchio Santa Rosa finalizzata al raggiungimento di una maggiore efficacia, flessibilità e focalizzazione sul mercato.
Il quinto motivo si censura la nullità della sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, non avendo i giudici di appello valutato la terzietà degli operatori economici U.I. MKT e V. intervenuti nella fattispecie oggetto di contestazione in relazione alle “valide” ragioni economico- giuridiche poste a fondamento dello schema negoziale utilizzato ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Con il sesto motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. per aver la CTR trascurato di pronunciare sul motivo di gravame concernente la violazione dell’art. 37 bis, quarto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, non avendo l’Ufficio provveduto alla instaurazione del contraddittorio prima di emettere l’avviso di liquidazione impugnato.
2. Ritiene il Collegio che occorre esaminare il secondo motivo, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., in forza del quale «la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.» (ex plurimis , sez. 5, n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184 – 01; sez. 5, n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510 – 01; sez. un., n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490 – 01).
3. L’art. 20 citato, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 87, a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, stabiliva che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità tale disposizione, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, attribuiva prevalenza alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale dell’effettiva causa concreta dell’operazione economica rispetto al tipo negoziale cui le parti hanno fatto ricorso e che, a tal fine, i concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria ed è possibile valutare circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069).
Si riteneva, infatti, che la natura di “imposta d’atto” propria dell’imposta di registro, non fosse di ostacolo alla valorizzazione complessiva di elementi interpretativi esterni e di collegamento negoziale, poiché per «atto presentato alla registrazione» doveva intendersi l’insieme delle previsioni negoziali preordinate alla regolazione unitaria degli effetti giuridici derivanti dai vari negozi collegati. Il recupero di elementi negoziali esterni e collegati all’atto presentato alla registrazione era ritenuto rispondente all’esigenza di evidenziare la «causa reale dell’atto non potendo essere lasciata alla discrezionalità delle parti contribuenti né a quello che le parti abbiano dichiarato.
3.1 L’art. 1, comma 87, lett. a), l. n. 205 del 2017 ha modificato l’art. 20 nel senso che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Attraverso tale previsione, il legislatore ha significativamente ristretto l’oggetto della interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (così, Cass., sez. 5, n. 9065 del 01/04/2021, 661164 – 01; sez. 5, n. 23549 del 23/09/2019).
In talune pronunce successive, la Corte ha negato efficacia retroattiva alla novella, in quanto priva dei connotati della legge interpretativa, poiché, da un lato, introduceva limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie in assenza non previsti e, da un altro, non sussisteva sulla portata della disposizione un contrasto giurisprudenziale. Pertanto, si riteneva che la nuova disciplina fosse applicabile soltanto per gli atti stipulati successivamente alla data in vigore della stessa (Sez. 5, n. 4407 del 23/02/2018, Rv. 647209 – 01).
Il legislatore è quindi nuovamente intervenuto con la legge n. 145 del 2018, che, all’art. 1, comma 1084, ha espressamente qualificato la disposizione del 2017 come norma avente natura di interpretazione autentica dell’art. 20, con conseguente effetto retroattivo delle modifiche introdotte.
3.2 La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tali interventi normativi, con la sentenza 158 del 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 87 della L. n. 205 del 2017, dell’art. 1, comma 1084 della L. n. 145 del 2018, sollevata da questa Corte in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.
Premesso che l’interpretazione evolutiva, cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, la Consulta ha ritenuto che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri invocati. Infatti, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”, salvaguardando “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico“».
Ha aggiunto che gli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» dello stesso testo unico.
Ha inoltre evidenziato che l’interpretazione evolutiva dell’art. 20, incentrata sulla nozione di causa reale, non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento dell’articolo 10 bis della legge 212 del 2000, poiché «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di ‘indebiti’ vantaggi fiscali e di operazioni ‘prive di sostanza economica’, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea)». Ciò non toglie – secondo il Giudice delle leggi – che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possano rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui all’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986.
3.3 Con la successiva sentenza 39 del 2021 la Corte Costituzionale, oltre a ribadire la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084 della l. n. 145 del 2018, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., ha dichiarato infondate le censure concernenti la portata retroattiva imposto da tale disposizione alla modifica dell’art. 20 affermando che «la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore», fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina. Inoltre, la modificazione legislativa non poteva considerarsi a tal punto ‘imprevedibile’ da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata «coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico».
3.4 Alla luce di tali pronunce questa Corte ha affermato che «In tema di imposte di registro, ipotecaria e catastale, il criterio interpretativo fissato dal P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, a cui della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva, deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, fatte salve le diverse ipotesi espressamente regolate» (Sez. 5, n. 2677 del 28/01/2022, Rv. 663752 – 01; n. 9065 del 01/04/2021, Rv. 661164 – 01; sez. 5, n. 10688 del 22/04/2021, Rv. 661130 – 01).
4. Nella specie, l’Agenzia delle entrate ha posto a fondamento dell’avviso di liquidazione impugnato la riqualificazione come operazione unitaria di cessione d’azienda degli atti negoziali intercorsi tra le società V., U.I. e J.I..
La CTR, nel condividere la tesi dell’Ufficio e ritenere applicabile l’imposta di registro ai singoli atti unitariamente considerati, non ha fatto corretta applicazione dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 così come modificato dall’art. 1, comma 87, l. n. 205 del 2017 in quanto fondata su elementi interpretativi extratestuali rispetto all’atto presentato alla registrazione e, segnatamente, riconducibili ad un’ipotesi tipica di finalizzazione mediante collegamento negoziale.
Come infatti affermato da questa Corte, le operazioni strutturate mediante conferimento d’azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione d’azienda e non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (fatta salva l’ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi idonei a palesare la volontà di acquisire direttamente l’azienda), dal momento che oggetto di tassazione è il solo atto presentato per la registrazione attesa l’irrilevanza degli elementi extratestuali e degli atti collegati (Cass., Sez. 5, n. 25601 del 21/09/2021, Rv. 662282 – 01).
5. A quanto esposto consegue l’accoglimento del quarto motivo con assorbimento dei restanti Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario della contribuente.
Il recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità rende opportuno disporre la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
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