CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 10527 depositata il 19 aprile 2023
Tributi – IRPEF – Rimborso – Istanza di rimborso non presentata in modo conforme alla normativa – Mancata indicazione degli importi versati e delle somme richieste in restituzione – Accoglimento
Rilevato che
1. La contribuente inviava all’INPS e all’ufficio istanza di rimborso delle somme ultronee versate a titolo di IRPEF per le annualità 2011, 2012 e 2013, nel periodo compreso tra la messa in stato di quiescenza e la presentazione dell’istanza; mediante essa, difatti, la contribuente chiedeva all’ente di previdenza, presso cui aveva prestato attività lavorativa fino alla messa in stato di quiescenza, il rilascio di una certificazione attestante l’importo imponibile del trattamento previdenziale complementare percepito, onde applicarvi il regime fiscale più favorevole di cui al d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 11, comma sesto. L’ente previdenziale e l’ufficio non fornivano alcuna risposta.
2. Avverso il silenzio-rifiuto dell’Ufficio e dell’ente previdenziale, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Roma, evocando in giudizio entrambe le entità amministrative; si costituiva l'(…) con controdeduzioni, deducendo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso di parte e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso avversario.
3. La C.t.p., con sentenza n. 25565/13/2016, accoglieva il ricorso della contribuente ma nei soli confronti dell'(…), statuendo il difetto di legittimazione passiva dell’ente previdenziale.
4. Contro tale decisione proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. del Lazio; si costituiva anche la contribuente, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
5. Con sentenza n. 3815/06/2018, depositata in data 07 giugno 2018, la C.t.r. adita respingeva il gravame dell’ufficio, confermando in toto l’operato del giudice di prime cure e compensando le spese di giudizio.
6. Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La contribuente si è costituita con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 28 marzo 2023 per la quale non sono state depositate memorie.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: “Violazione del combinato disposto dei commi 1, lett. g), e 3 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, nonché del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 37 e 38, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.” l’Ufficio lamenta l’error in iudicando e l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha rilevato l’originaria improponibilità della domanda avanzata dalla contribuente-resistente, stante l’impossibilità di configurare il silenzio-rifiuto su un’istanza di rimborso non presentata in modo conforme alla normativa.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: “Violazione/falsa applicazione del d.lgs. n. 252 del 2005, art. 23 comma quinto e settimo, in combinato disposto con la l. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma secondo, in relazione all’art. 360, prima comma, n. 3, c.p.c. ” l’Ufficio lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato che il nuovo regime fiscale dei trattamenti di previdenza complementare di cui al d.lgs. n. 252 del 2005 – in particolare l’art. 11, comma sesto – fosse applicabile alla situazione fiscale della contribuente.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: “Violazione/falsa applicazione del d.lgs. n. 252 del 2005, art. 23 comma sesto, in relazione all’art. 360, prima comma, n. 3, c.p.c. ” l’Ufficio lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto priva di rilevanza e decisività la circostanza che la contribuente fosse un ex dipendente pubblico.
2. Il primo motivo è fondato.
Per il consolidato indirizzo della Corte (Cass. 10/10/2022, n. 29489; Cass. 24/10/2019, n. 27377) “Le domande di rimborso, prive delle indicazioni inerenti gli estremi di versamento e gli importi relativi all’ammontare delle ritenute Irpef, nonché della indicazione degli importi chiesti in restituzione, non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, dunque, idonee alla formazione del silenzio-rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; né tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato“; (in senso conforme, ex multis, Cass. 22/02/2021, n. 4716; Cass. 30/09/2020, n. 20719; Cass. 13/12/2018, n. 3263; Cass. 30/11/2012, n. 21400; Cass. 20/03/2000, n. 3250).
2.1. Nella fattispecie concreta, come risulta dagli atti contenuti nel fascicolo d’ufficio, dei quali la Corte ha preso visione, la domanda giudiziale di rimborso non indica gli importi versati, l’epoca dei diversi versamenti operati dal sostituto d’imposta, l’ammontare dell’imposta applicata, l’entità di quella che sarebbe stato legittimo applicare, e, infine, nemmeno la determinazione delle somme chieste in restituzione. Non sono nemmeno allegate agli atti le istanze di rimborso proposte in sede amministrativa, sulle quali si sarebbe formato il diniego dell’ente impositore. In sostanza, il carteggio individua pretese del tutto generiche, prive dei requisiti minimi propri di una richiesta di rimborso, come tali non idonee a provocare la formazione del silenzio rifiuto da parte del fisco, quale presupposto processuale dell’impugnativa giudiziaria del medesimo atto di diniego, nella specie insussistente; la relativa carenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto incidente sull’ammissibilità della domanda giudiziale e sulla ritualità della costituzione del relativo rapporto processuale (Cass. 21/02/2020, n. 4565; Cass. 30/11/2012, n. 21400; Cass, sez. 5, 20/03/2000, n. 3250).
Alla stregua dei richiamati principi, la decisione del giudice tributario d’appello reiettiva della pretesa della contribuente si profila immune da violazioni di legge.
3. Dall’accoglimento del primo motivo discende l’assorbimento dei restanti.
4. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può decidersi nel merito con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
Le spese dei gradi di merito vanno integralmente compensate tra le parti mentre le spese del giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della contribuente.
Compensa le spese dei gradi di merito.
Condanna la ricorrente a rifondere all'(…) le spese processuali che si liquidano in Euro 3.200,00, oltre spese prenotate a debito.