Corte di Cassazione ordinanza n. 10579 depositata il 1° aprile 2022
contenzioso tributario – accertamento sintetico
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Venezia – notificò al sig. Massimiliano Pittarello avviso di accertamento, con il quale, in forza di accertamento sintetico, riprese a tassazione, per gli anni d’imposta 2006 – 2007, le maggiori imposte ritenute dovute per IRPEF e relative addizionali, oltre sanzioni ed interessi.
Avverso detto avviso di accertamento il contribuente propose, per ciascuna annualità, separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Venezia, che, riuniti i ricorsi, li respinse. Avverso la sentenza di primo grado il contribuente propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) del Veneto che, con sentenza n. 1932/30/14, depositata il 27 novembre 2014, non notificata, lo accolse, dichiarando illegittimo l’avviso di accertamento impugnato.
Avverso la succitata pronuncia l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Il contribuente resiste con controricorso.
Avviato il giudizio alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità dell’odierna adunanza il contribuente ha depositato nei termini memoria ex art. 380 – bis. 1, cod. proc. civ.
Considerato che:
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., nonché dell’art. 36 del lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciare sulla preliminare eccezione in rito dell’Ufficio, che aveva eccepito l’inammissibilità del gravame del contribuente avverso la sentenza di primo grado a lui sfavorevole per difetto di specificità dei motivi.
2. Con il secondo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria lamenta, in subordine, violazione degli 49 e 53, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma. n. 3, cod. proc. civ., rilevando come, decidendo il merito dell’appello senza pronunciarsi sulla preliminare eccezione in rito d’inammissibilità dello stesso per difetto di specificità dei motivi, la decisione impugnata abbia violato le disposizioni processuali indicate in rubrica, che richiedono, appunto, a pena d’inammissibilità, la specificità dei motivi di appello.
3. Con il terzo motivo, sempre in subordine, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 2728 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che «la mancanza di prove presentate dall’Ufficio, che si è limitato all’utilizzo dei parametri resta una pura ipotesi quantitativa» e che «voler attribuire una redditività da un veicolo di proprietà non è assolutamente sufficiente alla definizione del reddito presunto del contribuente non tenendo conto delle capacità contributive dello stesso», ponendosi dette affermazioni in chiaro contrasto con i principi costantemente affermati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, così come richiamati dall’Amministrazione nell’illustrazione del proprio motivo di ricorso.
4. Con il quarto motivo la ricorrente, ancora in via subordinata, denuncia violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 2728 e 2697 cod. civ. e dell’art. 3 del d.m. 10 settembre 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che «[l]e rate pagate per il mutuo» per l’acquisto della casa di abitazione «non potevano essere base moltiplicatoria ma solo aggiuntiva al risultato ottenuto dall’applicazione dei parametri».
5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, sempre in subordine, violazione dell’art. 38, quarto comma, del P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata, pur ritenendo “non necessario” il previo espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, ne considera l’importanza «ai fini della determinazione del reddito presunto che è pur sempre basato su presunzioni semplici».
6. Infine, con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, ancora in via subordinata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. civ., violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui la CTR ha affermato che «utilizzando la capacità di spesa non sussiste più il requisito degli scostamenti di ¼ tra le due annualità», rilevando come il presupposto necessario dell’accertamento sintetico come disciplinato dalla citata norma sia la non congruità del reddito dichiarato e non già l’accertamento per due o più periodi d’imposta.
7. Il primo motivo è inammissibile, come eccepito dal controricorrente.
È espressione d’indirizzo costantemente espresso da questa Corte l’affermazione del principio secondo cui «[i]I mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito» (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, ord. 3 agosto 2021, n. 22103; Cass. 2018, n. 25154; Cass. sez. 6-2, ord. 14 marzo 2018, n. 6174; Cass. sez. 6-2, 12 gennaio 2016, n. 321; Cass. sez. 1, 24 febbraio 2006, n 4191), principio al quale va data ulteriore continuità in questa sede.
8. Né miglior pregio risulta avere la deduzione della medesima doglianza, concernente il mancato accoglimento della pregiudiziale eccezione in rito d’inammissibilità dell’appello avverso la sentenza di primo grado, per violazione dell’art. 53 del lgs. n. 546/1992.
8.1 In primo luogo la censura risulta ugualmente inammissibile, in quanto, di là da quanto dedotto dal controricorrente riguardo alla deduzione del vizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e non al n. 4 della citata norma, l’Amministrazione finanziaria non ha in alcun modo riportato il contenuto del ricorso in appello e quello della sentenza di primo grado (sugli oneri ai fini dell’osservanza dell’autosufficienza anche laddove si denunci un error in procedendo, , tra le molte, Cass. sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19140; Cass. SU 22 maggio 2012, n. 8077), né indicato la loro allocazione nel fascicolo d’ufficio del doppio grado di merito, né prodotto in copia i relativi atti, onde consentire alla Corte di esprimere il sindacato richiesto.
8.2 Peraltro è noto l’indirizzo espresso da questa Corte secondo cui «[i]n tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito» (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 23 novembre 2018, n. 30525; Cass. sez. 6- 5, ord. 22 gennaio 2016, n. 1200; Cass. sez. 6-5, ord. 1 luglio 2014, 14908), essendosi anche affermata la desumibilità dei motivi specifici anche per implicito alla stregua del contenuto complessivo dell’atto (cfr. Cass. sez. 5, ord. 3 agosto 2021, n. 22103; Cass. sez. 5, ord. 7 settembre 2018, n. 21855).
8.3 Anche alla stregua dei succitati principi il motivo va comunque disatteso.
9. Va quindi trattato, secondo l’ordine logico delle questioni, dapprima il quinto motivo.
Esso è fondato. Quantunque la sentenza impugnata affermi espressamente, in relazione alla disciplina dell’art. 38 del Dpr n. 600/72 nella sua formulazione applicabile ratione temporis, il carattere “non necessario” del previo contraddittorio, essa sembra poi porre la mancanza dello stesso come elemento idoneo a contrastare un accertamento che «è pur sempre basato su presunzioni semplici».
9.1 In proposito va innanzitutto osservato come le osservazioni del contribuente, da ultimo espresse anche con la memoria depositata in atti, riguardo al preteso carattere necessario (a pena, quindi di nullità) del previo contraddittorio in sede amministrativa non si confrontino con la giurisprudenza costante espressa da questa Corte in materia.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n.24823 del 9.12.2015 hanno definitivamente statuito che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito».
Trattandosi di accertamento “a tavolino” relativo ad IRPEF, resta escluso che ricorra nella fattispecie in esame detto obbligo di espletamento del previo contraddittorio in sede amministrativa.
9.2 Solo per effetto delle modifiche apportate all’art. 38 del d.P.R. n.600/1973 dall’art. 22 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, si è stabilito, con decorrenza dall’anno d’imposta 2009, che l’omesso espletamento del previo contraddittorio endoprocedimentale sia sanzionato a pena di nullità dell’atto impositivo. Questa Corte ha avuto, infatti, più volte modo di affermare che «[i]n materia di accertamento sintetico dei redditi, l’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in I. n. 122 del 2010, ha disposto, con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche all’art. 38, del d.P.R. n. 600 del 1973 operano in relazione agli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore dell’art. 22 cit. e, quindi, dal periodo d’imposta 2009» (cfr. Cass. sez. 5, ord. 7 giugno 2021, n. 15760; Cass. sez. 5, 31 gennaio 2017, n. 2474; Cass. sez. 6-5, ord. 31 maggio 2016, n. 11283; Cass. sez. 6-5, ord. 6 novembre 2015, n. 22746).
9.3 Ciò premesso, risulta comunque erronea l’affermazione della CTR laddove – dopo aver escluso il carattere necessario del previo contraddittorio – rileva come la sua mancanza debba essere considerata importante «ai fini della determinazione del reddito presunto che è pur sempre basato su presunzioni semplici».
10. L’erroneità di detta affermazioni emerge in relazione alle successive considerazioni nell’ambito dell’esame congiunto del terzo e quarto motivo di ricorso, che sono anch’essi fondati.
10.1 Le statuizioni della sentenza impugnata oggetto delle rispettive censure si pongono, infatti, in palese contrasto con i principi affermati in materia da questa Corte, che ha avuto modo di chiarire che « [i] n tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione (quale quella in esame) effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore» (si vedano anche Cass. sez. 5, 19 aprile 2013, n. 9539; Cass. sez. 6-5, ord. 10 agosto 2016, n. 16192).
10.2 È stato, peraltro, specificato che la disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 civ., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva” (Cass., sez. 5, 4 febbraio 2011, n. 2726) e che, pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (principio statuito, tra le altre, da Cass. sez. 5, 23 luglio 2007, n. 16284 e costantemente seguito anche di recente (cfr. Cass. sez. 6 – 5, ord. primo settembre 2016, n. 17487).
10.3 La sentenza impugnata che ha qualificato l’accertamento sintetico basato sul possesso di beni indice di capacità contributiva e di spese per incrementi patrimoniali come basato su presunzioni semplici, togliendo quindi ogni rilievo al possesso di autovettura di potenza fiscale pari o superiore a 21 CV e, in contrasto con la relativa disposizione di cui all’art. 3 del d.m. 10 settembre 1992, assumendo l’illegittimità, ai fini del reddito accertabile, dell’incidenza del calcolo, secondo i criteri posti dalla citata norma, delle rate di mutuo per l’acquisto della casa di abitazione (su cui, si veda, da ultimo, Cass. 5, ord. 25 gennaio 2021, n. 1454), si pone pertanto in chiaro contrasto con i principi di diritto sopra richiamati e va pertanto cassata, in accoglimento del terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, restando, infine, assorbito il sesto.
11. La causa va pertanto rimessa per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, che, nell’uniformarsi ai sopra trascritti principi di diritto, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione al terzo, quarto e quinto motivo, dichiarati inammissibili il primo ed il secondo ed assorbito il sesto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.