Corte di Cassazione ordinanza n. 10673 depositata il 4 aprile 2022
contenzioso tributario – requisiti per deducibilità dei costi – motivazione apparente – omessa pronuncia – detrazione IVA
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 244/23/13 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso di Novelis Italia spa contro l’2vviso di accertamento per 11.DD. ed IVA 2007.
La CTR osservava in partico are che a fronte della contestazione di non deducibilità di costi per servizi basante in parte qua l’atto impositivo impugnato, la società non aveva assolto l’onere, che le incombeva, di provarne la certezza e l’inerenza, come richiesto dall’art. 109, commi 1-5, dPR 917/1986, sicchè la ripresa fiscale in questione doveva considerarsi fondata.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quindici motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA. DECISIONE
Con il primo motivo -ex art. 36C, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nulli’:à della sentenza impugnata per violazione dell’art. 53, d.lgs 546/1992, poiché la CTR non ha dichiarato l’inammissibilità del gravame agenziale per a-specificità dei motivi.
La censura è infondata. Va ribadito che:
-«Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c. trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, .’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione» (Cass. n. 707 del 15/01/2019, Rv. 652186 – 01);
-«Nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7369 cel 22/03/2017, Rv. 643485 – 01; v. nello stesso senso Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1200 del 22/01/2016, Rv. 638624 – 01, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14908 del 01/07/2014, Rv. 631559; Sez. 5, Sentenza n. 3064 del 29/02/2012, Rv. 621983 – 01);
Nel caso di specie dunque avendo l’Agenzia delle entrate, ufficio locale, riproposto in appello le considerazioni basanti l’avviso di accertamento impugnato, in base ai citati arresti giurisprudenziali deve affermarsi che ha validamente introdotto il giudizio di secondo grado.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violélzione/falsa applicazione degli artt. 2909, cod. civ., 324, cod. proc. civ., poiché la sentenza impugnata si pone in contrasto con la sentenza n. 2647/36/2014, depositata in data 21 maggio 2014 e passata in giudicato che, al contrario, ha affermato la deducibilitcl dei costi de quibus per l’annualità 2006.
La censura è infondata.
La giurisprudenza di questa Corte (v. SU 13916/2006 e successive conformi, da ultimo, ex multis, Sez. 5 – , Ordinanza n. 5766 del 03/03/2021, Rv. 660691 – 01) è ferma nel ritenere che l’efficacia del giudicato esterno possa valere nei tributi ad attuazione periodica, tra l’altro e prima di tutto, alla condizione che si tratti di elementi costanti del rapporto di imposta.
Sicuramente l’inerenza dei costi non può essere considerato tale, trattandosi di una componente negativa del reddito tipicamente soggetta a variabilità annuale, così corn pure in senso specifico già affermatosi nella giurisprudenza di legittimità [(«In materia tributaria, nel caso di deduzione di costi relativi a prestazioni di servizi, potendo gli stessi variare per qualità, modalità e quantità di anno in anno, deve essere escluso l’effetto vincolante del giudicato esterno intervenuto su altre annualità, il quale fa stato solo in relazione a quei fatti che, per legge, hanno efficacia tendenzialmente permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata» (Sez. 5 – , Sentenza n. 32254 del 13/12/2018, Rv. 651786 – 01)].
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la CTR non ha pronunciato sulla sua eccezione, devoluta in appello mediante riproposizione, di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato perché non preceduto da attività istruttoria da parte della DRE Lombardia.
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 12, comma 7, legge 212/2000, 97, Cost., 41, Carta europea dei diritto fondamentali, poiché la CTR non ha considerato l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale come principio generale costituzionale ed unionale nonché suo diritto.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Quanto al terzo motivo, va ribadito che «Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo» (Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01).
E’ del tutto evidente che, avendo ii giudice tributario di appello deciso sul merito della causa, ha implicitamente rigettato tale eccezione.
In ogni caso deve altresì darsi seç1uito all’ulteriore principio di diritto che «Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta :on il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus i:onf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2,)18).
Ed infatti l’eccezione medesima è comunque infondata nel merito, ritenendo al riguardo il Collegio potersi limitare a ribadire il consolidato principio di diritto secondo Il quale «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottopcsto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è grava·:2 di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – 01).
Nel caso di specie è pacifico che si tratti di un accertamento “a tavolino”, quindi, per quanto riguarda i tributi diretti “non armonizzati”, gli evocati principi non trovano applicazione.
Dal giudizio di merito della CTR lombarda può inoltre ricavarsi per implicito un giudizio negativo circa la “prova di resistenza” ossia una valutazione negativa in ordine alla possibilità che il contraddittorio endoprocedimentale avrebbe potuto far esitare il procedimento di verifica fiscale ad un diverso e più favorevole risultato per la società contribuente.
Con il quinto e con il sesto motivo -ex art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per motivazione “apparente”, rispettivamente, in relazione alle sue eccezioni prelimi1ari di violazione da parte dell’Ente impositore dei principi di collaborazione e buona fede nonché di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato per vizio motivazionale.
La censura è infondata. Va ribadito che:
-«La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
-«La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragion,2 della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cast., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “errar in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto» (Cass., Sez. U, n. 2731 del 02/ 02/ 201 71 Rv. 642269 – 01).
La sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi negativi invalidanti indicati nel primo arresto giurisprudenziale, contenendo una sintetica, ma esaustiva dissertazione sulle ragioni addotte nell’avviso di accertamento impugnato; in ogni caso, in base al secondo arresto giurisprudenziale non si dà mai la possibilità di cassazione per vizio motivazionale su di una questione di diritto, quali sono quelle prospettate nelle due censure in esame (cfr., tra le molte, Sez. 2 – , Ordinanza n. 20719 del 13/08/2018, Rv. 650017 – 01).
Con il settimo motivo -ex art. 36), primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 10, legge 212/2000, poiché la CTR ha rigettato la propria eccezione di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato per violazione dei principi statutari di collaborazione e buona fede.
La censura è inammissibile.
Trattasi all’evidenza di una critica, peraltro a-specifica non avendo diretta attinenza al decisum impugnato, che in ogni caso attinge il merito della decisione d’appello, sicchè sicuramente non può formare oggetto di sindacato in questa sede di legittimità.
Con l’ottavo ed il nono motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per motivazione “apparente” in ordine ai presupposti di deducibilità dei costi de quibus.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Non resta che ribadire quanto già espresso in ordine alle analoghe censure, non avendo affatto la sentenza impugnata le caratteristiche per poter essere cassata a causa del denunciato vizio, del tutto insussistente.
Infatti, con apparato argomentativo ben al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. ca, Sez. U, 8053/2014 ), il giudice tributario di appello ha ben spiegato pe1· quali ragioni ha ritenuto la fondatezza della ripresa fiscale ecl il correlativo mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla società contribuente.
Con il decimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 2697, 109, commi 1-5, dPR 917/1986, 19-21, dPR 633/1972, poiché la CTR ha affermato essere completamente a suo carico la prova della certezza ed inerenza dei costi de quibus.
La censura è infondata.
Va ribadito che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prove dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fi 1e non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa» (tra le molte, v. Sez. 5 – , Ordinanza n. 13300 del 26/05/2017, Rv. 644248 – 01). L’onere probatorio è stato dunque correttamente attribuito dal giudice tributario di appello e il suo giudizio circa il mancato assolvimento dello stesso da parte della società contribuente è tipicamente di merito e quindi sottratto al sindacato di questa Corte, se non sotto il profilo del vizio motivczionale [ «La violazione del precetto di cui all’art. 2697 e.e. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.» (Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01)].
Con l’undicesimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 109, commi 1-5, dPR 917/1986, 19, dPR 633/1972, poiché la CTR ha affermato l’insussistenza dei presupposti di “effettività/inerenza” dei costi in contesto ai fini della loro deducibilità, affermando, tra l’altro, che essa non aveva provato «.. il vantaggio ottenuto in termini di “diretta imputazione ad attività produttive di ricavi” .. ».
La censura è infondata.
Il giudice tributario di appello ha basato la propria statuizione di accoglimento del gravame agenziale e della conseguente validazione meritale dell’atto impositivo impugnato, sull’applicazione dell’art. 109, commi 1-5, dPR 917/1986, affermando che in virtù di tali previsioni normative, al fine della deducibilità di un costo quale componente negativa del reddito di impresa, sono necessari tre presupposti: la certezza, la determinabilità e l’inerenza (della componente negativa).
Ciò posto, nel merito, la CTR lombarda ha ritenuto che tutti e tre tali presupposti difettassero, essendo comunque univocamente chiaro dalle norme evocate che essi sono co-essenziali, nel senso che la mancanza di uno provoca l’indeducibilità della componente negativa.
Quindi, pur vero che il giudice tributario di appello è incorso in errore, di diritto, nell’affermare che il contribuente doveva dimostrare « .. il vantaggio ottenuto in termini “di diretta imputazione ad attività produttive di ricavi”», essendo la giurisprudenza di questa Corte evoluta nel senso che «In tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, sicché deve provare e documentare l’imponibile maturato, ossa l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la lon concreta destinazione alla produzione» (tra le molte, Sez. 5 – , Sentenza n. 2224 del 02/02/2021, Rv. 660447 – 01), tuttavia la mancanza di “certezza e determinabilità” (ex art. 109, comma 1, dPR 917/1986), accertata in fatto dalla CTR, in ogni caso portano all’esclusione della deducibilità dei costi de quibus, come invece correttamente, in diritto, statuitosi con la sentenza impugnata.
Con il dodicesimo motivo e con il tredicesimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi, poiché la CTR non ha valutato adeguatamente le prove documentali allegate con riguardo alla esistenza, determinabilità ed inerenza dei costi oggetto della ripresa fiscale.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Va ribadito che:
-«La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella ”motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. U, n. 8053 dei 07/04/2014);
-«Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale , che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante» (Cass., n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01).
Al contrario di quanto affermato dalla società contribuente, il giudice tributario di appello ha compiutamente esaminato la questione di detti presupposti di deducibilità dei costi oggetto della ripresa fiscale, esprimendo un giudizio di merito, motivato al di sopra del “minimo costituzionale”, che non è revisionabile in questa sede, in aderenza e conferma dei principi di diritto citati.
Con il quattordicesimo motivo -e), art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 19, dPR 633/1972, qualora si dovesse intendere che la sentenza impugnata avesse negato la detraibilità dell’IVA assolta in relazione alle fattJre emesse dalle consociate elvetiche Novelis AG e Novelis SA, documentanti i costi in contestazione.
La censura è infondata.
Va ribadito che:
-«In tema di IVA, ai fini della detrazione dei costi, non è sufficiente l’avvenuta contabilizzazione degli stessi, dovendo il contribuente dimostrarne, nell’ipotesi di contestazione dell’Amministrazione finanziaria, anche l’esistenza, l’inerenza e la coerenza economica» (Sez. 5 – , Sentenza n. 22940 del 26/09/2018, Rv. 650686 – 03);
-«In tema di IVA, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’ impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato» (Sez. 5 – , Sentenza n. 18904 del 17/07/2018, Rv. 649772 – 02).
Da tali principi di diritto, cui va senz’altro dato seguito, consegue che l’unitario giudizio e i assenza di “certezza, determinabilità ed inerenza” espresso dalla CTR lombarda debba valere sia per le imposte dirette che per l’IVA, trattandosi in ogni caso, come detto, di valutazioni meritevoli non ulteriormente soggette a revisione in questa sede.
Né hanno rilievo le argomentazioni ulteriori sviluppate sul punto in esame nella sua memoria dalla ricorrente.
Anzitutto risultano inconferenti le sopravvenute disposizioni legislative di cui all’art. 6, commi 9-bis 2, 9-bis 3, d.lgs. 471/1997, trattandosi, all’evidenza di norme che disciplinano le sanzioni in materia di reverse charge (pacificamente attuato nel caso di specie), che non hanno alcuna incidenza sulle regole generali di applicazione dell’imposta ed in particolare sull’esercizio del diritto di detrazione, il quale è, in ogni caso, subordinato ai presupposti di cui si è detto e che la CTR lombarda ha affermato insussistenti nel caso di specie.
È evidente, infatti, che mentre il versamento dell’Iva è dovuto in relazione alla natura dell’operaziore di scambio, il diritto di detrazione da parte del cessionario è condizionato alla sussistenza oltre che delle condizioni soggettive (ossia che egli sia un soggetto passivo) anche di quelle oggettive, ossa che i beni o servizi siano utilizzati ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta (v. art. 168 lett. a, dir. 2006/112/CE).
Il diritto di detrazione, che deriva dall’annotazione nel registro degli acquisti, presuppone, quindi, che vi siano le condizioni sostanziali – tra le quali deve essere annoverata anche l’inerenza dell’operazione rispetto all’attività d’impresa, ossia l’esistenza di una connessione con l’attività d’impresa ciel soggetto passivo come discende dalla immediata lettura dell’art. 17, par. 2, dir. n. 77/388/CEE (v. tra le tante Corte di Giustizia, sentenza 1° ottobre 2020, Vas Aannemingen BVBA, in C-405i/19; 30 maggio 2013, X, in C-651/11; 29 ottobre 2009, SKF, in C-.29/08) – per fruirne e, ove ne sia accertata l’insussistenza, compo’ia la ripresa della somma portata in detrazione, ferma, per contro, l’imposta dovuta.
Da ultimo, va rilevato che la sentenza della Corte di Giustizia 8 maggio 2019, EN.SA. Sri, in C-712/17, evocata in memoria, non solo non è pertinente alla vicenda in giudizio, ma, a ben guardare, conduce proprio ad un risultato opposto a quello sostenuto dalla società.
Va infatti osservato che tale decisione (relativa a vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi) non solo faceva riferimento specifico alla posizione dell’emittente (mentre qu rileva la posizione del cessionario) ma, soprattutto, ha ritenuto la compatibilità di una normativa nazionale «che esclude la detrazione dell’IVA relativa ad operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente di detta fattura, che non e,,.a in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente i’ rischio di perdite di gettito fiscale», condizione qui – in evidenza — estranea e in alcun modo configurabile, derivando dal preteso riconoscimento del diritto di detrazione in assenza delle condizioni sostanziali una perdita per l’erario.
Le ragioni che precedono escludono inoltre che vi sia alcun profilo di contrasto con la giurisprudenza di questa Corte citata dalla ricorrente (Cass., nn. 32552-32553/2019), appunto perché si tratta di giurisprudenza che riguarda le sanzioni e non l’imposta.
Sul punto in esame vi è infine da rilevare che l’art. 8, comma 6-quinquies , dPR 322/1998 (novellato dall’art. 5, comma 1, lett. b), 2), di 193/2016) è disposizione legislativa totalmente inconferente al caso di specie, non vertendosi in un’ipotesi di errore/emenda della dichiarazione fiscale, ma di contestazione circa la deducibilità di costi/detraibilità dell’IVA.
Con il quindicesimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncL:1 la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la CTR ha omesso di pronunciarsi sull’eccepita inapplicabilità delle sanzioni.
La censura è fondata, ma per ragioni diverse da quelle dedotte dalla ricorrente.
Vi è infatti da rilevare che nelle more del presente giudizio la disciplina normativa delle sanzioni applicabili nel caso di specie è stata modificata (art. 15, d.lgs. 158/2015) ed è dunque necessario che il giudice del merito ne tenga conto al fine di una corretta ri determinazione.
In conclusione, accolto il quindi,:esimo motivo del ricorso, rigettati tutti gli altri, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale jella Lombardia per nuovo esame ed anche per le spese del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il quindicesimo motivo del ricorso, rigetta tutti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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