Corte di Cassazione ordinanza n. 10883 depositata il 5 aprile 2022
contenzioso tributario – vizio di omessa pronuncia – condizioni della prova
Rilevato che
– con sentenza n. 1935/32/2014, depositata in data 11 aprile 2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Centro Moda Cantoni s.n.c. di Cantoni Roberto e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Roberto Cantoni, Maurizio Cantoni, Gaetano Cantoni, Annita Cantoni, nella qualità di soci avverso la sentenza n. 23/01/13 della Commissione tributaria provinciale di Lodi che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società e dai soci rispettivamente avverso: 1) l’avviso di accertamento T9R02A100599/2011 con cui l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.f., aveva contestato nei confronti della società, per l’anno 2006, maggiori ricavi non contabilizzati (per euro 2.964.979,00), ai fini Ires, Irap e Iva, in relazione a movimentazioni bancarie risultate ingiustificate sui conti correnti della società e dei soci; 2) gli avvisi di accertamento n. T9R01A100605/2011, T9R01Al00607/2011, T9R01A100608/2011, T9R01A100609/2011, emessi nei confronti dei soci, a titolo di reddito di partecipazione, ai fini Irpef;
-in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) in una società la cui compagine sociale e la cui amministrazione sia riferibile ad un ristretto nucleo familiare poteva presumersi, salva prova contraria, la riconducibilità alla società medesima delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati ai soci; 2) quanto alle movimentazioni “in entrata”, a fronte di uno scoperto di euro 259.202 (risultante da una rideterminazione degli imponibili operata dall’Ufficio in sede di contraddittori nel corso di procedura di accertamento per adesione non andata a buon fine), risultava giustificato un totale di euro 231.000, con una differenza di euro 28.231 che andava aggiunta alle entrate (non giustificate) ammesse, in subordine, dai contribuenti di euro 41.791, per un totale di euro 70.022; 3) quanto alle movimentazioni “in uscita”, a fronte di uno scoperto di euro 847.015 (ugualmente rideterminato dall’Ufficio in sede di procedura di accertamento con adesione), risultava giustificato un totale di euro 840.822, con una differenza di euro 6.193 che andava aggiunta alle uscite (non giustificate) ammesse in subordine di euro 122.253, per un totale di euro 128.446; 4) i maggiori ricavi andavano rideterminati per un totale di euro 198.468 di cui 128.446 ai fini dell’Iva;
– avverso la sentenza della CTR, la società e i soci propongono ricorso per cassazione affidato a nove motivi; rimane intimata l’Agenzia delle entrate;
– la società e i soci hanno depositato memoria ex 380 bis. 1 c.p.c. e istanza di trattazione in pubblica udienza;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, nn. 2 e 7, del d.P.R. n. 600/73, 51, comma 2, n.n. 2 e 7 del d.P.R. n. 633/72, 2697, 2727 e 2729 e.e. e 115 c.p.c. anche alla luce degli artt. 3,53 e 24 Cast., per avere la CTR ritenuto legittima, ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi, l’imputazione alla società delle movimentazioni bancarie sui conti personali dei soci in base al mero vincolo societario/familiare, nonostante la mancanza di ulteriori elementi, anche presuntivi, atti a dimostrare l’intestazione fittizia dei conti dei terzi o quantomeno la loro effettiva riferibilità alla società, tanto più che trattavasi di fattispecie in cui era pacifica la preesistenza di patrimoni personali e la maggior parte delle residue operazioni sui conti dei soci era formata da uscite di minimo importo e non documentabili;
– il motivo è infondato;
– questa Corte ha ritenuto di dov1er distinguere le situazioni, tra di loro costituenti casi diversi, nelle quali è necessario per l’Ufficio dar prova dell’intestazione fittizia del conto bancario rispetto alle situazioni nelle quali le circostanze sono indice della riferibilità delle operazioni finanziarie alla società; salva in entrambi i casi la prova contraria il cui onere incombe in capo al contribuente;
– infatti si ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza 26173 del 06/12/2011) che in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, l’art. 51, comma secondo, numero 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo vigente “ratione temporis”), secondo cui gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale, circoscrivendo l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati al coniuge del contribuente, ben possono essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione e l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei familiari dell’amministratore non siano ad essa riferibili;
– ove quindi il titolare “terzo” del conto sia formalmente “terzo”, effettivamente sarà necessario, per l’Amministrazione, provare (anche in forza delle circostanze di cui sopra si è detto), che tal “terzietà” è solo apparente, fungendo il soggetto da mera testa di legno del contribuente;
– diverso è invece il caso (Cass., sez. 5, Ord. n. 6595 del 15/03/2013; Sez. 5, Ord. n. 30098 del 21/11/2018) in cui, in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa; ugualmente, in tema di accertamento IVA relativo a società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla medesima società le operazioni ivi riscontrate tenuto conto della relazione di parentela tra quelli esistente idonea a far presumere, salvo facoltà di provare la diversa origine delle entrate, la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci (Cass., sez. 5, Ord. n. 6595 del 15/03/2013);
– in questo caso la qualità di socio in capo al soggetto sottoposto a indagini finanziarie ne riduce la lontananza dalla società alla quale partecipa,. e pertanto consente all’Amministrazione di riferire al contribuente le movimentazioni, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20668 del 01/10/2014; 7758 del 2019);
– anche con riferimento alle società di capitali, questa Corte ha affermato che l’art. 51, secondo comma, 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo vigente “ratione temporis”), nel prevedere che gli Uffici finanziari e la Guardia di finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non pone alcuna limitazione all’attività di indagine, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati all’amministratore, ai soci o ai loro familiari, ben possono essere giustificati da elementi sintomatici anche presuntivi evidenziati dalla peculiare fattispecie (quale anche la particolare ristrettezza della compagine sociale), incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dell’amministratore, o del di lui coniuge (e socio), non siano allo stesso riferibili (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26829 del 18/12/2014; conformi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12276 del 12/06/2015; Cass. Sez. 6 – 5, Orci. n. 1898 del 01/02/2016; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8112 del 22/04/2016);
– questa Corte ha altresì chiarito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15003 del 16/06/2017; 7758 del 2019) che in tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio “praesumptum de praesumpto non admittitur” (o il c.d. divieto di doppie presunzioni o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perché tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perché, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicché non ricorrerebbe nel caso di specie;
– nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto legittima la imputazione in capo alla società di persone, a ristretta base familiare, a titolo di maggiori ricavi non contabilizzati, delle movimentazioni risultate ingiustificate riscontrate ( anche) sui conti correnti personali dei soci, con rideterminazione dell’imponibile nell’ importo di euro 198.468 (di cui 128.446 ai fini dell’Iva), atteso che quanto alle movimentazioni “in entrata”, a fronte di uno scoperto di euro 259.202 (risultante da una riduzione degli imponibili operata dall’Ufficio in sede di contraddittorio nel corso di procedura di accertamento per adesione non andata a buon fine), risultava giustificato – in base ad una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità – un totale di euro 231.000, con una differenza di euro 28.231 che andava aggiunta alle entrate (non giustificate) ammesse, in subordine, dai contribuenti di euro 41.791, per un totale di euro 70.022 e quanto alle movimentazioni “in uscita”, a fronte di uno scoperto di euro 847.015 (ugualmente rideterminato dall’Ufficio in sede di procedura di accertamento con adesione), risultava giustificato – ugualmente in base ad un insindacabile apprezzamento di fatto – un totale di euro 822, con una differenza di euro 6.193 che andava aggiunta alle uscite (non giustificate) ammesse in subordine di euro 122.253, per un totale di euro 128.446;
– va altresì respinta- in quanto manifestamente infondata- la questione di legittimità costituzionale sollevata dai contribuenti in subordine, avente ad oggetto gli artt. 32, comma 1, nn. 2 e 7, del d.P.R. n. 600/73, 51, comma 2, n.n. 2 e 7 del d.P.R. n. 633/72- ove interpretati nel senso della riferibilità al contribuente delle movimentazioni sui conti correnti bancari personali intestati a terzi a lui collegati senza che sia richiesta l’allegazione di ulteriori elementi – per assunto contrasto con gli artt. 3, sotto il profilo della ragionevolezza, 53 Cost., quanto al risultato della tassazione di una capacità contributiva fittizia nonché con gli artt. 24, 111 e 117 Cast. in riferimento all’art. 6 della CEDU, per l’ulteriore effetto di rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa del contribuente costretto a ricostruire, ex post, dopo anni, ogni singola movimentazione annotata nei conti personali dei terzi persone fisiche, non tenuti ad obblighi di registrazione contabile e documentazione;
– quanto al prospettato contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., va osservato che la presunzione legale (relativa) di cui agli artt. 32 e 51 cit. di imputazione a ricavi societari delle operazioni riscontrate sui conti correnti dei singoli soci opera soltanto in presenza di rapporti di contiguità del terzo titolare del conto con il contribuente (che nel caso di società di persone si ravvisano nella ristretta base familiare e nel vincolo di parentela tra soci) idonei a fare presumere la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, fatta salva la facoltà di prova (a contrar io ) a carico del contribuente della estraneità delle movimentazioni all’attività di impresa; pertanto, non risulta configurabile la denunciata irragionevolezza né tantomeno il paventato risultato di tassazione di una capacità contributiva fittizia;
– quanto al denunciato contrasto con gli artt. 24, 111 e 117 , in relazione all’art. 6 della CEDU, sotto il profilo del giusto processo, l’onere della società contribuente di dimostrare l’estraneità alla comune attività d’impresa delle singole operazioni – comprese quelle in “uscita”- annotate sui conti correnti personali dei soci (ancorché non titolari di obblighi di registrazione contabile e documentazione) non è configurabile come particolarmente gravoso e, pertanto, tale da rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa, proprio in considerazione dei “rapporti di contiguità” tra il terzo titolare del conto e il contribuente (che nel caso di società di persone si ravvisano nella ristretta base familiare e nel vincolo di parentela tra soci) posti a fondamento della operatività della presunzione legale ex artt. 32 e 51 cit.; la manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale induce questa Corte a rigettare altresì la istanza di trattazione della presente controversia in pubblica udienza;
– alquanto generica – senza, peraltro, alcuna istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267, comma 3, del TFUE – è poi la formulazione dei dubbi di compatibilità della normativa nazionale con principi dell’ordinamento comunitario direttamente applicabili nell’ordinamento interno, quali: 1) il diritto dell’individuo ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, per il quale sono “incompatibili con il diritto comunitario le condizioni di prova che abbiano l’effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile” la tutela dei propri diritti (è richiamata Corte giustizia, sentenza 9 novembre 1983, c- 199/82, San Giorgio); 2) il principio di proporzionalità, dovendo le misure finalizzate a combattere l’evasione “garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo” (sono richiamate, tra le tante, Corte di giustizia, sentenze 19 settembre 2000, c- 177 /99 e c-181/99, Ampafrance; Corte di giustizia sentenza 11 marzo 2004, c- 9/02, De Lasteyrie du Saillant; Corte di giustizia, sentenza 12 settembre 2006, c- 196/04, Cadbury Schweppes); al riguardo, in considerazione di quanto sopra osservato circa la non particolare gravosità dell’onere posto a carico della contribuente società di provare la diversa origine delle movimentazioni sui conti correnti intestati ai soci, non si pone alcuna violazione rilevante in sede unionale;
– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, nn. 2 e 7, del d.P.R. n. 600/73, 51, comma 2, n.n. 2 e 7 del d.P.R. n. 633/72, alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, per avere la CTR ritenuto legittima la imputazione alla società, quali ricavi non contabilizzati, delle “uscite”, rimaste prive di documentazione, annotate sui conti correnti personali dei soci, ancorché un’interpretazione costituzionalmente orientata di tali norme, in considerazione anche dei principi espressi dalla Corte costituzionale (nella sentenza n. 228 del 2014 di illegittimità dell’art. 32 cit. limitatamente ai “compensi” da lavoro autonomo) escludesse tale automatica imputazione alla società dei “prelevamenti” registrati sui conti correnti dei soci; in particolare, ad avviso dei ricorrenti, la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 32 (nonché 51) cit., anche alla luce di quanto espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 228 del 2014, esigerebbe l’applicazione di tale norma ai soli conti correnti bancari intestati a una impresa e non anche ai conti intestati a terzi soggetti agenti quali meri privati anche se collegati ad essa – ( come nel caso dei soci) ;
– il motivo è infondato;
– invero, la ratio sottesa alla sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 – in base alla quale è stata esclusa l’applicabilità della presunzione di cui all’art. 32 cit. in capo al lavoratore autonomo con riguardo ai prelevamenti – non può essere estesa “al terzo non imprenditore” anche se collegato all’impresa – quale, come nella specie, il socio delle società di persone – in quanto mentre la richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale è limitata alla posizione del lavoratore autonomo in considerazione della caratterizzante preminenza, rispetto all’imprenditore, dell’apporto del lavoro proprio e della marginalità dell’apparato organizzativo, nonché della “fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”, avuto riguardo al “sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria”, la presunzione di imputazione alla società di persone a ristretta base familiare, a titolo di ricavi non contabilizzati, delle movimentazioni risultate ingiustificate riscontrate sui conti correnti intestati ai singoli soci si fonda, come già chiarito da questa Corte, sulla relazione di parentela tra i soci che è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà del contribuente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa (ex multis, in tal senso, Cass.Sez. 5, Ord. n. 30098 del 21/11/2018 Cass., sez. 5, Ord. n. 6595 del 15/03/2013); nella specie, la CTR si attenuta ai suddetti principi nel ritenere imputabile alla società di persone, a titolo di ricavi non contabilizzati – nella misura rideterminata (di euro 198.468 di cui 128.446 ai fini dell’Iva) – le movimentazioni, sia in entrata che in uscita, risultate ingiustificate riscontrate (anche) sui conti correnti personali dei soci, avendo i contribuenti, ad avviso del giudice di appello, offerto idonea documentazione giustificativa solo per una parte dell’importo contestato e già ridotto dall’Ufficio, in sede di contraddittorio, nel corso della procedura per adesione, non andata a buon fine;
– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, qual era la natura personale dei conti correnti intestati ai soci e delle operazioni ivi annotate;
– il motivo si profila inammissibile;
– va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 27 maggio 2015) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risult i esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto i ricorrenti non hanno assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti a “questioni” che, pertanto, risultano irrilevanti sotto tale profilo;
– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111, comma 6 Cost., 132 comma 2, n. 4 c.p.c. e 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR rideterminato i maggiori ricavi imputabili alla società con una motivazione apparente (“i valori come definiti dall’agenzia delle entrate nel corso dei contraddittori fanno riferimento a trasferimento di fondi presso altre società che non trovano adeguata giustificazione contabile dai libri della società” … “si tratta in definitiva di transazioni che non trovano adeguata giustificazione contabile”) senza argomentare in ordine al fatto (decisivo e controverso) della natura personale dei conti intestati ai soci;
– il motivo si profila inammissibile, non avendo colto la ratio decidendi, in quanto la CTR ha rideterminato i maggiori ricavi non dichiarati in euro 198.468 (di cui euro 128.446 quale imponibile ai fini Iva) stante la ritenuta giustificazione documentale da parte dei contribuenti con riferimento alle movimentazioni, sia in entrata che in uscita, riscontrate (anche) sui conti correnti personali dei soci, soltanto per una parte dell’importo contestato e già ridotto dall’Ufficio, a seguito di contraddittorio, in sede di procedura di accertamento per adesione;
– con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 2, n. 2 del d.P. R. n. 633 del 1972, per avere la CTR rideterminato i magg1 i ori ricavi in euro 198.468, di cui euro 128.446 ai fini Iva, ancorché, diversamente dall’art. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600/73, l’art. 51 cit. non prevede l’assimilazione dei prelevamenti ai ricavi ai fini della determinazione della base imponibile Iva, assumendo rilevanza soltanto le entrate (i versamenti) non giustificate;
– il motivo è infondato;
– è giurisprudenza consolidata di questa Corte quella secondo cui tanto la presunzione, stabilita dall’art. 51, secondo comma, 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di accertamento dell’IVA, quanto la presunzione di cui alla analoga norma dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P. R. n. 600 del 1973, dettata in materia di imposte sui redditi presentano un contenuto complesso, consentendo di riferire tutti i movimenti bancari rilevati dal conto all’attività economica svolta dal contribuente, qualificando gli “accrediti” come ricavi, e gli “addebiti” egualmente come manifestazione di ricchezza in quanto considerati spese per corrispettivi versati per acquisti di beni e servizi reimpiegati nella produzione di maggiori ricavi di ammontare non inferiore agli importi prelevati: la presunzione legale ”juris tantum”, può essere vinta dal contribuente soltanto se offre la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che vengano indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (Cass. n. 26692 del 2005; n. 20199 del 2010; n. 16650 del 2011; n. 26173 del 2011 -con riferimento all’art. 32 Dpr n. 600/73 in materia di imposte sui redditi; n. 15217 del 2012; n. 1418 del 2013; n. 6595 del 2013; n. 21303 del 2013; n. 20668 del 2014; n. 26111 del 2015; n. 30376/2018; n. 11762 del 2019. La presunzione legale in questione ha superato il vaglio di costituzionalità in relazione agli artt. 3 e 53 Cast. – Sentenza Corte cast. n. 225 del 2005: cfr. Cass. n. 13036 del 2012. Vedi Corte cast. ord. 260 del 2000; Corte cast. ord. n. 173 del 2008; Corte cast. 228 del 2014); nella specie, la CTR si è attenuta al suddetto principio, ritenendo imputabili a titolo di maggiori ricavi non contabilizzati in capo alla società, le movimentazioni sui conti correnti bancari dell’ente e dei soci risultate ingiustificate sia “in entrata” (per euro 70.022) che “in uscita” (per euro 128.446) per un totale di euro 198.468 (di cui euro 128.446 ai fini Iva);
– con il sesto motivo si denuncia,, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 917/1986 per avere la CTR, nel ricondurre le movimentazioni sui conti correnti personali dei soci a fatti riguardanti la società, fatto riferimento all’art. 5 del TUIR (in tema di c.d. tassazione per trasparenza dei redditi delle società di persone) quale norma inconferente sotto tale profilo, essendo stato oggetto di contestazione fin dal primo grado di giudizio non già l’ultimo passaggio dell’accertamento (ovvero l’imputazione ai soci dell’utile accertato in capo alla società), bensì l’automatica imputazione alla società, quali proventi dalla stessa non dichiarati, delle movimentazioni annotate sui conti personali dei soci;
– il motivo si profila inammissibile in quanto non è attinente al decisum, avendo la CTR ritenuto legittima l’imputazione alla società di persone, a titolo di maggiori ricavi non dichiarati, delle operazioni risultate ingiustificate riscontrate sui conti correnti bancari dei soci, in quanto “in una società la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto nucleo familiare ben si può presumere che siano riconducibili alla società contribuente le operazioni riscontrate sui conti correnti bancari intestati ai soci e ai loro familiari salva la facoltà di provare la diversa origine di tali entrate“; al riguardo, il giudice di appello, ha fatto riferimento non solo all’art. 5 del Tuir (rilevante ai fini della cd. imputazione “per trasparenza” dei redditi della società di persone in capo ai singoli soci proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili) ma correttamente anche agli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, in materia di imposte sui redditi, e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di accertamento dell’IVA che disciplinano le presunzioni legali (relative) in materia di accertamenti bancari;
– con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.c. avendo la CTR omesso di pronunciare sulla eccezione dedotta nei gradi di merito di irrilevanza delle movimentazioni bancarie “in uscita” di valore minimo (inferiore a euro 1.500) per impossibilità obiettiva di fornire la relativa documentazione;
– attesa l’ammissibilità del motivo, avendo i contribuenti, in punto di autosufficienza, riportato in ricorso lo stralcio degli atti difensivi dei gradi di merito (ricorsi e controdeduzioni in sede di appello) contenenti la relativa eccezione, la doglianza è infondata;
– premesso che “per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Cass. Cass. 1237 del 2018; n. n. da 21424 a 21428 del 2017, conf. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011), nella specie, la CTR ha accolto parzialmente l’appello dell’Agenzia rideterminando i maggiori ricavi non dichiarati nella misura di euro 198.468 (di cui euro 128.446 ai fini Iva) stante la ritenuta giustificazione documentale da parte dei contribuenti solo per una parte dell’importo contestato, con ciò implicitamente disattendendo l’eccezione relativa alla assunta irrilevanza di per sé delle movimentazioni bancarie “in uscita” di valore inferiore a euro 1.500;
– con l’ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità dellla sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo la CTR omesso di pronunciare sulla eccezione dedotta nei gradi di merito di illegittimità degli avvisi nella parte in cui non riconoscono alcun importo in deduzione dai maggiori ricavi accertati a titolo di spese di produzione degli stessi;
– premessa l’ammissibilità del mezzo, in punto di autosufficienza, avendo i contribuenti riportato in ricorso lo stralcio degli atti difensivi dei gradi di merito (ricorsi e controdeduzioni in sede di appello) contenenti la relativa eccezione, il motivo è infondato, in quanto il giudice di appello
– nell’accogliere parzialmente il gravame dell’Ufficio rideterminando maggiori ricavi non contabilizzati nell’importo di euro 198.468 (di cui euro 128.446 ai fini Iva)
– ha disatteso implicitamente l’eccezione relativa alla necessaria deduzione dai maggiori ricavi accertati dei relativi costi; tanto, in ossequio all’orientamento di questa Corte secondo cui “in tema di accertamento, la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 (e, per l’IVA, dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare” (Cass. Sez. 5 , Ord. n. 24422 del 05/10/2018; Cass. Sez. 5, Sent. n. 28580 del 18/10/2021);
– con il nono motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’illegittimità degli avvisi di accertamento nella parte in cui, in presenza di versamenti ritenuti non giustificati ripresi a tassazione, assumono ugualmente irragionevolmente prelevamenti non giustificati quali maggiori ricavi evasi;
– premessa l’ammissibilità del motivo, avendo i contribuenti, in punto di autosufficienza, riportato in ricorso lo stralcio degli atti difensivi dei gradi di merito (ricorsi e controdeduzioni in sede di appello) contenenti la relativa eccezione, la doglianza è infondata in quanto il giudice di appello – nell’accogliere parzialmente l’appello dell’Ufficio rideterminando i maggiori ricavi in euro 198.468- ha disatteso implicitamente l’eccezione relativa alla assunta illegittima equiparazione dei prelevamenti ai maggiori ricavi non contabilizzati in presenza di versamenti ritenuti ingiustificati ripresi a tassazione; ciò conformemente alla sopra richiamata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la presunzione legale ( relativa) di cui agli artt. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, opera sia con riferimento ai versamenti che ai prelevamenti risultanti dalle verifiche effettuate sulle movimentazioni del conto corrente (v. ex multis, Cass. n. 11762 del 2019);
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo l’Agenzia rimasta intimata;
Per questi motivi
la Corte
rigetta il ricorso;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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