Corte di Cassazione ordinanza n. 10898 depositata il 5 aprile 2022
azione di responsabilità civile nei confronti degli amministratori – registrazione sentenza – imposta di registro – motivazione
FATTI DI CAUSA
La “N. Soc. Coop. a r.l.”, a mezzo di procuratrice speciale, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Genova il 20 giugno 2016 n. 880/06/2016, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione dell’imposta di registro in relazione alla sentenza depositata dal Tribunale Civile di Genova il 17 marzo 2008 n. 1186/2008, con la quale i cessati amministratori erano stati condannati al pagamento della somma di€ 1.675.206,75 (con i relativi accessori) in favore del fallimento della “M. S.r.l.”, in liquidazione, a titolo di responsabilità civile ex art. 2394 cod civ., in relazione all’art. 2487, comma 2, cod. civ., nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 3 del D.L.vo 17 gennaio 2003 n. 6, per il depauperamento del patrimonio sociale in danno dei creditori sociali e per il dissesto aziendale culminato nel disavanzo fallimentare di f 3.244.372.924, a conclusione del giudizio promosso dalla “N. Soc. Coop. a r.l.”, in qualità di creditrice sociale, e proseguito, dopo la dichiarazione di fallimento, dal curatore del fallimento della “M. S.r.l.”, in liquidazione, con il riconoscimento della natura di “intervento litisconsortile della partecipazione al giudizio” della “N. Soc. Coop. a r.l.” e la condanna dei cessati amministratori alla rifusione delle spese giudiziali anche in favore della “N. Soc. Coop. a r.l.”, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Genova il 16 giugno 2011 n. 210/10/2011, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di primo grado, sul presupposto che la società creditrice fosse stata “parte” del giudizio derivato dall’esercizio dell’azione di responsabilità civile nei confronti dei cessati amministratori della società debitrice fallita, non rilevando il successivo subingresso del curatore fallimentare nella titolarità di tale azione. Il ricorso è affidato a cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per l’accoglimento del secondo motivo e del terzo motivo, il rigetto del primo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi.
MOTIVI DI RICORSO
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione degli 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212, 52 e 54 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver omesso di rilevare l’assoluta carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 57 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 8, lett. b, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che la “N. Soc. Coop. a r.l.” fosse “parte in causa” del predetto giudizio di responsabilità civile ed obbligata in solido al pagamento dell’imposta di registro.
3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 24 e 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per aver deciso l’appello con motivazione assolutamente carente o apparente sulla propria eccezione di estraneità al predetto giudizio di responsabilità civile.
4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione degli artt. 40 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 8, nota II, della tariffa – parte prima allegata al P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non aver applicato il principio di alternatività IVA/imposta di registro, con la conseguente spettanza dell’imposta di registro in misura fissa per la soggezione ad IVA del credito vantato nei confronti della società debitrice fallita.
5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione degli 112 cod. proc. civ., 40 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 8, nota II, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per aver omesso di pronunziarsi sulla dedotta applicazione del principio di alternatività IVA/imposta di registro, con la conseguente spettanza dell’imposta di registro in misura fissa per la soggezione ad IVA del credito vantata nei confronti della società debitrice fallita.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo è infondato.
1.1 Il mezzo censura la sentenza impugnata per l’erroneo apprezzamento che l’adeguatezza motivazionale dell’avviso di liquidazione fosse soddisfatta, in relazione alla sentenza civile soggetta a registrazione, con la mera indicazione degli estremi di identificazione e dei nomi delle parti, non tenendo in considerazione che «le sentenze sono suscettibili di subire una diversa imposizione ai fini del registro, sia sulla base delle diverse tipologie (ad esempio se recanti trasferimento o costituzione di diritti reali, ovvero condanna al pagamento di somme, ovvero, ancora, se si tratta di sentenze di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale o dichiarative di nullità o annullamento di atti, ecc.) elencate nell’art. 8 della Tariffa parte prima allegata al d.p.r. n. 131/1986, sia – come spesso accade – mediante la tassazione degli atti in esse enunciati ai sensi dell’art. 22 del p.r. n. 131/1986».
1.2 Come è noto, l’art. 7, comma 1, della Legge 27 luglio 2000 212 (c.d. “Statuto del contribuente”) dispone, in linea generale, che: «Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama».
1.3 Ancorché non richiamato dal ricorrente a supporto della doglianza, un sedimentato orientamento di questa Corte ha ritenuto che, in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso ex 54, comma 5, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 che indichi soltanto la data e il numero della sentenza civile oggetto della registrazione, senza allegarla, è illegittimo, per difetto di motivazione, in quanto l’obbligo di allegazione, previsto dall’art. 7, comma 1, della Legge 27 luglio 2000 n. 212, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare (così: Cass., Sez. SA, 10 agosto 2010, n. 18532; Cass., Sez. 6A-S, 17 giugno 2015, n. 12468; Cass., Sez. 6A-S, 7 dicembre 2017, n. 29402; Cass., Sez. 6″- 5, 16 novembre 2018, n. 29491; Cass., Sez. 6A-5, 9 dicembre 2020, n. 28095; Cass., Sez. 6A-S, 16 dicembre 2020, nn. 28800, 28801, 28802, 28803, 28804; Cass., Sez. 6A-5, 10 febbraio 2021, nn. 3297, 3298, 3299 e 3300; Cass., Sez. 6A- 5, 15 febbraio 2021, n. 3871; Cass., Sez. 6A-S, 9 marzo 2021, nn. 6506, 6507 e 6508; Cass., Sez. 6A-5, 10 marzo 2021, nn. 6723 e 6724; Cass., Sez. 6A-5, 12 marzo 2021, n. 7116 – vedansi anche, sia pure con motivazione sintonica con l’indirizzo più recente: Cass., Sez. 6A-S, 18 maggio 2021, n. 13385; Cass., Sez. 6A-S, 3 giugno 2021, n. 15368; Cass., Sez. 6A, 8 giugno 2021, nn. 15873, 15874 e 15895).
1.4 Parallelamente, un altro orientamento di questa Corte si è costantemente espresso nel senso che l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notifica (così: Cass., Sez. SA, 25 luglio 2012, n. 13110; Cass., Sez. SA, 4 luglio 2014, n. 15327; Cass., Sez. SA, 20 febbraio 2019, 4176; Cass., Sez. SA, 19 novembre 2019, n. 29968).
In particolare, si ritiene che l’art. 7 della Legge 27 luglio 2000 212, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, al fine di consentirgli il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove in mancanza egli sarebbe costretto ad un’attività di ricerca che comprimerebbe illegittimamente il suo diritto di difesa (così: Cass., Sez. SA, 4 luglio 2014, n. 15327; Cass., Sez. SA, 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., Sez. SA, 11 maggio 2017, n. 11623; Cass., Sez. SA, 24 novembre 2017, n. 28060; Cass., Sez. SA, 19 novembre 2019, n. 29968; Cass., Sez. SA, 10 luglio 2020, n. 14723).
1.5 Quest’ultima posizione è stata puntualmente ribadita anche in relazione al tema specifico dell’onere di allegazione della sentenza civile all’avviso di liquidazione per l’imposta di Anzitutto, in base alla formulazione dell’art. 54, comma 4, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, secondo cui «nell’avviso devono essere indicati gli estremi dell’atto da registrare (… ) e la somma da pagare», si è ritenuto che tali indicazioni risultano riportate nell’atto e sono sufficienti ai fini della motivazione dell’avviso di liquidazione, non essendo neanche necessario allegare agli atti la sentenza o il suo contenuto essenziale ai fini del pagamento dell’imposta di registro, allorquando la pronuncia sia resa a seguito di giudizio che ha visto i ricorrenti quali parti in causa, trattandosi di provvedimento quindi conosciuto dalle parti, non potendosi ravvisare alcuna violazione del diritto di difesa tutelato dall’art. 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212 (c.d.” Statuto dei diritti del contribuente”) (Cass., Sez. SA, 12 novembre 2014, n. 24098).
Invero, si è detto anche che, trattandosi di atto da presumere conosciuto o comunque certamente conoscibile dal contribuente, il riferimento che ad essa è fatto nell’avviso di accertamento soddisfa certamente l’onere motivazionale, senza alcun ulteriore obbligo di allegazione all’atto impositivo (così: Cass., Sez. SA, 4 agosto 2020, n. 16663). Inoltre, si è aggiunto che l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare, in allegato all’avviso di liquidazione, un atto già noto al contribuente integrerebbe un adempimento superfluo ed ultroneo, che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria e che, per quanto possa apparire paradossale, la mera allegazione della sentenza civile può essere talora insufficiente ad integrare il contenuto dell’avviso di liquidazione, come nel caso in cui l’elevato grado di complessità delle statuizioni giudiziali non assicuri un’agevole comprensione in ordine alle modalità di individuazione della base imponibile ed ai criteri di calcolo dell’imposta (così: Cass., Sez. SA, 8 ottobre 2020, n. 21713; Cass., Sez. SA, 12 gennaio 2021, n. 239). Da qui gli ulteriori corollari che, in ossequio ai canoni generali della collaborazione e della buona fede, l’amministrazione finanziaria deve considerarsi esonerata dall’obbligo di allegazione ex art. 7, comma 1, della Legge 27 luglio 2000 n. 212 con riguardo agli atti presupposti (negoziali, amministrativi o giudiziali) di cui il contribuente abbia avuto conoscenza, sia stato destinatario ovvero sia stato parte (anche a mezzo dì rappresentante legale o volontario), trattandosi di incombenza ridondante rispetto alla finalità di garantire un’informazione adeguata e commisurata ad un efficace esercizio del diritto di difesa in ordine all’incidenza degli atti impositivi, e che l’omissione o l’assolvimento dell’allegazione, rispettivamente, nulla toglie e nulla aggiunge alle cognizioni del contribuente sui presupposti fattuali e sulle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione finanziaria (così: Cass., Sez. SA, 8 ottobre 2020, n. 21713).
In tale direzione, si è anche affermato che tale interpretazione è in sintonia con il testo dell’art. 52, comma 2-bis, seconda parte, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (quale introdotto dall’art. 4, comma 1, del D.L.vo 26 gennaio 2001 n. 32), secondo il quale, in relazione al contenuto dell’avviso di rettifica e di liquidazione per l’imposta di registro su atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, «se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale» (così: Cass., Sez. 5 A, 8 ottobre 2020, 21713; Cass., Sez. SA, 12 gennaio 2021, n. 239).
La predetta interpretazione è stata pedissequamente confermata anche in relazione al verbale di conciliazione. Difatti, si è asserito che, in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso ex art. 54, comma 5, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 in relazione a una conciliazione giudiziale deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione dell’articolo applicato, sulla cui base è avanzata la pretesa impositiva, e l’aliquota dell’imposta, ma non deve necessariamente recare, in allegato, il relativo verbale, rispondendo l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7, comma 1, della Legge 27 luglio 2000 n. 212 all’esigenza di garantire il pieno e immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti o documenti da lui conosciuti o, a maggior ragione, redatti (così: Cass., Sez. SA, 1 luglio 2020, n. 13402).
1.6 Ancorché all’apparenza antinomici, a ben vedere, i due indirizzi sono accomunati dal presupposto che l’avviso di liquidazione (sia in relazione al suo contenuto, che in relazione ai suoi allegati) deve essere autosufficiente sul piano dell’informazione fornita al contribuente circa la causa e l’oggetto della pretesa impositiva. Non a caso, l’allegazione della copia all’avviso di liquidazione o la riproduzione del contenuto nell’avviso di liquidazione assumono una valenza paritaria ed equipollente rispetto alla funzione di assicurare al contribuente la conoscenza della sentenza civile (come di qualsiasi altro tipo di provvedimento giudiziario), le cui enunciazioni o statuizioni siano assoggettate ad imposta di registro (Cass., Sez. 6A-S, 7 aprile 2021, 9344; Cass., Sez. 6A-S, 26 ottobre 2021, n. 30084).
E siffatto principio tende a consolidarsi anche nei più recenti arresti della Sezione Tributaria di questa Corte, che lo ha condiviso e recepito nella decisione di fattispecie analoghe (in particolare: Cass., Sez. 5″, 11 maggio 2021, n. 12377; Cass., Sez. 5″, 12 maggio 2021, nn. 12457 e 12459; Cass., Sez. 5″, 29 settembre 2021, n. 26340; Cass., Sez. 5″, 17 novembre 2021, n. 34926; Cass., Sez. 5″, 30 novembre 2021, n. 37370).
1.7 Ora, cercando di ricomporre le distonie interpretative, che non appaiono di per sé sintomatiche di un contrasto ermeneutico, all’esito di un’attenta rimeditazione, questa Corte ha ritenuto che la valutazione del giudice tributario deve essere rapportata al corretto assolvimento dell’onere informativo, verificando che l’avviso di liquidazione, attraverso il corredo esterno di documenti allegati ovvero attraverso la riproduzione interna di documenti richiamati, garantisca in ogni caso al contribuente l’agevole intelligibilità dei valori imponibili, delle aliquote applicate e dell’imposta liquidata in relazione alla registrazione di un titolo giudiziale, senza alcuna differenza per la rilevanza fiscale delle enunciazioni (preliminari) e/o delle statuizioni (finali) (Cass., Sez. 6″-5, 7 aprile 2021, n. 9344; , Sez. 6″-5, 26 ottobre 2021, n. 30084).
In definitiva, anche in assenza di una specifica disposizione che imponga tale adempimento (con una eventuale sanzione per l’inosservanza), l’allegazione della copia della sentenza civile o del decreto ingiuntivo può rivelarsi indispensabile ed imprescindibile quando l’avviso di liquidazione non riproduca o non menzioni le enunciazioni o le statuizioni soggette ad imposta di registro, sempre che il contribuente si sia trovato nell’incolpevole impossibilità di averne conoscenza (Cass., Sez. 6″-5, 7 aprile 2021, n. 9344; Cass., Sez. 5″, 11 maggio 2021, 12377; Cass., Sez. SA, 12 maggio 2021, nn. 12457 e 12459; Cass., Sez. 6A-5, 26 ottobre 2021, n. 30084; Cass., Sez. SA, 30 novembre 2021, n. 37370 – in linea col nuovo indirizzo, pur riaffermando nei casi esaminati l’obbligo di allegazione, si possono citare: Cass., Sez. 6A-5, 6 aprile 2021, n. 9226; Cass., Sez. 6A-5, 14 aprile 2021, nn. 9757, 9758, 9759 e 9760; Cass., Sez. 6A-5, 4 maggio 2021, nn. 11652 e 11653; Cass., Sez. 6A-5, 3 giugno 2021, n. 15368; Cass., Sez. 6A-5, 8 giugno 2021, nn. 15873, 15874 e 15895). Per cui, non si può presumere in via generale che il contribuente (magari assistito e rappresentato da difensore di fiducia) ignori la sentenza civile resa in un giudizio contenzioso di cui egli è stato parte (attrice, convenuta o interventrice) ovvero il decreto ingiuntivo emanato in un giudizio sommario che egli ha promosso (ricorrente), ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di curarne l’allegazione o la riproduzione in occasione della notificazione dell’avviso di liquidazione per l’imposta di registro sulle relative enunciazioni e/o statuizioni. Dunque, l’avviso di liquidazione può anche limitarsi a contenere l’indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, sempre che sia certo o presumibile che il contribuente ne abbia avuto pregressa conoscenza (Cass., Sez. 6A-5, 26 ottobre 2021, n. 30084; Cass., Sez. SA, 30 novembre 2021, n. 37370).
1.8 Punto di approdo del dibattito interno alla giurisprudenza di legittimità può considerarsi la recente formulazione del principio per cui: «In materia di imposta di registro su atti giudiziari definitori di procedimenti nei quali il contribuente sia stato parte, l’avviso di liquidazione può ritenersi adeguatamente motivato anche quando, riportando esso gli estremi identificativi essenziali sia dell’atto giudiziario medesimo (natura del provvedimento, ufficio emanante, estremi di ruolo e pubblicazione) sia dei criteri normativi e matematici di determinazione del dovuto (base imponibile, aliquota tariffaria applicata ed imposta), non alleghi l’atto in sé. Tuttavia, nel caso in cui il contribuente contesti in maniera specifica e circostanziata la sufficienza motivazionale dell’avviso e la comprensibilità della pretesa impositiva rinveniente da quelle sole indicazioni, il giudice di merito deve procedere al vaglio complessivo del livello motivazionale dell’avviso stesso, indipendentemente dalla allegazione o non allegazione ad esso dell’atto giudiziario tassato, anche in relazione agli eventuali elementi di complessità ed equivocità che possano in concreto emergere da quest’ultimo» (Cass., Sez. SA, 29 settembre 2021, n. 26340 – da ultima, vedasi anche: Cass., Sez. 6A-S, 24 gennaio 2022, n. 1973).
1.9 Nel pervenire a tale conclusione, la Corte ha rimarcato come, «nel caso di sentenze o lodi, in particolare, questa valutazione di congruità motivazionale non può prescindere dalla maggiore o minore complessità e varietà tipologica e di effetti delle statuizioni giudiziali tassate in ragione, a titolo meramente esemplificativo, del numero delle parti interessate dal giudizio; del numero, complessità, interdipendenza e connessione dei capi decisori e della loro specifica riferibilità ed inerenza (in caso di pluralità di parti) alla sfera giuridica del contribuente inciso quale parte in senso sostanziale del rapporto racchiuso nel giudizio e dei suoi effetti decisori; della eventuale sussistenza di fenomeni successori nel processo che possano aver determinato la scissione soggettiva tra parte del medesimo e parte del rapporto tributario da esso poi derivato; della più o meno immediata individuabilità in esse degli elementi economici rilevanti per l’imposizione; della presenza di dubbi interpretativi sulla reale portata della statuizione, così come desumibile dall’integrazione di motivazione e dispositivo; della pluralità delle voci tariffarie astrattamente applicabili agli effetti giuridici del decisum ecc… Deriva quindi da questa impostazione, volta ad ampliare e non a restringere la tutela del contribuente, che il criterio discretivo non passa attraverso la formalità della ‘allegazione – non allegazione’, vista una varia e sfuggente fenomenologia che può presentare tanto avvisi adeguatamente motivati pur in assenza di allegazione dell’atto giudiziale in esso specificamente indicato, quanto avvisi non adeguatamente motivati pur in presenza di allegazione – bensì attraverso un controllo sostanziale ed effettivo (spettante al giudice di merito perché di natura prettamente fattuale) della concreta congruità motivazionale dell’avviso nella valutazione complessiva ed interdipendente del contenuto suo proprio (livello di specificazione ed identificazione del provvedimento giudiziale tassato, oltre che degli elementi essenziali e dei parametri di liquidazione dell’imposta applicati), degli elementi già noti al contribuente (in quanto parte del processo definitosi con quel provvedimento), del livello di maggiore o minore complessità ed intellegibilità di tale provvedimento in rapporto alla imposizione» (Cass., Sez. 5″, 29 settembre 2021, n. 26340).
1.10 Nella specie, in sostanziale adesione ai principi enunciati, il giudice di appello ha dato conto che: «Da un attento esame dell’avviso di liquidazione si desume che esso contiene i dati specifici per il riconoscimento dell’atto prodromico: infatti il numero della sentenza con l’indicazione del Tribunale che l’ha emessa e le parti in causa, l’indicazione specifica degli importi dovuti per l’imposta di registro pari al 3% della somma capitale e interessi come da dispositivo della stessa sentenza in base all’applicazione dell’art. 8 comma 1 Tariffa DPR 131/86. Nell’avviso era altresì indicato che le parti erano solidalmente responsabili per il pagamento e che il pagamento dell’intero ammontare eseguito da un coobbligato liberava tutti gli altri nei confronti dell’Agenzia delle Entrate».
Pertanto, alla luce delle coordinate fornite dai più recenti arresti di questa Corte in ordine al controllo sul giudizio di congruità motivazionale dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro sui provvedimenti giudiziari, si può ritenere che la “N. Soc. Coop. a r.l.” sia stata posta in condizione di avere piena consapevolezza del valore imponibile, dell’aliquota applicata e dell’imposta liquidata, come, peraltro, è indirettamente confermato – in questa medesima sede – dalla specifica contestazione della qualità di “parte” nel giudizio promosso dalla medesima ex art. 2394 cod civ., in relazione all’art. 2487, comma 2, cod. civ., nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 3 del D.L.vo 17 gennaio 2003 n. 6, e proseguito dal curatore fallimentare della “M. S.r.l.”, in liquidazione, ex art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 nei confronti dei cessati amministratori.
2. Il secondo motivo è fondato.
2.1 Secondo l’art. 57, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131: «Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice di procedura civile».
2.2 In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, l’art. 57, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nella parte in cui prevede che sono tenute al pagamento dell’imposta di registro le parti in causa, deve intendersi riferito a tutti coloro che abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva e la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti di tale decisione, in quanto la finalità di detta norma è quella di rafforzare la posizione dell’erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti di colui che è civilmente tenuto al pagamento (tra le tante: Cass., 5″, 13 novembre 2018, n. 29158; Cass., Sez. 5″, 19 giugno 2020, n. 12009; Cass., Sez. 5″, 29 luglio 2021, n. 21700).
Da tali principi, si evince che, ferma la natura solidale ex art. 57, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 della responsabilità tributaria per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti, essa, però, non grava, quando si tratti di litisconsorzio facoltativo, sui soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio, assumendo rilievo non la sentenza in quanto tale, ma il rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva. Ed invero, ai fini dell’imposta in esame il presupposto della solidarietà non rileva la mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza (Cass., Sez. 6″-5, 8 ottobre 2014, n. 21134; analogamente: Cass., Sez. 5″, 5 dicembre 2014, n. 25790, secondo cui, ai fini dell’imposta di registro, occorre avere riguardo al rapporto sostanziale, in quanto è esso ad essere l’indice della capacità contributiva colpita dall’imposta), dovendosi, invece, avere riguardo esclusivamente alla situazione sostanziale che ha dato causa alla sentenza registrata. In caso di litisconsorzio facoltativo, infatti, pur nell’identità delle questioni, ben può permanere l’autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici, delle singole causae petendi e dei singoli petita, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte (Cass., Sez. SA, 29 luglio 2021, n. 21700).
In sostanza, ai fini dell’individuazione del soggetto passivo di imposta in tali casi ciò che conta è il rapporto oggetto della sentenza, quale indice di capacità contributiva, di talché il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza. (Cass., 19 giugno 2020, n. 12009; Cass., Sez. SA, 18 febbraio 2021, nn. 4328 e 4329; Cass., Sez. SA, 10 giugno 2021, n. 16232; Cass., Sez. SA, 29 luglio 2021, n. 21700; Cass., Sez. SA, 27 gennaio 2022, n. 2378).
2.3 Ora, venendo al caso di specie, questa Corte ha affermato che, in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, la riforma societaria di cui al D.L.vo 17 gennaio 2003 n. 6, che pur non prevede più il richiamo, negli 2476 e 2487 cod. civ., agli artt. 2392, 2393 e 2394 cod. civ., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all’esercizio della predetta azione ai sensi dell’art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, in quanto per tale disposizione, riformulata dall’art. 130 del D.L.vo 17 gennaio 2006 n. 5, tale organo è abilitato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l’interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 cod. civ. (Cass., Sez. 1, 21luglio 2010, n. 17121; Cass., Sez. 1 A, 31 maggio 2016, n. 11264; Cass., Sez. 1, 23 gennaio 2017, n. 1641; Cass., Sez. 1, 20 settembre 2019, n. 23452; Cass., Sez. 1, 10 ottobre 2019, n. 25476 – nonché, implicitamente: Cass., Sez. 1, 3 luglio 2017, n. 16314; Cass., Sez. 1, 9 agosto 2017, n. 19747).
Del resto, accedendo ad una diversa interpretazione si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori di una società a responsabilità limitata e quelli di una società per azioni. Pur in assenza di una specifica disposizione, pertanto, si deve ritenere analogicamente applicabile anche alla società a responsabilità limitata la disposizione dell’art. 2394 cod. civ., identica essendo la ratio che sottende alla tutela dei creditori sociali nei diversi tipi societari (Cass., Sez. 11, 20 settembre 2019, n. 23452).
La sopravvivenza dell’azione di responsabilità nelle società a responsabilità limitata, pur in mancanza di una disposizione analoga all’art. 2394-bis cod. civ., comporta la (perdurante) legittimazione del curatore fallimentare ad esperire l’azione suddetta ex art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267. Tale interpretazione sistematica è pienamente confermata dal D.L.vo 12 gennaio 2019 n. 14 (portante il c.d. “Codice della crisi d’impresa”), il cui art. 389, comma 2, dispone l’applicazione di talune disposizioni, tra le quali l’art. 378 sulla responsabilità degli amministratori. Tale norma ha inserito all’art. 2476 cod. civ., dopo il quinto comma, una disposizione che riproduce integralmente il contenuto dell’art. 2394 cod. civ. e che, recependo l’interpretazione largamente prevalente, ha espressamente previsto, anche per le società a responsabilità limitata l’azione di responsabilità dei creditori sociali, con conseguente legittimazione ex art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 267, nella formulazione tuttora vigente (prima dell’applicazione dell’intero “Codice della crisi di impresa”), del curatore fallimentare ad esercitare l’azione di responsabilità anche in tale ipotesi (Cass., Sez. 1 A, 20 settembre 2019, n. 23452).
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146, comma 2, del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 cod. civ. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali: essa implica una modifica della legittimazione attiva, ma non dei presupposti delle rispettive azioni (Cass., Sez. 6A-l, 29 giugno 2016, n. 19340; Cass., Sez. 1 A, 20 settembre 2019, n. 23452).
2.4 In particolare, il curatore acquista ex 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 la legittimazione ad esercitare le stesse azioni che prima del fallimento spettavano separatamente alla società ed ai creditori sociali. Tanto trova la sua giustificazione in una precisa scelta legislativa di carattere eminentemente pratico: la frequente affermazione secondo cui, in caso di fallimento, l’azione di responsabilità si esercita in forma unitaria ed inscindibile riguarda unicamente la legittimazione cumulativa, non potendo evidentemente il curatore esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita. Tali azioni mantengono presupposti, natura giuridica e caratteri diversi ed autonomi e rimangono distinte, ma la mancata specificazione del titolo, lungi dal determinare indeterminatezza della domanda, fa presumere, in assenza di un contenuto anche implicitamente diretto a far valere una sola delle azioni, che il curatore abbia inteso esercitare, come è specificamente consentito dall’art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, congiuntamente entrambe le azioni.
2.5 Pertanto, posto che l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2394 cod. civ., per le società per azioni, e dall’art. 2476 civ., per le società a responsabilità limitata, è confluita nell’art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, il curatore ne è titolare esclusivo, per cui la sua legittimazione non può concorrere con quella dei creditori sociali per l’azione già di loro spettanza, essendo quest’ultima assorbita, in costanza della procedura fallimentare, dall’azione di massa, e non potendo – quindi – finché dura il fallimento, ad essa sopravvivere, ancorché il curatore rimanga inerte (Cass., Sez. 1″, 31 maggio 2016, n. 11264; Cass., Sez. l”, 14 marzo 2017, n. 6562; Cass., Sez. l”, 10 aprile 2019, n. 10087; Cass., Sez. 27 dicembre 2019, n. 34529; Cass., Sez. l”, 3 marzo 2021, n. 5795).
Ne discende che, in caso di esercizio dell’azione di responsabilità da parte dei creditori sociali ex art. 2394 cod. civ., quando la società sia ancora in bonis, la sopravvenienza della dichiarazione di fallimento in corso di causa comporta il subingresso del curatore fallimentare ai creditori sociali nella legittimazione attiva alla prosecuzione del processo per la condanna dei cessati amministratori al risarcimento dei danni, mentre i creditori sociali conservano una legittimazione meramente residuale a continuare la partecipazione al processo in posizione secondaria ed accessoria, assumendo la veste postuma di interventori adesivi dipendenti rispetto alle ragioni del curatore fallimentare, di cui essi condividono – pur con un ruolo differente – l’interesse alla reintegrazione del patrimonio sociale (art. 105, comma 2, cod. proc. civ.). Quindi, si può dire che il fallimento lite pendente della società debitrice converte il creditore sociale da attore in interventore adesivo dipendente in concomitanza col subentro del curatore fallimentare nella prosecuzione dell’azione di responsabilità nei confronti dei cessati amministratori. Pertanto, l’effetto ripristinatorio della eventuale sentenza di condanna dei cessati amministratori al risarcimento dei danni arrecati per mala gestio alla società fallita non si produce nella sfera patrimoniale dei creditori sociali, i quali risentono soltanto di un beneficio riflesso ed indiretto dall’accrescimento della massa fallimentare sul piano delle maggiori probabilità di soddisfazione delle rispettive ragioni in sede di riparto concorsuale.
Ne deriva che, il creditore sociale, il quale abbia esercitato l’azione di responsabilità civile nei confronti degli amministratori ex art. 2394 cod. civ. ed al quale il curatore fallimentare sia subentrato in corso di causa dopo il sopravvenuto fallimento della società debitrice, pur assumendo ex nunc – a seguito della perdita della legittimazione attiva – la veste processuale di interventore adesivo dipendente rispetto alle ragioni del curatore fallimentare (art. 105, comma 2, cod. proc. civ.), resta comunque estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, in quanto la sentenza di condanna al risarcimento dei danni è finalizzata ad incrementare solamente la massa fallimentare, per cui egli non riceve un beneficio diretto ed immediato nel proprio patrimonio. Difatti, l’eventuale soddisfazione del creditore sociale potrà conseguire soltanto all’esito della liquidazione e del riparto delle attività fallimentari.
2.6 Nella specie, la sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto che il creditore sociale fosse solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta di registro sulla sentenza sottoposta a registrazione in ragione della propria qualità di “parte” del relativo processo (anche in considerazione della impropria qualificazione ivi contenuta di “interventrice litisconsortile” ), senza tener in alcun conto l’estraneità al rapporto sostanziale in dipendenza del subentro del curatore fallimentare della società debitrice nella prosecuzione dell’azione di responsabilità civile nei confronti dei cessati amministratori.
3. Pertanto, valutandosi la infondatezza del primo motivo, la fondatezza del secondo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 1, ultima parte, proc. civ., con pronuncia di accoglimento del ricorso originario della contribuente.
4. Le spese dei giudizi di merito possono essere compensate tra le parti in ragione dell’andamento processuale, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo motivo e dichiara l’assorbimento dei restanti motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione a motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la controricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della ricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.