Corte di Cassazione ordinanza n. 10905 depositata il 5 aprile 2022
assoggettamento ad IVA del distacco del personale
rilevato che:
dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: F.P. OY, società con sede in Finlandia, aveva presentato un’istanza di rimborso dell’Iva corrisposta in favore della società controllata F.P. Italia s.r.l. che aveva emesso fatture a titolo di rimborso del costo del personale distaccato presso la suddetta società controllante; l’Agenzia delle entrate aveva parzialmente rigettato l’istanza, sia in quanto l’operazione era irrilevante ai fini Iva, poiché le fatture esponevano il mero riaddebito dei costi, sia perché non risultava che le due società avessero concluso un contratto sottostate l’emissione delle fatture e fonte dell’obbligo di rimborso dei costi del personale distaccato e, infine, per difetto dei requisiti di inerenza; avverso il provvedimento di parziale diniego la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara che lo aveva rigettato; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: in punto di fatto, dall’esame del contratto dell’l giugno 2006 si evinceva che il costo del personale distaccato presso la controllante finlandese doveva essere maggiorato del 5% (c.d. mark up) e che la prestazione lavorativa resa era strumentale alla gestione del c.d. Tech center da parte della società controllante; in punto di diritto, l’addebito di un corrispettivo della prestazione lavorativa maggiore del costo sostenuto dalla distaccante rendeva l’intera operazione (non solo l’eccedenza rispetto al costo) soggetta ad Iva;
avverso la pronuncia del giudice del gravame ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a sei motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;
con ordinanza del 14 novembre 2019, questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo, al fine di attendere gli esiti della questione pregiudiziale prospettata alla Corte di Giustizia dalla Corte di cassazione con l’ordinanza interlocutoria 29 gennaio 2019, n. 2385; la contribuente ha depositato ulteriore memoria;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’ art . 38bis2 e dell’art. 19, d.P.R. n. 633/1972;
in particolare, parte ricorrente evidenzia l’erroneità della pronuncia del giudice del gravame, in quanto non avrebbe tenuto conto del fatto che, ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso dell’Iva, è necessario che sussista il presupposto di detraibilità, cioè, in particolare, che l’operazione sia soggetta ad Iva, situazione non riscontrabile nella fattispecie, in quanto le operazioni fatturate erano relative al riaddebito di costi per prestiti o distacchi di personale che non sono assoggettate all’imposta quando sia riversato solamente il rimborso del relativo costo;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per avere erroneamente riconosciuto il diritto al rimborso Iva, senza considerare che, invece, questo poteva essere riconosciuto solo relativamente all’importo eccedente il mero costo del personale;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono infondati;
la questione di fondo relativa alla presente controversia attiene alla sussistenza del diritto al rimborso del costo del personale della società controllata distaccato presso la società controllante e, in particolare, quale sia il trattamento ai fini Iva del distacco del personale fronteggiato dal rimborso dei relativi costi e, quindi, della configurabilità di tale operazione come imponibile;
sul punto, occorre dato atto che, nelle more del giudizio, è intervenuta la Corte di Giustizia con la sentenza 11 marzo 2020, in C-94/19, San Domenico Vetraria Spa, la quale ha stabilito che “la Sesta Dir. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, art. 2, punto 1, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale” nella specie proprio la l. n. 6 7 del 1988, art. 8, comma 35, “in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente“;
è quindi, rilevante, facendo applicazione del suddetto principio, che la prestazione di servizi, come definita dalla Sesta Dir., art. 2, punto 1, (che si specchia nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3), sia da ritenere onerosa, e quindi imponibile, condizione che ricorre ove sia ravvisabile un nesso di corrispettività tra servizio reso e somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività (Cass. civ., 19 luglio 2021, n. 20589);
è dunque irrilevante l’importo del corrispettivo, ossia che sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto nell’ambito della fornitura della sua prestazione;
sotto tale profilo, non correttamente parte ricorrente evidenzia, con il primo motivo di ricorso, che le operazioni fatturate relative al riaddebito di costi per prestiti di personale distaccato non siano assoggettabili ad Iva, con conseguente legittimità del diniego di rimborso, qualora sia riversato solamente il rimborso del relativo costo, posto che, come detto, è irrilevante l’importo del corrispettivo, dovendosi, invece, porre l’attenzione sulla onerosità o meno della prestazione, profilo non coltivato dalla ricorrente con il presente ricorso, che, invero, ha posto unicamente l’attenzione sulla eventuale sussistenza del diritto al rimborso per la somma eccedente il mero costo del personale;
priva di rilievo, inoltre, è la considerazione, pur espressa nell’ambito del primo motivo di ricorso, della insussistenza del diritto al rimborso Iva quando la stessa sia stata fatturata per errore: come detto, la richiesta di rimborso Iva attiene, nel caso di specie, all’intero costo riaddebitato, sicchè la pretesa si colloca al di fuori dell’ipotesi della erronea indicazione in fattura;
le considerazioni espresse conducono, inoltre, a ritenere infondato anche il secondo motivo di ricorso;
la censura prospettata, invero, postula che il giudice del gravame, pronunciando sulla sussistenza del diritto al rimborso Iva, sarebbe andato ultrapetita, in quanto si sarebbe limitato al riconoscimento del suddetto diritto sulla base della mera considerazione del fatto che l’Iva era stata esposta nelle fatture, senza considerare, invece, che questo diritto non poteva essere riconosciuto se non per la parte del costo che eccede il mero rimborso;
in realtà, va ribadito che il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi) emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato) oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. civ., 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. civ., 24 settembre 2015, n. 18868);
nella fattispecie, la questione della presente controversia aveva riguardo alla contestazione della contribuente del diniego di rimborso Iva per l’intero costo del personale riaddebitato dalla controllata ed è su questa specifica questione che il giudice ha dato risposta con la pronuncia censurata, ritenendo che il diritto al rimborso doveva essere riconosciuto anche relativamente al mero costo del personale, non già solo limitatamente all’eccedenza;
con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546/1992, per illogicità e contraddittorietà della motivazione;
evidenzia parte ricorrente che il giudice del gravame avrebbe tenuto conto solo della natura del tributo, senza prestare attenzione alla prova sull’operazione risultante dalle fatture e senza pronunciarsi sulla carenza dei requisiti per l’esercizio del diritto al rimborso Iva; evidenzia, inoltre, che il giudice del gravame non avrebbe sufficientemente motivato in ordine a quali elementi ha ritenuto idonei ai fini della dimostrazione dell’operazione;
il motivo è inammissibile;
questa Corte (Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) ha più volte precisato che, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., prevista dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54, è venuto meno il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, non correttamente, pertanto, invocato dalla ricorrente, e resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata;
il profilo di censura, che pone l’attenzione sulla contraddittorietà della sentenza, non può essere seguito, in quanto non può dirsi sussistente, sotto il piano logico, una contraddittorietà nella pronuncia del giudice del gravame, il quale, dopo avere esaminato il rapporto negoziale esistente tra le parti, ha ritenuto che l’intera operazione fosse soggetta ad Iva, in quanto l’addebito del corrispettivo della prestazione lavorativa maggiore del costo sostenuto dalla distaccante comportava, sul piano del diritto, che l’intera operazione, non solo quella eccedente rispetto al costo, fosse soggetta all’Iva;
con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, cod. civ., per non avere posto a carico della contribuente l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per la legittima richiesta di rimborso dell’Iva, tenuto conto del fatto che quest’ultima non aveva prodotto alcun elemento di prova idoneo a dimostrare che sussistesse un contratto da cui potere evincere che il costo del personale distaccato fosse comprensivo di una maggiorazione del cinque per cento;
il motivo è inammissibile;
lo stesso, invero, risente della non corretta impostazione difensiva, già confutata in sede di esame del primo e secondo motivo di ricorso, secondo cui solo la maggiorazione del costo del personale avrebbe potuto essere ritenuto rimborsabile ai fini IVA;
in realtà, si è già osservato che dalla pronuncia della Corte di giustizia indicata si ricava il principio che, ai fini della imponibilità Iva del costo sostenuto per l’utilizzo di personale distaccato, è irrilevante l’importo del corrispettivo, dovendosi, invece, porre l’attenzione sulla onerosità o meno della prestazione, profilo non coltivato dalla ricorrente con il presente motivo;
d’altro lato, la censura in esame si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame secondo cui “dal contratto in data 1 giugno 2006 {…) si evince che il costo del personale distaccato dalla controllata italiana presso la controllante finlandese doveva essere convenzionalmente maggiorata del 5% (c.d. mark-up)’ sicchè, diversamente da quanto sostenuto con il presente motivo, in sentenza è stato specificamente preso in considerazione il regolamento negoziale ai fini del riaddebito dei costi;
sotto questo profilo, non può ragionarsi né in termini di alterazione dei principi relativi alla corretta ripartizione dell’onere della prova, avendo il giudice del gravame accertato che era effettiva l’operazione negoziale per la quale era stato richiesto il rimborso dell’Iva fatturata, né di non corretta applicazione delle regole presuntive, avendo il giudice del gravame dato rilevanza al contratto, specificando che lo stesso non era stato contestato dall’ufficio, neppure nella versione tradotta in lingua italiana;
la questione, infine, della mancanza di sottoscrizione o di approvazione della controparte, oltre che priva di autosufficienza, tende a contrastare, in modo non ammissibile, l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame sulla rilevanza della prova documentale;
con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546/1992, per vizio di motivazione apparente, per non avere esplicitato le ragioni per le quali non erano accoglibili le eccezioni di fatto e di diritto prospettate dall’Agenzia delle entrate in appello, secondo cui occorreva accertare, sulla base della prova documentale, che solo la parte eccedente rispetto al costo rimborsato e per non avere indicato la fonte del proprio convincimento;
il motivo è infondato;
anche con riferimento al presente motivo di censura va osservato che il contenuto dello stesso risente della non corretta impostazione difensiva, già confutata in sede di esame del primo e secondo motivo di ricorso, secondo cui solo la maggiorazione del costo del personale avrebbe potuto essere ritenuto rimborsabile ai fini Iva;
in realtà, il giudice del gravame, come visto, ha chiaramente argomentato, sotto il profilo logico, sulle ragioni della legittimità del rimborso Iva, in quanto, dopo avere esaminato il rapporto negoziale esistente tra le parti, ha ritenuto che l’intera operazione fosse soggetta ad Iva, in quanto l’addebito del corrispettivo della prestazione lavorativa maggiore del costo sostenuto dalla distaccante comportava, sul piano del diritto, che l’intera operazione, non solo quella eccedente rispetto al costo, fosse soggetta all’Iva;
con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, non essendo stato stipulato tra la contribuente e la società controllata alcun contratto specifico che legittimasse l’onere di pagamento dei costi per il personale distaccato e che, inoltre, del compenso del cinque per cento non vi era alcuna indicazione separata nelle fatture; evidenzia, inoltre, che la produzione documentale era inammissibile in quanto prodotta in appello;
il motivo è inammissibile;
va ribadito, in primo luogo, che a seguito della nuova formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., prevista dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54, è venuto meno il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, non correttamente, pertanto, invocato dalla ricorrente (Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);
la questione, peraltro, della valenza ai fini probatori del contratto stipulato tra la contraente e la controllata è stata risolta dal giudice del gravame che, pertanto, ha compiuto un accertamento in fatto, che risultava agli atti la prova documentale del contratto il cui contenuto, peraltro, non era stato contestato dall’amministrazione finanziaria;
la questione, infine, della inammissibilità della produzione documentale in appello fuoriesce dall’ambito specifico della censura proposta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., poiché attiene, piuttosto, ad una eventuale violazione della legge processuale;
in conclusione, sono infondati il primo, secondo e quinto motivo, inammissibili i restanti, con conseguente rigetto del ricorso;
ai fini delle spese, le stesse vanno compensate, attesa la formazione della giurisprudenza della Corte di giustizia, sopra citata, in data successiva alla presentazione del presente ricorso.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.