CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 1095 depositata il 16 gennaio 2023
Lavoro – Rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Rapporti a tempo determinato formalizzati come collaborazione autonoma – Licenziamento – Nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro autonomo – Rigetto
Fatti di causa
1. Con ricorso depositato il 27.10.2011, Q.G. conveniva innanzi al Tribunale di Livorno la T.G. s.p.a., chiedendo di: 1. Accertare e dichiarare che tra la T.G. e lui era stato instaurato un rapporto di lavoro a carattere subordinato a tempo indeterminato a partire dal 28.1.2008; 2. In conseguenza dell’accertata e dichiarata conversione del rapporto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannare la convenuta al pagamento dell’indennità di cui al comma 5 dell’art. 32 L. 183/2010 nella misura massima di 12 mensilità avuto riguardo alla retribuzione globale di fatto pari ad € 1.785,00; 3. Accertare e dichiarare in tesi che la comunicazione sms in data 3.11.2011 si atteggiava quale licenziamento inefficace e/o nullo e che comunque si era realizzata un’estromissione di fatto dall’azienda; in ipotesi accertare e dichiarare che il licenziamento era comunque illegittimo e/o invalido; 4. Per effetto di quanto accertato sub 3, ordinare la reintegra e/o il ripristino del Q. nel posto di lavoro precedentemente occupato, con condanna della società convenuta al pagamento di un’indennità a titolo di risarcimento del danno commisurata alla retribuzione globale di fatto pari ad € 1.785,00, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra, in ogni caso non inferiore a 5 mensilità; 5. Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a far data dal 28.1.2008 all’inquadramento professionale di cui al 30 livello del CCNL Commercio-Servizi, con conseguente condanna della società convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 25.433,92 al lordo delle ritenute di legge, somma dovuta per spettanze non percepite, come dettagliate in conteggi allegati agli atti e derivanti dalla natura subordinata del rapporto, relativa al periodo 28.1.2008-31.12.2010 (o quella diversa somma accertata in corso di causa), oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme rivalutate dalla maturazione del credito sino all’effettivo soddisfo; 6. Accertare che il trattamento di fine rapporto cui aveva diritto il ricorrente a vedersi accantonato alla data del 31.12.2010 ammontava ad € 5.571,12 al lordo (o quella diversa somma accertata in corso di causa), anche tenendo conto dei futuri accantonamenti; 7. Condannare la convenuta a ricostruire la corretta posizione contributiva ed assistenziale del ricorrente presso il Fondo di Previdenza Lavoratori Dipendenti gestito dall’INPS.
2. Costituitasi la convenuta che contestava tali domande, il Tribunale adito declinava la propria competenza per territorio in favore del Tribunale di Pisa, dinanzi al quale il giudizio veniva riassunto e istruito, e che, con sentenza in data 2.10.2014, rigettava il ricorso, condannando il Q. a rimborsare alla T.G. le spese di lite.
3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Firenze, in accoglimento dell’impugnazione del Q., e in riforma della sentenza del primo giudice, dichiarava che tra il Q. e la T.G. s.p.a. “intercorre” rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dall’1.2.2008, e inquadramento nel III livello del CCNL Commercio; condannava la T.G. al pagamento, in favore del Q., dell’importo complessivo di € 90.550,01, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali ex art. 429 c.p.c.; dichiarava che il trattamento di fine rapporto maturato da Q.G. alla data del 31.12.2010 ammontava a € 5.081,01, e che egli aveva diritto alla regolarizzazione della posizione contributiva, previdenziale e assistenziale; condannava, infine, l’appellata al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese processuali del doppio grado di giudizio, come liquidate.
4. Per quanto qui ora soprattutto interessa, la Corte territoriale, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice, reputava provata la natura subordinata e a tempo indeterminato del rapporto lavorativo dedotto in causa, pur non ritenendo ravvisabile una conversione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, e ritenendo infondato il capo di domanda avente ad oggetto l’indennità ex art. 32, comma 5, L. 183/2010. Quantificava, inoltre, sulla base della C.T.U. contabile espletata, in € 90.550,79 l’ammontare del dovuto al lavoratore, a titolo di differenze retributive, per il periodo 28.1.2008-20.9.2016, detratto l’aliunde perceptum (cfr. pag. 4-5 della motivazione).
5. Avverso tale decisione la S. (già T.G.) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
6. Ha resistito l’intimato con controricorso.
7. Solo la ricorrente ha prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia “Vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2094, 2222 cod. civ. e 115, 116 cod. proc. civ.”. Deduce la ricorrente che “La sentenza della Corte d’Appello di Firenze ha totalmente omesso di esaminare un fatto decisivo che era certamente stato oggetto di discussione fra le parti, esprimendo, altresì, una chiara violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto”.
Sottolineato che l’attore aveva domandato, in primo luogo, il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato con l’attuale ricorrente, richiama diversi precedenti di legittimità in tema appunto di lavoro subordinato e della relativa prova, e sostiene che detta Corte “ha mostrato di fare applicazione dei suddetti principi solo apparentemente giacché, in concreto, la sentenza si è limitata a rilevare la potenziale compatibilità delle circostanze accertate con la tipologia del rapporto di lavoro subordinato, omettendo di considerare che il lavoratore deve dimostrare concretamente – e non solo teoricamente – la sua subordinazione”. Indi, riproduce in ricorso il brano censurato della sentenza impugnata (a pagg. 2-3 della stessa), ed assume che le circostanze ivi esaminate dalla Corte d’appello “non sono idonee a fondare il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro atteso che non investono i requisiti fondamentali del rapporto di lavoro subordinato: il potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro”, omettendo, inoltre, “di esaminare un fatto decisivo che era certamente stato oggetto di discussione fra le parti: la direzione e il controllo dell’operato del ricorrente, in particolare da parte del sig. A. B.M. (direttore dell’area sistemi e responsabile dell’area giustizia all’interno di T.G.)”, ossia, del soggetto che, secondo la tesi del ricorrente, era “deputato a dirigere e controllare l’operato del ricorrente”. A quest’ultimo proposito, riproduce i punti degli atti processuali dai quali si ricavava appunto che l’attore aveva allegato detta circostanza e che, per contro, la convenuta l’aveva espressamente contestata. Sempre in tal senso, richiama sia passi della sentenza di primo grado che dichiarazioni testimoniali.
2. Con il secondo motivo, denuncia “Vizio di nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.”. Riportato altro passo della motivazione resa dalla Corte territoriale e riportate, altresì, le conclusioni che la controparte aveva rassegnato sin dal ricorso introduttivo, sostiene che “dall’esame delle conclusioni e delle deduzioni avversarie … emerge che il petitum è da individuarsi nell’applicazione dell’art. 32, c. 5, L. n. 183/2010 e nell’applicazione della tutela reale e che la causa petendi deve rinvenirsi nel riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, nell’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro e, infine, nell’illegittimità dell’atto di recesso …”, ma che: “Al contrario, la sentenza della Corte d’Appello ha, da un lato, escluso l’applicabilità dell’art. 32, L. n. 183/2010 e, dall’altro, escluso la presenza di un atto di recesso (valido o meno), accertando la “persistenza” del rapporto e condannando la società al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate”. Di talché sarebbe palese la violazione dell’art. 112 c.p.c.
3. Con un terzo motivo, denuncia “Vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, c. 5, L. n. 183/2010, nonché degli artt. 1, 3, 5, c. 4, d.lgs. n. 368/2001 e 1218 e ss. cod. civ.”. Secondo la ricorrente, sarebbe “palese la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, c. 5, L. n. 183/2010, giacché nella specie, alla ritenuta qualificazione del rapporto come subordinato e contestuale nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro autonomo, sarebbe dovuta discendere — come, tra l’altro, richiesto dal ricorrente (punto 2 delle conclusioni di parte ricorrente, come riprodotte) — l’applicazione della suddetta disposizione e non la persistenza del rapporto di lavoro con diritto al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate”.
4. Il primo motivo è privo di qualsiasi fondamento.
4.1. Secondo un costante orientamento di questa Corte, quanto allo schema normativo di cui all’art. 2094 c.c., costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicché, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria. Tali elementi, lungi dall’assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatto oggetto di un valutazione complessiva e globale (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 27.9.2019, n. 24154, ed ivi in motivazione i precedenti di legittimità, anche a Sezioni Unite, in senso conforme).
4.2. Orbene, la censura in esame di tali principi prende in considerazione solo la prima parte, e non anche la seconda circa la possibilità di provare la sussistenza degli estremi del rapporto subordinato attraverso una prova presuntiva, che si avvalga di elementi di natura indiziaria; il che è appunto quanto la Corte territoriale ha ritenuto così dimostrato nel caso in esame.
4.3. Più in particolare, il giudice di secondo grado ha ben tenuto conto che il Tribunale aveva ritenuto “che l’istruttoria non abbia provato l’eterodirezione delle prestazioni lavorative” dell’attore, ed ha dato conto che quest’ultimo, con l’unico motivo d’appello, aveva impugnato “la sentenza di primo grado, sostenendo che dal complesso degli elementi acquisiti emerge la prova della natura subordinata del rapporto di lavoro” (cfr. pag. 2 della decisione qui impugnata).
Quindi, ha considerato pacifico in fatto “che l’appellante ha svolto attività di assistente informatico di natura sistemistica, presso gli uffici giudiziari di Arezzo, in base a una serie di contratti di lavoro autonomo stipulati con T.G. S.p.A.” (cfr. sempre a pag. 2).
4.4. Tanto premesso e ritenuto, la Corte di merito ha considerato “configurabile la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato tra le parti in quanto:
– i contratti di lavoro autonomo (denominati incarichi di consulenza) indicano in maniera del tutto generica l’oggetto della prestazione del collaboratore;
– conseguentemente, nonostante l’espressa qualificazione del rapporto come autonomo, dal tenore testuale dei contratti non sono desumibili elementi contrastanti con la sussistenza di subordinazione, che, anzi, trova un elemento di conferma nella pattuizione di un compenso commisurato alle giornate lavorative;
– è incontroverso che Q.G. si avvalesse di strumenti di lavoro forniti da T.G. S.p.A., con conseguente insussistenza di rischio economico del prestatore;
– il prospetto riepilogativo prodotto dall’appellante prova che T.G. S.p.A. esercitava un controllo sull’entità oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del collaboratore;
– tale controllo, anche ove funzionale a a rendicontazione dell’assistenza svolta da T.G. S.p.A. per il Ministero della Giustizia, denota comunque che oggetto della prestazione dell’appellante era la messa a disposizione de la propria attività lavorativa nell’ambito del servizio di assistenza informatica fornito dalla società appellante;
– il fatto che l’appellante operasse, di norma, sulla base delle richieste di intervento ricevute da parte degli uffici giudiziari non esclude la subordinazione, rinvenibile nella propria disponibilità ad assicurare l’assistenza sistemistica nell’arco temporale richiesto da T.G. S.p.A. in relazione agli obblighi assunti dalla società nei confronti dell’amministrazione committente;
– va quindi ritenuta provata la natura subordinata del rapporto di lavoro, che trova ulteriore conferma nel fatto che funzioni del tutto analoghe erano affidate, presso altro ufficio giudiziario, a un tecnico dipendente di T.G. S.p.A. (cfr. teste R.)”.
4.5. E’ chiaro, dunque, che la Corte distrettuale, non avendo trovato prova diretta della c.d. eterodirezione (prova esclusa dal primo Giudice), come peraltro specificamente richiesto dal lavoratore, allora appellante, ha fatto ricorso ad elementi indiziari, significativi della subordinazione nel caso particolare. Dall’esposizione testé riportata di quegli elementi, emerge in modo evidente che trattasi di elementi in gran parte corrispondenti a quelli ricordati, tra gli altri, nella sentenza di questa Sezione sopra richiamata, e che non si è in presenza di circostanze semplicemente compatibili con il rapporto di lavoro subordinato, come invece sostenuto dall’impugnante.
4.6. Più nello specifico, la Corte di merito non ha mancato di considerare immediatamente la qualificazione data dalle parti al loro rapporto, anzi, ai rapporti (trattandosi di plurimi incarichi di consulenza apparentemente di natura autonoma); qualificazione che, come specificato da questa Sezione, pur non vincolante ed esaustiva ai fini della decisione, rappresenta comunque sempre il punto di partenza dell’indagine del giudice (cfr., ad es., Cass. civ., sez. lav., 14.6.2021, n. 16720). Ha, tuttavia, posto in luce l’estrema genericità dell’indicazione nei contratti di lavoro dell’oggetto della prestazione, e non quindi la presenza in essi dell’indicazione di un risultato, che poteva addirsi a rapporti di lavoro autonomo.
Di seguito, la Corte fiorentina si è soffermata sulle ulteriori emergenze su riportate, in particolare sul controllo esercitato da T.G. sull’entità oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del collaboratore (il cui compenso, del resto, era commisurato alle giornate lavorative); ogni volta, evidenziando la significanza di ciascuno degli elementi in questione, e non mancando di esprimere un apprezzamento complessivo e globale degli stessi.
4.7. Osserva allora il Collegio che la ricorrente, da un lato, non pone in dubbio nessuno di tali elementi sul piano fattuale e probatorio, nei limiti in cui tanto possa essere consentito in questa sede di legittimità, e, dall’altro, neppure deduce che taluni di essi non rientrino tra quelli che possono essere valorizzati ai fini della prova indiziaria della subordinazione.
Infine, ciò che, a detta della ricorrente, la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare, ossia, la direzione e il controllo dell’operato dell’attore da parte di A. B.M., non è un fatto, bensì una deduzione dell’istante, che, come tale, non era stata ritenuta riscontrata già dal primo giudice; il quale, come pure già riferito, aveva più in generale escluso l’eterodirezione del Q. da parte della T.G., non senza notare che, secondo quanto poco fa evidenziato, il giudice d’appello aveva reputato dimostrato che vi era un controllo sull’entità oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del Q., magari non esercitato dal M. in prima persona, ma comunque dalla società che aveva ripetutamente incaricato il Q..
5. Parimenti infondato è il secondo motivo.
5.1. L’ultrapetizione o l’extrapetizione che ivi profila la ricorrente non è assolutamente riscontrabile nella decisione gravata.
E’ sufficiente in tal senso constatare che, come chiaramente si trae dal testo della stessa, si è in presenza di un accoglimento parziale di talune delle diverse e numerose domande, principali e subordinate, spiegate dall’attore nel ricorso introduttivo del giudizio.
Più in particolare, avendo la Corte territoriale giudicato “infondato il capo di domanda avente a oggetto l’indennità ex art. 32, V co., L. 183/2010” (cfr. alla fine di pag. 3, ma v. anche infra in relazione al terzo motivo di ricorso), ed avendo altresì escluso l’applicabilità al caso della tutela reale ex art. 18 L. n. 300/1970, sollecitata dall’appellante, nonché la prova di un licenziamento orale, la stessa ha scritto che: “ne consegue in difetto di prova di un valido atto risolutivo del rapporto e considerata la documentata immediata richiesta di ripresa dell’attività lavorativa (cfr. Cass. 9.9.2011 n. 18523), che deve ritenersi la persistenza del rapporto di lavoro subordinato inter partes, con diritto di Q.G. alle retribuzioni dalla formale offerta della prestazione lavorativa, effettuata il 28.1.2011 (doc. 12 Q.G.)” (così a pag. 4 della sentenza oggetto di ricorso).
Ebbene, tale approdo della Corte territoriale (tradottosi nel dispositivo di sentenza nel capo in cui è dichiarato che inter partes “intercorre rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, con adozione di indicativo presente precisamente volto a significare l’esistenza anche all’attualità di tale rapporto), in chiave di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., è sorretto proprio dalla prima e principale conclusione formulata dall’attuale controricorrente nel ricorso introduttivo. Invero, è la stessa ricorrente a ricordare a più riprese nell’atto d’impugnazione in esame che il Q. aveva anzitutto chiesto di: “1. Accertare e dichiarare che tra la T.G. spa ed il Sig. Q. è instaurato un rapporto di lavoro a carattere subordinato a tempo indeterminato a partire dal 28.1.08”, quindi, secondo la principale prospettazione dell’attore, senza un dies ad quem o altro genere di cesura del rapporto stesso.
6. Pure la terza doglianza della ricorrente non è fondata.
6.1. Anche in questo caso sarebbe sufficiente rilevare che la Corte fiorentina aveva scritto: “- trattandosi di rapporti a tempo determinato formalizzati come collaborazione autonoma, l’accertamento della natura subordinata determina la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in difetto delle condizioni previste dal D.Lgs. 368/2001 per la legittimità delle assunzioni a termine; – non essendo, pertanto, configurabile conversione di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, è infondato il capo di domanda avente a oggetto l’indennità ex art. 32 V co., L. 183/2010”.
Devesi ricordare, infatti, che il comma 5 dell’art. 32 L. n. 183 del 2010, successivamente abrogato, ma in ipotesi applicabile ratione temporis ai rapporti che ci occupano, recitava: “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
Orbene, correttamente la Corte territoriale ha escluso che nel caso di specie potesse trovare applicazione il cit. art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, che si riferisce ad ipotesi di conversione in senso tecnico di contratti a tempo determinato, mentre nella fattispecie non era stata accertata alcuna nullità dei contratti dichiaratamente di natura autonoma intercorsi tra le parti o dei termini presenti in essi, né era stata operata un’ipotetica conversione di essi contratti in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nel caso in esame era stato piuttosto ritenuto che detti contratti formalmente di natura autonoma (ma non illegittimi o altrimenti invalidi) fossero da qualificare come unitario rapporto di natura subordinata e a tempo indeterminato.
Vanamente, perciò, la ricorrente evidenzia che a tutti i contratti di consulenza stipulati tra le parti fosse apposto un termine e che gli stessi si fossero succeduti senza soluzione di continuo (cfr. pagg. 21- 23 del ricorso).
In disparte la considerazione che in parte qua la censura comporta una ricognizione anzitutto di aspetti di fatto, preclusa in questa sede, appare dirimente il rilievo che questa Corte ha ritenuto inapplicabile il cit. art. 32, comma 5, alla fattispecie ad esso estranea di un rapporto di lavoro autonomo accertato (ab origine, per fictio juris) di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato sotto lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 17.12.2020, n. 29006, la quale, in motivazione, richiama Cass. n. 20209/2016), come nel caso che ci occupa. E’ stato, infatti, specificato che la suddetta disciplina riguarda “i contratti a termine e le altre tipologie contrattuali previste dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 3 e 4, tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo, non potendo neppure invocarsi la disciplina di cui al citato comma 4, lett. d)” (così in parte motiva l’ora cit. decisione di questa Sezione).
7. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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