Corte di Cassazione ordinanza n. 11021 depositata il 5 aprile 2022
Contenzioso tributario – emendabilità della dichiarazione – IVA non riportata in dichiarazione e/o liquidazione è sempre rimborsabile
Fatti di Causa
La vicenda giudiziaria trae origine dal silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso presentata dal contribuente , a seguito di errore formale contenuta nella dichiarazione fiscale.
Avverso il silenzio rifiuto, la società Il Regno delle Carni srl proponeva formale impugnazione e la ctp , non essendo stato contestato la legittimità del rimborso, l’accoglieva .
La CTR, considerato reale il credito di imposta, confermava la decisione di primo grado.
Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso in cassazione, la Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo così sintetizzabile :
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 comma 2 del Dlgs 546/92 in combinato disposto con l’art. 2 comma 8 e 8 bis DPr 322/98 36 in relazione all’art. 360 comma 1 n3 cpc.
Non si costituiva il controricorrente.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo proposto la ricorrente Agenzia deduce il vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata , avendo riconosciuto il rimborso fiscale senza che il contribuente avesse effettuato la dichiarazione integrativa come disposto dall’art. 2 comma 8 e 8 bis dpr n. 322/98.
Tale prospettazione appare infondata. Questa Corte ha più volte affermato, che la domanda di rimborso o restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente è da considerarsi già presentata con compilazione nella dichiarazione annuale del relativo quadro, che configura formale esercizio del diritto –
La Ctr ha avuto modo di accertare , sulla base dei documenti , che il credito fiscale della società si era formato con la presentazione della dichiarazione fiscale relativa all’anno di imposta 2004 presentata nel 2005 (passo riportato anche dal ricorrente impugnante ).
Come si vede tale dichiarazione, in base a quanto accertato dal giudice di merito , conteneva la manifestazione di volontà del riconoscimento del credito di imposta, e tale manifestazione di volontà costituiva condizione imprescindibile e sufficiente per il suo accoglimento, realizzandosi il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuz10ne del rimborso (20678/14). Tale dichiarazione ,nel suo nucleo contiene la volontà di non perdere il credito. Questa Suprema Corte ha stabilito che anche il mancato computo dell’imposta ai fini Iva nelle liquidazioni periodiche e nella dichiarazione annuale poteva comportare la perdita del diritto alla detrazione, ma non di quello al rimborso, comunque dovuto in assenza di una norma sanzionatoria al riguardo (C.Cass.1995/ 734, 1998/ 2063 e 2001/ 1823). Inoltre in materia di imposte sui redditi, il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, opera limitatamente all’indicazione in dichiarazione di fatti diversi da quelli già dichiarati (e tali da determinare un maggior reddito, o, comunque un maggior debito d’imposta o un minor credito), mentre nel caso nessun fatto fiscalmente rilevante era stato omesso dal contribuente, vertendosi nell’ipotesi di errore materiale facilmente rilevabile.
Ricordiamo che nel processo tributario, l’obbligo dell’Amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni degli artt. 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d’ufficio quei documenti che, già in possesso dell’Amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l’espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale. (vedi in senso analogo Cass. n. 21956 del 2010; cfr. già Cass. nn. 21209 del 2004, 22775 del 2009). Appare evidente che nel caso in questione il credito vantato dal contribuente nasce dalla legge e ribadito nella dichiarazione , e quindi una volta dimostrato l’effettiva esistenza del credito, l’Amministrazione finanziaria non può negare il rimborso. Orbene, nel caso di specie, è pacifico che il disconoscimento sia stato operato non per contestazione di merito, ma sul mero riscontro formale dell’errore mater.iale non emendato e cioè per motivi formali e non sostanziali, sicchè correttamente i primi giudici avevano giustamente fatto prevalere la sostanza sulla forma.
A tal fine è sufficiente ricordare che la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto commesso dal dichiarante nella sua redazione, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Del resto ove non si consentisse la interpretazione dell’errore materiale , la dichiarazione darebbe luogo a un pre1ievo fiscale indebito, incompatibile con 1 principi costituzionali della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., comma 1, e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost, comma 1 ( Cass. 2226/11, 1707/07, 22021/06,) .. Tali principi sono stati altresì di recente ulteriormente precisati ritenendo che il termine annuale di cui all’art. 2 comma 8 bis del d.p.r. 322/1998, previsto per la presentazione della dichiarazione integrativa è finalizzata all’utilizzo in compensazione il credito eventualmente risultante, ma non interferisce sul rimborso come nel caso.
Poiché la Agenzia ricorrente non ha contestato l’esistenza del credito come accertato dalla Ctr ,la quale ha fatto leva proprio su documenti depositati , nonché sulle dichiarazioni fiscali acquisite dalla P.a., limitandosi solo contestazioni formali , il ricorso va respinto .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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