Corte di Cassazione ordinanza n. 11262 depositata il 7 aprile 2022

accertamento standardizzato – contenzioso tributario

FATTI DI CAUSA 

1. Con sentenza n. 28/11/2013, depositata in data 4 dicembre 2013, non notificata, la Commissione tributariia regionale della Lombardia, rigettava l’appello proposto da M. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,  nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 8/17/13 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società, esercente attività di bar, avverso l’avviso di accertamento n. T9D032L06469/2011 con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. del verificatori ai sensi degli artt. 41-bis del d.P.R. n. 600/73, 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, convertito dalla legge n.  427 del 1993, aveva  contestato  nei confronti di quest’ultima, per l’anno 2007, maggiori ricavi, ai fini Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni, in considerazione dell’applicazione di una percentuale di ricarico  (del 46,71%)  incongrua  rispetto a quella  propria  (dal minimo del 98% al massimo del 232%) dello studio di settore di riferimento. 

2. In punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva contestato a M. s.r.l. un maggior  reddito di impresa, ai fini Ires, Irap e Iva  per l’anno 2007, in applicazione degli studi di settore, la contribuente  aveva proposto ricorso alla CTP  di  Milano,  deducendo:  a)  l’illegittimità dell’atto impositivo per mancanza del presupposto di cui  all’art.  62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331/93 cit., in relazione  alla  contestata “grave incongruenza” tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’applicazione degli studi  di settore;  b)  la  mancata  considerazione da parte dell’Ufficio, nella applicazione  dello  studio  di  settore, dell’attività effettivamente esercitata dallla contribuente di gestione di una sala da gioco; c) nel merito, l’illegittima  determinazione presuntiva dei maggiori ricavi; 2) con sentenza n. 8/17/13, la CTR di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo del 50% la pretesa fiscale; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società contribuente deducendo la contraddittorietà della motivazione, la violazione degli artt. 2697 e 39,  comma  l,  lett. d) del d.P.R.  n.  600/73, e riproponendo le eccezioni già sollevate in primo grado; 4) aveva controdedotto l’Ufficio eccependo l’inammissibilità del  gravame  per difetto di motivi specifici e chiedendo, nel merito, la conferma della sentenza impugnata.

3. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) le censure dell’appellante erano specifiche in ossequio all’art. 53 del d.lgs. n. 546/92; 2) in ordine alle eccezioni di illegittimità dell’avviso di accertamento, già rigettate dalla CTP e riproposte dalla contribuente in appello, non si ravvisavano elementi tali da comportare la modifica del giudizio espresso in sede di primo grado; 3) nel merito, i calcoli dell’Ufficio si erano basati sul consumo di prodotti venduti nell’attività di bar, in base alle quantità fornite dallo stesso contribuente; quanto alla contestata applicazione della dose unitaria nella preparazione dei cocktail, l’Ufficio aveva rettificato e ridotto il numero dei cocktail venduti; atteso che la determinazione dei maggiori ricavi era stata effettuata in base ai consumi delle materie prime per “l’attività di bar e tavola calda e fredda” esercitata dalla contribuente, non assumeva alcuna rilevanza  la ulteriore attività di giochi per la quale la contribuente aveva richiesto l’applicazione di un cluster diverso; 4) l’eccezione relativa all’applicazione dell’aliquota di ricarico risultava superata dalla effettuata riduzione al 50% dei valori accertati dall’Ufficio già operata dal giudice di primo grado.

4. Avverso la sentenza della CTR, la società propone ricorso per cassazione affidato a dodici motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate

5. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell’art. 23, comma 8bis del D.L. 28/10/2020, n. 137 come convertito, con , dalla legge 18/ 12/ 2020 n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la CTR pronunciato sui motivi di appello con cui erano  stati  dedotti  la  contraddittorietà  della  sentenza di primo grado nonché la violazione e falsa applicazione  degli artt. 2697 e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73.

Premesso l’assolvimento da parte della contribuente dell’onere, in punto di autosufficienza, di riportare in ricorso le suddette doglianze proposte in sede di gravame (pagg. 7-8), il motivo è infondato.

Premesso che per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia(Cass. Cass. 1237 del 2018; Cass. n. n. da 21424 a 21428 del 2017, conf. n. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011), nella specie, la CTR,  dopo avere  riportato, nella  parte in fatto, espressamente  i motivi di appello concernenti la assunta illegittimità della sentenza di primo grado per contraddittorietà della  motivazione  e  per  violazione  degli artt. 2697 e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, ha rigettato l’appello della contribuente, con ciò implicitamente disattendendo le suddette doglianze.

2. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la CTR pronunclato sulla eccepita illegittimità della sentenza di primo grado per omessa o insufficiente motivazione in ordine alla disposta riduzione del 50% dei valori accertati.

Premesso l’assolvimento da parte della contribuente dell’onere, in punto di autosufficienza, di riportare in ricorso la suddetta eccezione (pag. 9), il motivo è infondato.

Invero, la sentenza  impugnata,  nel  rigettare  l’appello  della contribuente, confermando la pronuncia di primo grado di accoglimento parziale del ricorso – con riduzione ciel 50% dei  valori  accertati dall’Ufficio ha disatteso  implicitamente  l’eccezione  di  vizio motivazionale della pronuncia della CTP sotto tale profilo.

3. Con il terzo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nella assunta illegittimità dell’avviso  di accertamento  in  questione per mancanza  del relativo presupposto  di cui all’art. 62-sexies, comma 3, del d.l. n. 331/93, anche in riferimento all’effettiva congruità della percentuale di ricarico rispetto allo studio di settore applicato (TG73U) e per violazione degli artt. 62, sexies, comma 3, cit. e 115 e 167 c.p.c.

Il motivo si profila inammissibile.

Il nuovo art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., «introduce nell’ordinamento un vizio specifico dlenunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza 5 non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Cass., S.U., n. 8053 del 2′.014). Pertanto, posto che al presente giudizio, avente ad oggetto una sentenza depositata il 4 dicembre 2013, è applicabile la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente, non ha assolto all’onere di dedurre l’omesso esame di un “fatto storico”, da iintendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, deducendo – quanto all’assunta illegittimità dell’atto impositivo per mancanza dei presupposti ex art. 62 sexies, comma 3, cit. e per violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c. – profili attinenti a «questioni» o «argomentazioni»  che,  pertanto,  risultano  irrilevanti  (ex  plurimis, Cass. Sez. 6 – 1, Ord. n. 22397 del 06/09/2019).

4. Con il quarto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331/93, 2697 e., 115 e 167 c.p.c. per avere la CTR ritenuto sussistere il presupposto legittimante dell’accertamento induttivo della “grave incongruenza” tra i redditi dichiarati e le risultanze dello studio di settore, ancorché l’Ufficio- a fronte di scritture contabili regolari e non dichiarate inattendibili- non avesse ritualmente contestato l’effettiva congruità (emergente dal Mod. Un. 2008) della percentuale di ricarico applicata dalla società rispetto allo studio di settore Modello TG37U (“bar e altri esercizi simili senza cucina”) e la contribuente avesse dimostrato la prevalenza dell’attività di “gestione di apparecchi automatici da svago, di giochi da t rat t enimento e da vincita” rispetto a quella di bar.

Il motivo è inammissibile.

Va premesso che, nella specifica materi21, questa Corte ha chiarito che “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività  – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In  tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (da ultimo, Cass. sez. 5, Sent. n. 9484 del 12/04/2017; n. 16114 del 2021).

Nella specie, la ricorrente, pur denunciando una violazione di legge, tende, in realtà, ad una inammissibile – in sede di legittimità – rivalutazione dei fatti di causa, in quanto il giudice di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha disatteso espressamente le “eccezioni di illegittimità dell’avviso impugnato” riproposte in sede di gravame dalla contribuente – tra le quali era ricompresa quella (richiamata, peraltro, nella parte in fatto) di assunta illegittimità per carenza del presupposto di cui all’art. 62 sexies, comma 3, cit. in relazione alla dedotta congruità della percentuale di ricarico rispetto allo studio di settore-ritenendo sostanzialmente sussistente il contestato presupposto legittimante l’accertamento in questione del grave scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore applicabile all’attività di bar con tavola fredda e/o calda con somministrazione di bevande, in base alla riscontrata palese inattendibilità della percentuale di ricarico applicata dalla contribuente (del 46,71%) rispetto a quella prevista, per quel tipo di attività, dallo studio di settore (tra la minima del  98% e la massima del 232%). Tanto più che, sotto questo profilo, la CTR ha precisato che l’altra “attività di giochi, per la quale la contribuente [aveva chiesto] l’applicazione di un cluster diverso non aveva alcuna importanza in quanto i calcoli dei maggiori ricavi [erano] stati effettuati sui consumi delle materie prime consumate per l’attività di bar e tavola calda e fredda” esercitata dalla contribuente (pag. 3 della sentenza impugnata). Al riguardo, va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito(Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018).

5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’utilizzo, nella determinazione dei ricavi, di una eccessiva percentuale di ricarico appartenente a un cluster inapplicabile alla fattispecie, avendo gli stessi verificatori rilevato che l’attività della contribuente non fosse soltanto una “atll:ività di bar con tavola fredda e/o calda con somministrazione di bevande” bensì una attività più complessa consistente, altresì, nella gestione di apparecchi automatici da svago, di giochi da trattenimento e da vincita, attività risultata addirittura prevalente.

Il motivo si profila inammissibile per le stesse argomentazioni svolte con riguardo al terzo motivo, non avendo la ricorrente dedotto l’omesso esame un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti a “questioni di diritto” che, pertanto, risultano irrilevanti.

6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 Cost., 2687 c.c., 115 e 167 c.p.c. per avere ritenuto la legittimità di un accertamento induttivo ancorché fosse fondato sull’applicazione di una eccessiva percentuale di ricarico appartenente a un cluster non riferibile alla fattispecie concreta.

Il motivo si profila inammissibile in quanto, pur denunciando, apparentemente, una violazione di norme di legge mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito che con un apprezzamento – non sindacabile in sede di legittimità – ha accertato che, essendo stato il calcolo dei maggiori ricavi effettuato dall’Ufficio soltanto in base al consumo dei prodotti venduti nell’attività di bar e tavola calda e fredda esercitata dalla contribuente, il riferimento all’attività di giochi per la quale quest’ultima aveva richiesto l’applicazione di un cluster diverso non assumeva alcuna rilevanza.

7. Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’assunta illegittimità  dell’accertamento induttivo in quanto fondato su di una erronea metodologia di determinazione presuntiva dei ricavi senza un’attività di verifica in loco delle circostanze e degli elementi di fatto relativi all’esercizio della specifica attività di impresa.

Il motivo è inammissibile per le medesime argomentazioni sottese ai motivi terzo e quinto, afferendo a “questioni giuridiche”, pertanto, sotto tale profilo, irrilevanti.

8. Con l’ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, 2697 c.c., 115 e 167 c.p.c. per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento induttivo fondato su di una erronea metodologia di determinazione presuntiva dei ricavi senza un’attività di verifica in loco delle circostanze e degli elementi di fatto relativi all’attività di impresa, e dunque, senza fare riferimento a fatti certi; peraltro, ad avviso della ricorrente, la circostanza della erroneità dei presupposti di fatto dell’accertamento presuntivo non era stata contestata specificamente dall’Ufficio che, in sede di controdeduzioni, si era limitato ad affermazioni di principio.

Il motivo è infondato.

Premesso che nell’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore assume rilievo centrale l’obbligatorietà del contradditorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli “standards” alla concreta realtà economica del contribuente; l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità delle elaborazioni statistiche al caso concreto,  da dimostrarsi dall’ente impositore,  quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone delle più ampie facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa: in tal caso, però, egli assume le conseguenze della propria inerzia, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito(Cass., sez. 5 , Sentenza n. 14981 del 15/07/2020), nella specie, in ossequio al predetto principio di diritto, la CTR, ha ritenuto legittimo l’atto impositivo – pur confermando la decurtazione al 50% dei valori accertati dall’Ufficio – affermando – con un accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità – che la ricostruzione dei ma9giori ricavi era avvenuta sulla base dei consumi delle materie prime e dei prodotti venduti nell’attività di bar in base ai dati e quantità fornite (in sede di contraddittorio endoprocedimentale) dalla stessa contribuente e non contestate (essendo stato, in considerazione della contestazione del solo dosaggio unitario per la preparazione dei cocktail ,, peraltro, rettificato e ridotto da parte dell’Ufficio il numero dei cocktail venduti), con ciò dando atto – senza che fosse, a tal fine, necessaria una  preventiva  attività  di verifica in loco presso i locali di esercizio dell’impresa –  della aderenza del cluster applicato alla concreta realtà economica della contribuente, con riguardo alla  attività  presa  in  considerazione di bar e tavola  calda e fredda esercitata dalla medesima.

9. Con il nono motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73 per avere confermato l’avviso di accertamento ancorché fosse fondato sull’utilizzo di una media aritmetica semplice e non ponderata.

Il motivo si profila inammissibile. 

In  primo luogo va osservato che, in base all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena  di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità  alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta  individuazione  del  capo  di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme  o principi  di diritto, ovvero le carenze della motivazione,  restando  estranea  al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il “decisum” della sentenza gravata (così ad es. sez. 5 n. 17125 del 2007 e sez. 1 4036 del 2011). In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (così Cass., sez. 5, n. 20152 del 2021; n. 21296 del 2016; Sez. 6 – 5, n. 187 del 08/01/2014; Sez. 5,  n. 17125 del 03/08/2007; sez. 3, n. 359 del 2005 e altre); nella specie, il motivo in questione non menziona alcun passaggio della sentenza impugnata.

Trattasi, comunque, di censura inammissibile per novità della questione dedotta e per violazione del principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo profilo, che dal contenuto della sentenza impugnata non emerge la proposizione della specifica eccezione della illegittimità della ricostruzione induttiva in quanto fondata su  una media aritmetica semplice e non ponderata e, sotto il secondo profilo, che è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quelle questioni innanzi al qiudice di merito, ma anche di indicare- riproducendone il contenuto nelle parti rilevanti – in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 2013, n. 17253 del 2009).

10. Con il decimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3  c.p.c., la  violazione  e falsa  applicazione  degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, 2697 e 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto la legittimità dell’accertamento induttivo dei maggiori ricavi fondato su presunzioni non ancorate a presupposti di fatto certi, e, quindi, su presunzioni di secondo grado, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (in particolare, stante la mancata attività di verifica in loco delle circostanze e degli elementi di fatto relativi all’esercizio dell’attività di impresa, le Jiacenze di magazzino erano state determinate in modo astratto; le dosi dei prodotti, in alcuni casi, differivano da quelle reali con alterazione in modo consistente dei prezzi presunti).

Il motivo è infondato.

La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa (Cass., sez. 5, Ord. n. 23252 del 18/09/2019).

Nella specie, la CTR, in ossequio al suddetto princ1p10, ha ritenuto legittima la metodologia del calcolo dei maggiori ricavi operato dall’Ufficio in base ai consumi delle materie prime per l’esercitata attività di bar, nelle quantità fornite (in sede di contraddittorio endoprocedimentale) da parte della stessa contribuente – con rettifica, peraltro, del numero dei cocktail venduti in considerazione della contestazione relativa al dosaggio unico nella preparazione dei cocktail­ confermando la decurtazione – già effettuata dal giudice di primo grado- al 50% dei valori accertati, con sostanziale riduzione al 50% dell’aliquota dello studio di settore.

11. Con l’undicesimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la violazione dell’art. 53 Cast. per avere la CTR ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento che non associava ai maggiori ricavi determinati presuntivamente alcun maggior correlativo costo e per omessa motivazione sul punto.

12. Con il dodicesimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la violazione degli artt. 7 e 16  del d.lgs. n. 472 del 1997 per avere la CTR ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento nonostante l’omessa motivazione quanto all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie, segnatamente, sotto il profilo soggettivo.

I motivi undicesimo e dodicesimo si profilano inammissibili in quanto, da un lato, non aggrediscono alcun passaggio della sentenza impugnata e, dall’altro, si risolvono nella sola critica del provvedimento impositivo e/o sanzionatorio; invero, come chiarito da questa Corte In tema di ricorso per cassazione avverso sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale in grado di appello, poichè l’unico oggetto del giudizio di legittimità  è costituito dalla  sentenza  impugnata, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si denuncino direttamente vizi dell’avviso di accertamento(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6134 del 13/03/2009; Sez. 5, Sentenza n. 841 del 17/01/2014).

13. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato. 

14. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente  al  pagamento  in favore dell’Agenzia  delle entrate delle spese del giudizio  di legittimità che liquida in euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norm a del comma  1-bis dello stesso articolo 13.