Corte di Cassazione ordinanza n. 11275 depositata il 7 aprile 2022
contenzioso tributario – indicazione della parte
Rilevato che
-con sentenza n. 1453/12/14, depositata in data 20 marzo 2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, dichiarava inammissibile l’appello proposto da Selo Press Italia s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante p.t., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 191/9/2013 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso la cartella di pagamento emessa ai fini Iva per l’anno di imposta 2007;
-la CTR ha osservato che l’appello – come eccepito dall’Agenzia delle entrate – era inammissibile ai sensi def combinato disposto degli artt. 53 e 20 del d.lgs. n. 546/92 per mancata indicazione dell’ente appellato e per non essere stato spedito in plico raccomandato senza busta;
-avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste, con controricorso,
l’Agenzia delle entrate;
-la ricorrente ha depositato memorie;
-il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168,. convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo si denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 20 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR dichiarato inammissibile l’appello in quanto spedito a mezzo posta in busta chiusa anziché in plico raccomandato senza busta, ancorché tale modalità costituisse una mera irregolarità atteso che l’Agenzia delle entrate appellata si era limitata ad eccepire la violazione dell’art. 20 cit. senza sollevare alcuna specifica eccezione circa l’effettivo ricevimento dell’atto di gravame e, in particolare, circa il contenuto della busta e la riferibilità a sé dell’atto medesimo contenente, tra l’altro, l’indicazione dell’appellata, secondo la prescrizione dell’art. 53 cit.;
– con il secondo motivo, si denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 20 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR dichiarato inammissibile l’appello anche sotto il profilo della mancata indicazione nell’atto di appello “dell’ente appellato”, ancorché tale atto recasse distintamente l’indicazione dell’Agenzia delle entrate di Milanol quale ente nei cui confronti era stata richiesta la pronuncia formulata in sede di gravame ( righe 14° e 18° della prima pagina) e, comunque, quest’ultimo si fosse costituito in giudizio formulando tale eccezione;
– nella specie, la decisione di inammissibilità del gravame risulta sorretta da due distinte rationes decidendi, una fondata sulla rilevata mancata indicazione nell’atto di gravame dell’ente appellato e l’altra sulla mancata spedizione dell’atto medesimo in plico raccomandato senza busta;
– assume carattere pregiudiziale e assorbente l’analisi del secondo motivo di ricorso – che aggredisce la prima ratio decidendi -che è, in parte, inammissibile e in parte infondato per le ragioni di seguito indicate;
– premesso che il requisito dell’indicazione delle parti nell’atto di appello è inteso da questa Corte in senso piuttosto ampio (v. Cass. 26313/17), nella specie, la censura relativa alla assunta violazione dell’art. 53 cit. in considerazione della chiara indicazione, ad avviso della ricorrente, nell’atto di gravame dell’ente appellato (righe 14° e 18° della prima pagina), si profila inammissibile in quanto la contribuente non ha assolto, in punto di autosufficienza, all’onere di riportare in ricorso ( ovvero di allegare ad esso), nelle part i rilevanti, il contenuto dell’atto di appello onde consentire a questa Corte di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della cont rover sia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784
del 2015); è, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione,. e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10); ogni altra ar9omentazione sottesa al motivo tende ad una inammissibile rivisitazione di valutazioni di merito operate dal giudice di appello in ordine all’ asserita mancata indicazione nell’atto di gravame dell’ente appellato;
-la censura relativa alla assunta violazione dell’art. 53 cit. per essersi comunque costituita in giudizio l’Agenzia delle entrate (eccependo, come dedotto in controricorso dalla stessa Amministrazione, in via preliminare, tale inammissibilità) è infondata;
– ricalcando l’art. 18 del d.lgs. n. 546/92 disciplinante l’atto introduttivo del giudizio, l’art. 53 compie un’elencazione di elementi che il ricorso in appello deve contenere essendo prevista la sanzione di inammissibilità dell’atto in caso di loro difetto o assoluta incertezza. Tra tali elementi sono ricomprese ” le altre parti nei cui confronti l’atto è diretto”; quanto alla possibilità di vedere sanati taluni vizi del ricorso, come dell’atto di appello, per raggiungimento dello scopo (ad es. eventuali carenze nella indicazione delle parti e dell’oggetto) qualora la controparte si costituisca e accetti di difendersi nel merito, la presenza di una norma specifica dettata per il prncesso tributario- qual è l’art. 22, comma 2 (richiamata anche dall’art. 53 cit.) secondo cui “l’inammissibilità del ricorso è rilevabile dal giudice d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio anche se la parte resistente si costituisce” esclude l’applicabilità della norma generale sulla sanatoria della nullità della citazione di cui all’art. 156, comma 3 c.p.c. (v. sul tema Cass. n. 5572 del 2000; n. 6214 del 2000);
– la inammissibilità (in parte) e la infondatezza (in parte) del secondo motivo comporta l’inammissibilità per difetto di interesse del primo motivo che aggredisce l’altra ratio decidendi circa la asserita mancata spedizione dell’atto di appello in plico raccomandato senza busta; ciò in applicazione del consolidato principio di questa Corte “quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile,. da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass. n. 5152 del 2021; n. 4809 del 2017; n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06 n.18170; Cass.29.9.05 n.19161 ed altre);
– in conclusione, va rigettato il secondo motivo, dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
Per questi motivi la Corte:
rigetta il secondo motivo, dichiara inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il primo; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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